«Se India e Cina non rinunciano ai combustibili fossili e al carbone, siamo tutti spacciati»
La mancanza di regolamentazione e l’aumento della cultura del
“buttare via” ha portato l’India a diventare la più grande discarica di
prodotti elettronici. Un fenomeno così imponente e in crescita che l’Australian national university (Anu) ha organizzato il
Workshop World-making and the environment in the Asia-Pacific region, che si è concluso oggi, con l’intento di esplorare il rapporto tra questioni globali e soluzioni locali.
Una delle relatrici, Assa Doron della School of culture, history and
language dell’Anu, ha detto che «L’India è diventata la discarica per il
nostro e-waste. Tutto, dai computer, ai telefonini, ai televisori e
agli elettrodomestici viene illegalmente esportato in India. Il paese
stesso è diventato anche un grande hub del consumo, dove un sacco di
prodotti elettronici vengono smaltiti mentre l’India adotta una società
del “buttare via”. In Occidente ci piace buttare via le cose e
dimenticarcene. Ci impegniamo in questi rituali quotidiani del
riciclaggio, ma questi beni elettronici finiscono nei Paesi del terzo
mondo».
Secondo l’United Nations environment programme, nel 2015 in India
sino stati scaricati illegalmante fino al 90% dei rifiuti elettronici
del mondo, questo equivale a circa 1,8 milioni di tonnellate di e-waste
prodotte a livello nazionale ogni anno.
All’Anu evidenziano che «Oggi, le considerazioni del rapporto tra il
“locale” e il globale hanno assunto un nuovo senso di urgenzai. Le
numerose crisi ambientali in tutto il mondo – il cambiamento climatico,
la sicurezza energetica, la scarsità di acqua, l’inquinamento provocato
dai rifiuti umani permanenti, come la plastica – sono un forte richiamo
all’importanza del locale per affrontare i problemi che hanno
chiaramente dimensioni globali o macro-regionale. Ma qual è il locale
che si confronta con questi problemi che hanno implicazioni
planetarie? E ‘chiaro che il locale non comporta semplicemente
differenze di scala e di infrastrutture, può anche comportare diverse
interpretazioni dei termini di base costitutivi della modernità. Questi
sono ancorati nel cambiamento ma anche in diversi significati
storico-culturali di tali categorie condivise come “lavoro”, “rifiuti”,
“società”, “politica”, “energia”, “tempo”, e così via. Le indagini sui
concetti locali, le pratiche e le istituzioni coinvolte nelle crisi
ambientali planetarie odierne, possono quindi rivelare le diverse
attività “world-making” che segnano il locale e lo collegano al tempo
stesso al globale in una varietà di contesti». L’obiettivo del workshop
australiano è stato proprio quello di analizzare queste idee e pratiche,
utilizzando i lavori di studiosi di varie parti della regione
Asia-Pacifico e con diverse provenienze disciplinari, per avviare un
dialogo inter-regionale e interdisciplinare su questi temi di interesse
comune.
Un altro relatore, Dipesh Chakrabarty, dell’università di Chicago, ha
sottolineato che «L’e-waste è solo una delle crisi globali che stanno
emergendo mentre ci muoviamo in una nuova era geologica chiamata
Antropocene, nella quale l’attività umana è quella che influenza
maggiormente il clima e l’ambiente. La conferenza svolgerà un ruolo
chiave nell’esplorare come i problemi globali devono essere affrontati a
livello locale per avere un impatto nell’ Asia meridionale. Se si prova
a convincerci come specie falliremo, noi non operiamo come specie. Ecco
perché è molto importante tradurre i problemi globali in questioni che
abbiano un senso a livello locale.Per esempio, in un’area di estrazione
del carbone dell’Australia, la gente potrebbe non essere così
interessata ai cambiamenti climatici. Ma potrebbero essere preoccupati
per l’inquinamento. Dobbiamo fare quel collegamento. India e Cina sono
le due nazioni che, a causa delle loro dimensioni, decideranno il futuro
del pianeta. Se non rinunciano ai combustibili fossili e al carbone,
siamo tutti spacciati».
fonte: www.greenreport.it