Impiegati? No, contadini

Autoproduzione, Gas, mutuo aiuto, eco-villaggi, cohousing, permacultura sono alcune parole intorno alle quali sempre più persone ricostruiscono legami sociali e ripensano la propria vita di ogni giorno. Il progetto di TribùLab
 
La crisi economica e il desiderio di dedicarsi a una vita più sana in un’ottica di decrescita felice sta conquistando sempre più campani. NapoliToday ha intervistato Sergio Tancredi, quarantenne di Torre del Greco. Alcuni anni fa Sergio ha deciso di mollare gli agi e gli obblighi imposti da una vita da impiegato nel settore informatico, per trasferirsi con quella che sarebbe stata la sua futura moglie Francesca e i suoi due figli ad Ardea (Roma) e inseguire il suo sogno.
Quando e perché hai deciso di lasciare la Campania e poi il lavoro da impiegato?
È successo quando ho cominciato ad avvertire la sensazione che la mia vita fosse ‘già ‘tracciata’: avevo uno stipendio fisso, a breve mi sarei sposato, con la possibilità di sistemarmi nella casa di famiglia, ma qualcosa nel profondo strideva con quella mia realtà attuale. Mi sono trasferito a Roma e ho iniziato a lavorare presso una società informatica per 8 anni. Mi sono sposato, abbiamo acceso un mutuo per comprare una piccola casa in periferia, ma sentivamo un vuoto.
se 
Eravate insoddisfatti della vostra vita?
Sentivo un disagio sempre più opprimente, cominciammo a chiederci cosa veramente volevamo. Spesso le giornate lavorative erano vuote di senso e di concreta produttività, il web risucchiava la noia e la frustrazione per quel doversi (s)vendere fino a sera per poi intascare a fine mese appena un decimo di quanto realmente avessimo fatto guadagnare alle aziende, con lo stress di una reperibilità continua di 24h, anche durante le vacanze. Avevo la sensazione di sabotare da solo il mio tempo e le mie speranze, di non essere di nessuna utilità né a me stesso né alla società e di non essere più capace ad usare le mani per dare forma e ragione alle cose che tutti quotidianamente adoperiamo, consumiamo, scambiamo.
La nascita di tuo figlio è stata una molla importante?
Sì, ha fatto riemergere dal nostro cuore quel nostro sogno antico, divenire una famiglia felice in un mondo sano. Sognavamo una sorta di agriturismo, un lavoro che assomigliasse al nostro modo di essere, un luogo naturale e un ambiente collaborativo basato sulla condivisione. Abbiamo capito che la porta di ‘accesso’ per questa nuova dimensione sarebbe potuta essere un lavoro nel campo della ristorazione e decidemmo – rischiando – di aprire una piccola pizzeria, riscuotendo anche un buon successo all’inizio.
Purtroppo però la crisi ha contribuito a frenare tale sogno.
Con il propagarsi della crisi e ad una progressiva chiusura di fabbriche, aziende, negozi, circostanti abbiamo assistito inermi ad un calo della clientela di circa il 40 per cento. Neppure lavorando 12-14 ore al giorno riuscivamo a coprire le spese, a cominciare dal mutuo e dalle tasse e poi ci si è messa Equitalia a far precipitare le cose. Sono stato costretto a chiudere e ho cominciato a fare lavori saltuari sia di agricoltura che di ristorazione e ho avuto modo di conoscere tante persone che, come me, non si sentono più rappresentate dalle istituzioni né più asservite all’attuale modello socio-economico che ci sovrasta. Ho scoperto l’esistenza di una realtà ‘parallela’ composta da sempre più numerose persone sparse per il territorio che quotidianamente si adoperano per sperimentare e proporre modelli e stili di vita alternativi.
Una decrescita felice etica e partecipativa in sostanza.
Già da qualche decennio in varie parti nel mondo, gruppi di persone si uniscono per riprogettare un nuovo modo di vivere insieme, etico, sostenibile, rispettoso della natura e dell’essere umano. Termini come decrescita, autoproduzione, eco-villaggi o cohousing, permacultura e modelli economici basati sulla ricchezza territoriale, cominciano finalmente ad entrare del vocabolario del mainstream. È un fenomeno in crescita esponenziale, più aumentano le difficoltà economiche, più percepiamo il ‘mal di vivere’ e più siamo spinti a ricercare, innanzitutto dentro di noi, l’immagine di una vita autentica, appassionata, fondata sui quei valori insiti in ognuno di noi che ci permettono di sentirci bene, senza più il bisogno di avere alcun ‘appiglio emotivo’ esterno per crederci felici. Il nostro ‘sogno’ di agriturismo si è evoluto in un progetto di ‘comunità intenzionale’ che insieme a un gruppo di amici desideriamo edificare.
Come si chiama la vostra associazione e cosa promuovete?
Si chiama “Tribù LAB”, è un progetto nato un po’ per caso, da un cerchio di condivisione di un gruppo di amici, dal quale è emersa una comune urgenza e voglia di ‘tornare nel mondo’ in maniera autentica, solidale e propositiva. TribùLab è un laboratorio in progress di condivisione di valori, saperi, progetti, tempo, speranze, futuro, attraverso cui ognuno è libero di esprimere i propri talenti, dare forma ai propri sogni, creare reti virtuose fra persone che intendano proporre e sviluppare progetti di sostenibilità ambientale, sociale ed umana. Attualmente siamo impegnati nella creazione di una rete di autoproduzione e di scambio beni e servizi sia all’interno che all’esterno del gruppo. Organizziamo e sosteniamo eventi relativi a tematiche quali il cambiamento ed il miglioramento partecipato della persona e dell’ambiente, ed in ambito lavorativo e culturale abbiamo sviluppato progetti dediti alla propaganda dell’agricoltura naturale (http://ortinsu.wordpress.com) e della sana alimentazione (www.tribuveg.blogspot.it). Siamo alla ricerca di luoghi e spazi per progetti di cohousing ed esperienza comunitaria.
Tale stile di vita si applica anche in casa immagino.
In casa le abitudini sono radicalmente cambiate: siamo partiti con il farci il pane in casa con il lievito madre anziché comprarlo e gradualmente abbiamo preso l’abitudine a fare anche la pasta fresca, le merendine per i bambini e altri prodotti da forno comunemente usati. Abbiamo imparato a produrci da soli i detersivi e i saponi e ogni giorno aggiungiamo nuovi tasselli di esperienza che ci permettono di vivere in maniera più sana, economica e soprattutto, sostenibile. Inoltre, la cucina vegan ci ha permesso di scoprire e poi di autoprodurci tutta una serie di prodotti alimentari di cui prima ignoravamo l’esistenza. Seguiamo un’alimentazione sana e consapevole in cui normalmente non sono previsti cibi di derivazione animale né (per quel che ci è possibile) di derivazione industriale. Niente farine, zuccheri o sali raffinati, niente sughi pronti o prodotti inscatolati o confezionati ma principalmente frutta e verdure che in parte mi coltivo da solo e poi legumi e cereali integrali biologici che prendiamo tramite Gruppi d’acquisto nel territorio circostante. È una scelta che ha radici etiche, di salute e relative ad uno sviluppo sostenibile.

Fonte: napolitoday.it, titolo originale Addio al lavoro da impiegato: “Riparto con l’agricoltura e la cucina vegana”