Sono
i rifiuti alimentari l’ultimo traguardo per il settore dei LED: da
briciole di pane e bevande zuccherate i materiali per ottenere diodi a
punti quantici senza ricorrere alle terre rare
Cosa hanno in comune
la maggior parte delle luci di Natale, i lettori DVD, i televisori e le
torce elettriche? Sono realizzati grazie ai diodi a emissione luminosa o LED.
Alternativa più efficiente rispetto alle lampadine a incandescenza e
alle fluorescenti compatte, stanno acquistando una certa popolarità
anche in ambito dell’illuminazione domestica e urbana. Seppur forti sul
fronte delle prestazioni, i diodi a emissione luminosa non sono sempre
una soluzione ecocompatibile, dal momento che possono richiedere
materiali rari e costosi per essere fabbricati.
Alcuni LED a punti quantici o quantum dots
(semiconduttori elettronici, le cui caratteristiche sono strettamente
correlate alle dimensioni e alla forma del singolo cristallo)
necessitano quasi obbligatoriamente del ricorso a elementi denominati terre rare per la loro realizzazione. I ricercatori dell’Università dello Utah sono convinti però di aver trovato la soluzione al problema. Nello studio pubblicato su Physical Chemistry Chemical Physics, gli scienziati spiegano come sono riusciti a creare dei LED a partire da avanzi di cibo e bevande.
In altre parole di come sono stati in grado di reperire materiali low
cost, il cui impiego non sottrarre risorse preziose alla Terra, e senza
l’uso di materiali tossici (come ad esempio il cadmio).
Nel dettaglio, Prashant Sarswat e
Michael Free hanno impiegato degli scarti di pane e bevande analcoliche
zuccherine per produrre dapprima dei “carbon dot”
(CD) e quindi dei LED. I rifiuti alimentari sono stati posti in
soluzione a una determinata pressione e riscaldati sia direttamente che
indirettamente da 30 a 90 minuti, fino a formare dei punti quantici di
carbonio: questi sono stati sospesi in resine epossidiche, riscaldati e
induriti fino ad ottenere dei LED. I vari test effettuati da Sarswat e
Free sono serviti innanzitutto a misurare le dimensioni dei CD, che sono
strettamente correlate con l’intensità del colore e luminosità dei
punti. Quindi hanno determinato quale fonte di carbonio avesse prodotto i
migliori CD. “L’obiettivo finale è quello di ottenere un prodotto su
una scala di massa e di utilizzare questi LED in dispositivi di uso
quotidiano”.
fonte: www.rinnovabili.it
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