L’oro non si trova soltanto nei caveau delle banche o nelle profondità della terra. Le nuove pepite sono smartphone, tablet, smartwatch, pc, pannelli fotovoltaici. Ovvero tutto ciò che contenga delle schede elettroniche, composte da metalli preziosi che, una volta in disuso, è possibile estrarre. Oro, certo, ma anche argento, platino, rame, stagno, piombo. Senza dimenticare palladio, cobalto, antimonio, tantalio: meno noti, ma necessari per il funzionamento dei nostri dispositivi ed estremamente rari.
In qualche modo, i rifiuti elettrici ed elettronici (Raee) rappresentano delle miniere urbane. Che nessuno, però, è ancora riuscito a sfruttare a dovere per ridurre le spese di produzione – e anche l’impatto ambientale. Italiana è una delle idee più interessanti in materia. Nel gennaio 2014 l’Enea ha depositato il brevetto di un sistema idrometallurgico per il recupero di materiali preziosi dalle schede elettroniche. Il vantaggio principale consisterebbe nella possibilità di eseguire il processo in piccoli impianti, quasi a temperatura ambiente e con basse emissioni. «Abbiamo atteso che le procedure burocratiche si concludessero per poter riprendere la sperimentazione», spiega la dottoressa Claudia Brunori, tra i ricercatori dell’Enea che hanno ottenuto il brevetto. «Ci è voluto un po’, ma entro l’estate avremo i primi dati che ci permetteranno di commercializzare il sistema».
Non solo: «Il team del centro Enea Casaccia, a Roma», ci dice Brunori «è a lavoro per l’apertura di un centro di ricerca sperimentale sulle metodologie ecocompatibili di recupero di metalli dai Raee, dove far convergere università e aziende». In futuro un passo avanti sarà quello di comprendere nel processo anche di recupero gli altri materiali componenti le schede elettroniche come la plastica e il policarbonato».
Qualcosa di analogo si sta mettendo a punto nel dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Cagliari. Un gruppo coordinato dalla professoressa Paola Deplano ha collaudato in laboratorio un metodo selettivo, basato sull’uso di reagenti di sintesi eco-sostenibili, poi perfezionato negli aspetti di sostenibilità economica ed ambientale in collaborazione con lo spin-off universitario 3R Metals Srl. Il procedimento chimico si articola in tre tappe: dissoluzione dei metalli di base, dissoluzione e recupero di rame e argento e dissoluzione e recupero dell’oro. Grazie alla campagna di crowdfunding WithYouWeDo bandita da Tim, il progetto ha totalizzato donazioni da parte di privati per oltre 90 mila euro, utilizzati per la costruzione di un impianto pilota.
Sono diverse le ricerche sui metalli contenuti nei Raee condotte in Italia e nel resto d’Europa. Tanto che lo scorso 7 aprile è scaduto il termine di partecipazione a un bando di gara internazionale lanciato dall’European Recycling Platform per finanziare i migliori progetti e contribuire a raggiungere entro il 2020 un incremento del 5% nel recupero di componenti nobili dei rifiuti elettronici. Il progetto è rivolto a privati e consorzi di Italia, Germania, Regno Unito e Turchia.
Dopo centri di ricerca e istituzioni anche nelle grandi aziende qualcosa inizia a muoversi. Il caso più emblematico è quello di Apple, tra i maggiori produttori di smartphone e tablet al mondo, che ha dichiarato di aver raccolto circa 40.800 tonnellate di rifiuti (vecchi iPhone e dispositivi della multinazionale) durante il 2015 attraverso i suoi programmi di riciclaggio, recuperando più di 27.700 tonnellate di materiale. Tra questi, 1.340 tonnellate di rame, 3 d’argento e una di oro, per i rispettivi valori di 6,5, 1,7 e 43 milioni di dollari. Notizia, quest’ultima, che ha destato l’interesse di analisti e media internazionali. Per estrarre questi materiali in maniera più efficiente, Apple si è dotata di Liam, un nuovo robot che può smontare un iPhone in 11 secondi e ordinare le parti per il riciclaggio.
fonte: http://www.pagina99.it