Tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare di fossili:
possiamo riadattare il vecchio proverbio per riassumere il
comportamento dell’Europa nella transizione energetica dalle fonti
convenzionali alle tecnologie pulite.
Come evidenzia l’ultimo rapporto di Climate Action Network,
il “dire” è il traguardo di eliminare tutti i sussidi a petrolio, gas e
carbone entro il 2020, in linea con l’agenda climatica approvata alla Cop21 parigina lo scorso anno. Il “fare”, invece, racconta una storia un po’ diversa.
Fossili o rinnovabili?
Connecting the dots: the EU’s funding for fossil fuels (allegato in basso) è stato pubblicato alla vigilia del Summit G20
che si chiude oggi a Hangzhou, in Cina. Scopo principale del documento è
dimostrare che l’Europa, nonostante il suo ruolo in prima linea contro
il cambiamento climatico, stia in realtà continuando a finanziare
quell’energia “sporca” che dovrebbe combattere.
La
finanza, come sappiamo, è un fattore decisivo, insieme alle politiche
su energia e clima dei singoli Stati membri, per orientare gli
investimenti verso l’economia verde. Senza riprendere qui l’intera
discussione su come disinvestire dalle fonti fossili (vedi anche QualEnergia.it) ripercorriamo i principali punti critici o contradditori in ambito UE secondo Climate Action Network.
L’analisi
della rete di organizzazioni no-profit ha coperto una moltitudine di
elementi: dai meccanismi europei di supporto come Connecting Europe Facility e i vari fondi per lo sviluppo regionale, agli strumenti come l’EU-ETS e la remunerazione della capacità, passando per importanti istituzioni bancarie, tra cui l’European Investment Bank (EIB).
Numerosi,
nel documento, sono gli esempi di soldi pubblici utilizzati per
promuovere/facilitare la costruzione di progetti legati alle fonti
fossili. Partiamo proprio da Connecting Europe Facility (CEF), il cui obiettivo è potenziare le infrastrutture transfrontaliere, con un occhio di particolare riguardo all’energia, attraverso i progetti d’interesse comune con uno status prioritario per ottenere finanziamenti comunitari e autorizzazioni più rapide.
Ebbene, si legge nel rapporto, le nuove infrastrutture per il gas
stanno ricevendo moltissime risorse: circa 430 milioni di euro di fondi
CEF nel 2014-2015 e altri 800 milioni dovrebbero essere destinati a
questo settore entro la fine del 2016.
Da
una parte, l’Europa cerca così di aumentare la sicurezza degli
approvvigionamenti e ridurre la dipendenza dagli acquisti di
combustibile dalla Russia; dall’altro, però, rischia in questo modo di
penalizzare altre fondamentali connessioni, ad esempio nuove linee elettriche ad alta tensione per sfruttare tutta l’energia rinnovabile prodotta in determinate aree geografiche con impianti eolici, solari e idroelettrici.
Dalle banche troppi finanziamenti “sporchi”
La Banca europea per gli Investimenti, prosegue il rapporto, dal 2013 al 2015 ha incrementato gli stanziamenti per le fonti fossili del 25%
circa, mentre ha ridotto quelli dedicati alle rinnovabili del 21%
(grafico sotto). Nel periodo considerato, l’istituto europeo ha
riversato circa 7 miliardi di euro in progetti di centrali
termoelettriche, estrazione e trasporto di gas, terminali LNG e anche
co-combustione di carbone e biomasse.
La
Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (EBRD, European Bank
for Reconstruction and Development), secondo i dati diffusi dalle
organizzazioni per la difesa del clima, ha destinato 15 miliardi di euro
dal 2008 al 2015 per la ricerca/esplorazione di nuovi giacimenti fossili.
Nel mirino di Climate Action Network c’è anche il corridoio sud del gas, in particolare il super finanziamento che dovrebbe essere concesso dalle due banche europee per realizzare la Trans Adriatic Pipeline (TAP) che approderà sulle coste pugliesi (su QualEnergia.it le caratteristiche del progetto).
Molte
altre politiche stanno sortendo effetti dannosi o controproducenti,
termina la pubblicazione di Climate Action Network. Basti pensare alle difficoltà del mercato europeo della CO2 (vedi QualEnergia.it su proposte più recenti per riformare il sistema EU-ETS) e agli aiuti di Stato,
mascherati ad esempio sotto forma di mercati della capacità: molti
paesi, infatti, continuano a sostenere le industrie più inquinanti e le
centrali termoelettriche più obsolete.
L’efficienza
energetica è ancora lontana dall’essere la “regola aurea” con cui
discriminare tra progetti energetici “sani” e quelli, invece, che non
fanno altro che ritardare la transizione verso un’economia a basso
tenore di carbonio. E poi bisogna ricordare che ogni investimento in
infrastrutture pro fossili richederà decenni per essere ammortizzato. Ecco un'altra ottima scusa per ritardare l'indispensabile accelerazione delle fonti rinnovabili.
fonte: www.qualenergia.it