Non
c’è niente di più affamato sul nostro pianeta di quell’immenso e
multiforme organismo che racchiude ogni attività economica dell’essere
umano. L’utilizzo globale di risorse materiali, come ricordato nell’ultimo rapporto ambientale dell’Unione europea,
è decuplicato dal 1900 a oggi, e la prospettiva è che raddoppierà
ancora da qui al 2030. Al contempo la popolazione mondiale aumenterà
ancora, e si amplierà la fetta dei consumatori: tra appena 15 anni
saremo in 8,4 miliardi sul pianeta, e il 58% di noi (dal 27% di oggi)
farà parte della “classe media”. Questa tendenza apre a radicali (e
anche positive) trasformazioni nelle prospettive sociali, ma si basa su
un’assai scricchiolante base ambientale. Senza capitale naturale, quello
economico (e sociale) crolla. In tale quadro globale la piccola ma
industriosa Italia si trova oggi a rivestire il ruolo di seconda potenza
industriale d’Europa, ma con una assai scarsa disponibilità di materie
prime. L’Ue stessa dipende strettamente dalle importazioni per il
mantenimento dei propri stili di vita.
Ed
è così che il recupero di materia dai nostri cicli di produzione e
consumo dovrebbe essere innanzitutto visto come una centrale
discriminante geopolitica ed economica, ancor prima che ambientale. Il
rapporto Waste End. Economia circolare, nuova frontiera del made in Italy, presentato
oggi da Symbola e Kinexia, si inserisce in pieno all’interno di questo
contesto, e propone una dettagliata strategia per sfruttare le
opportunità che arrivano da una gestione sostenibile e innovativa dei
rifiuti urbani a vantaggio di imprese, occupati e competitività della
nostra economia. «Un fronte che già oggi – sottolinea Ermete Realacci,
presidente della Fondazione Symbola – disegna una filiera produttiva
innovativa, che è un pezzo importante dell’economia del futuro e sul
quale bisogna investire con più ‘visione’ e convinzione».
«Il
Paese ha bisogno di moderni centri del riciclo – gli fa eco Pietro
Colucci, presidente e a.d. di Kinexia – dove entreranno scarti e
usciranno materiali e dove il rifiuto verrà messo a dimora solo se non
più recuperabile». Perché se lo stile comunicativo del rapporto punta
sulla diffusa (e sovente travisata) formula dei “rifiuti zero”, nei numeri si esplicita chiaramente che – anche nell’avanzata prospettiva delineata nel rapporto Waste end
– una «realistica e sobria valutazione delle potenzialità di riciclo
non ci consente di affermare che raccolta differenziata e riciclo di
materia chiudano il cerchio».
«Lo
scenario tendenziale a dieci anni – spiega Colucci – potrebbe essere la
fine dei termovalorizzatori come soluzione primaria allo smaltimento e
la decisa riduzione delle discariche». A oggi del totale dei rifiuti
urbani generati (che rappresentano in Italia circa ¼ degli speciali) si
stima, nonostante fonti statistiche non sempre sufficientemente
dettagliate, che lo 0,9% sia avviato a riutilizzo, il 21% a riciclo, il
13,3% a recupero agronomico e produzione di biogas, il 17,3% a recupero
energetico e – infine – ben il 38,3% a discarica (il restante 9,3% è
costituito da perdite di degradazione o altri usi e non contabilizzati).
A tendere a zero può e deve essere quest’ultima, ingombrante fetta,
mentre l’incenerimento si riduce, nella strategia Waste end,
da circa il 17% al 7%; in questo scenario – si legge nel rapporto – è
«evidente la necessità non solo di una sospensione di una costruzione di
nuovi impianti, ma anche quella di una progressiva dismissione di molti
impianti, inefficienti sia energeticamente che economicamente». Al
contempo, è necessario cancellare i «sussidi perversi al recupero
energetico» che l’Italia continua ancora oggi a garantire.
Per
raggiungere i risultati dettagliati nel rapporto, Symbola e Kinexia
sottolineano che «i cittadini da un lato e le imprese dall’altro, devono
essere responsabilizzati e incentivati a partecipare al raggiungimento
di obiettivi comuni e condivisi». Questo scenario evolutivo ruota
attorno al perno fondamentale dell’aumento della materia recuperata dai
rifiuti, e reimmessa nel ciclo produttivo: in particolare, il recupero
di materia per i processi industriali passerebbe dall’attuale 24% dei
rifiuti al 48,5%, con un effetto traino decisivo per quanto riguarda gli
impatti economici e occupazionali. Per raggiungere quest’obiettivo i
passi della strategia Waste end da compiere sono molti e diversificati,
ma si sottolinea come «il settore probabilmente più critico per la
capacità di riciclo di materia» sia quello «delle plastiche». Al quale
dunque dovrebbe essere rivolto un adeguato sostegno, che a oggi manca.
Per “chiudere il cerchio” dell’economia giustappunto circolare manca ancora molto all’Italia, e anche l’Ue indietreggia proponendo il ritiro della direttiva
da lei stessa proposta nel luglio scorso sul tema, ma la strada per lo
sviluppo sostenibile è tracciata. Ci rimane da trovare il coraggio
politico e civile per percorrerla.
fonte: www. greenreport.it
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