Il
piano per il taglio delle emissioni lascia a desiderare, ma spicca
l’investimento massiccio in energie rinnovabili di un Paese
tradizionalmente fossile
Gli Emirati Arabi Uniti prevedono di ricavare il 24% dell’energia da fonti rinnovabili entro il 2021, un bel passo avanti rispetto allo 0,2% del 2014. È questa la misura più concreta contenuta nell’impegno per il clima presentato alle Nazioni Unite ieri, tre settimane dopo la scadenza ufficiale per il deposito degli INDCs (Intended Nationally Determined Contributions).
Si tratta del secondo Paese del Golfo a
rendere nota la sua strategia contro il riscaldamento globale dopo
l’Oman, ed è il 153° membro dell’UNFCCC su 196 a farlo. Il resto del
piano è a dir poco lontano dalle necessità globali. A differenza di
molti altri, la federazione di sette sceiccati non ha fissato un
obiettivo a per contenere le emissioni di gas serra. Agli Emirati
interessa l’idea di un accordo sul clima non vincolante, limitato a
contributi volontari. La stessa posizione degli Stati Uniti, e uno dei
temi che hanno ormai convinto gli osservatori del limitato effetto di
questa prossima COP 21 sui cambiamenti climatici.
L’impegno è ritenuto dagli EAU «coerente
con il riconoscimento delle circostanze particolari dei Paesi in via di
sviluppo con alta dipendenza da combustibili fossili». Anche se
presenta l’economia più diversificata del Golfo, lo Stato dipende da
petrolio e gas per circa il 25% della sua ricchezza.
Nonostante
i suoi cittadini siano i 19esimi più ricchi del mondo, la monarchia
costituzionale non ha aperto i cordoni della borsa per aiutare i Paesi
poveri nella mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
«Lo sviluppo non è solo ricchezza – si è
giustificato il negoziatore climatico Majid Al Suwaidi alla COP 20 di
Lima dello scorso anno – Ci rendiamo conto che è una cosa a breve
termine e dobbiamo pensare alle nostre prospettive future. Anche se
stiamo lavorando molto duramente per diversificare la nostra economia,
rimaniamo molto dipendenti dai combustibili fossili».
La strategia conservativa si inserisce
in un quadro più ampio, che vede tutti gli Stati esportatori di petrolio
molto restii a impegnarsi in un taglio delle emissioni. L’Oman, ad
esempio si è offerto di ridurre i gas serra del 2% rispetto a uno
scenario business as usual entro il 2030: ciò significa che, a livello assoluto, le emissioni cresceranno invece di diminuire. L’Arabia
Saudita, il Venezuela e la Nigeria non hanno ancora presentato alcun
piano. Stesso discorso per l’Iran, il più grande inquinatore a restare
ancora nell’ombra. Il Paese si propone di svelare il suo piano a metà
novembre, secondo quanto riferito da Bloomberg. Abdalla Salem El-Badri, capo dell’OPEC, ha difeso di recente i suoi membri per il loro ritardo.
fonte: www.rinnovabili.it