Se
dovesse fallire, le società petrolifere potrebbero costruire nuovi
impianti ed effettuare nuove trivellazioni per gli idrocarburi entro le
12 miglia
Il prossimo 17 aprile
i cittadini italiani si recheranno alle urne per decidere se cancellare
la norma che attualmente consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Lo stato dell’arte è il seguente:
– ad oggi nessuna società può chiedere nuovi permessi e nuove concessioni;
– i procedimenti amministrativi che
erano in corso al momento dell’entrata in vigore della legge di
stabilità 2016, finalizzati al rilascio di nuovi permessi e di nuove
concessioni, sono stati chiusi;
– le attività di ricerca e di estrazione
di gas e petrolio attualmente in essere sono state tuttavia
procrastinate dalla legge di stabilità 2016 senza limiti di tempo, ossia per tutta la “durata di vita utile del giacimento”.
Ciò significa che quelle attività cesseranno solo in due casi: qualora le società petrolifere concluderanno che sia ormai antieconomico estrarre oppure qualora il giacimento sarà esaurito.
Dal punto di vista normativo, aver procrastinato senza limiti di tempo quelle attività non può dirsi del tutto coerente con la ratio
che informa la decisione legislativa, in quanto il divieto di
effettuare nuove ricerche e nuove estrazioni si giustificherebbe sulla
base di “gravi ragioni di carattere ambientale”. Così almeno si leggeva
nella relazione illustrativa al decreto sviluppo adottato dal Governo
Monti nel 2012, con il quale si introduceva il limite delle 12 miglia
marine. Eppure, tertium non datur: o quelle ragioni sussistono sempre, o quelle ragioni non sussistono mai.
Il referendum non sarà “inutile”
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi – che ha definito il referendum “inutile”
– è però di altro avviso: egli sostiene che l’attuale quadro normativo
sia perfettamente coerente, in quanto, nonostante le attività di
estrazione già autorizzate e ricadenti entro le 12 miglia marine
potranno continuare ad essere esercitate, non sarà più possibile
installare nuove piattaforme e perforare nuovi pozzi. In altre parole,
non sarà più possibile “trivellare”.
Enzo Di Salvatore
Questa affermazione è, però, inesatta:
attualmente, la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano
rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire
dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove piattaforme e
perforati nuovi pozzi. La costruzione di nuove piattaforme e la perforazione di nuovi pozzi è, infatti, sempre possibile
se il programma di sviluppo del giacimento (o la variazione successiva
di tale programma) lo abbia previsto. Questa conclusione è avvalorata
anche da un parere del Consiglio di Stato del 2011, reso al Governo
Berlusconi, che chiedeva lumi sulla portata del divieto di ricerca ed
estrazione di petrolio entro le 5 miglia marine introdotto l’anno prima
nel Codice dell’ambiente.
La risposta del Consiglio di Stato è
stata che il divieto non riguarda i permessi e le concessioni già
rilasciati e non ricomprende le seguenti attività:
– l’esecuzione del programma di sviluppo del campo di coltivazione come allegato alla domanda di concessione originaria;
– l’esecuzione del programma dei lavori di ricerca come allegato alla domanda di concessione originaria;
– la costruzione degli impianti e delle
opere necessarie, degli interventi di modifica, delle opere connesse e
delle infrastrutture indispensabili all’esercizio;
– i programmi di lavoro già approvati con la concessione originaria;
– la realizzazione di attività di
straordinaria manutenzione degli impianti e dei pozzi che non comportino
modifiche impiantistiche.
Potenziali nuove trivellazioni se vince il “no”
Ora, è sufficiente andare a verificare
quali siano le concessioni tutt’ora vigenti (e ricadenti entro le 12
miglia marine) e leggere l’originario programma di sviluppo del
giacimento per capire che nuove trivellazioni ci saranno eccome.
Basti pensare alla concessione C.C 6.EO nel Canale di Sicilia, che
interessa le 12 miglia marine per circa 184 kmq: rilasciata nel 1984,
essa ha ottenuto una proroga il 13 novembre scorso, con scadenza al 28
dicembre 2022. Ebbene, in base a tale proroga, la società Edison potrà costruire una nuova piattaforma – denominata Vega B – e perforare 12 nuovi pozzi.
Se vincerà il “no”(o se il referendum
non raggiungerà il quorum) la piattaforma potrà essere realizzata, i
pozzi perforati e l’estrazione potrà darsi senza limiti di tempo, fino a
quando la società petrolifera lo vorrà. Se, al contrario, vincerà il “sì”, potrebbero profilarsi due differenti epiloghi:
– o si riterrà – come sarei propenso a ritenere – che la piattaforma Vega B non potrà essere realizzata,
i pozzi non potranno essere perforati e l’estrazione non potrà essere
avviata (e questo in quanto il quesito originariamente proposto dalle
regioni aveva ad oggetto anche l’abrogazione della norma sui
“procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi” e sulla
“esecuzione” delle attività relative);
– oppure dovrà ritenersi che la Edison
potrà comunque completare la sua attività, ma fino alla scadenza della
proroga, e cioè fino al 2022; il che, per ragioni di mero calcolo
economico, potrebbe anche comportare una rinuncia preventiva da parte della società petrolifera alla realizzazione degli impianti e all’estrazione del greggio. Ma quale che sia l’epilogo, una cosa sembra certa: che il referendum del 17 aprile proprio inutile non sarà.
Enzo Di Salvatore – Costituzionalista
fonte: www.rinnovabili.it