Una lotta efficace al cambiamento climatico non può
prescindere da una profonda revisione delle politiche economiche e
commerciali internazionali. Il non superamento di 1.5°C di aumento della
temperatura media, obiettivo ambizioso ma necessario, rischia di essere
messo in discussione da strategie che vanno in direzione esattamente
opposta.
“Accelerare l’azione di contrasto al cambiamento climatico”. È il refrain che ha contraddistinto la Cop22 di Marrakech – la Conferenza Onu sul clima –, un anno dopo la conclusione dell’Accordo di Parigi.
È di poche settimane fa l’ultimo rapporto dell’Ipcc (il
panel scientifico intergovernativo sul cambiamento climatico) sulla
fattibilità dell’obiettivo 1.5, cioè il non superamento della soglia
degli 1.5°C di aumento della temperatura media planetaria, che
determinerebbe impatti ambientali e sociali non indifferente in molte
parti del globo. Per far questo, però, è necessario rinforzare e
implementare da subito i contributi nazionali che i Paesi firmatari
dell’Accordo hanno promesso di applicare sul taglio delle emissioni di
gas climalteranti e sui piani di adattamento da applicare da subito. Ma la finestra di opportunità si stringe sempre di più.
Ad oggi secondo le stime dell’Ipcc le linee di trend delle emissioni di gas viaggiano ancora verso lo scenario peggiore
(con un aumento della temperatura previsto che va oltre i 3.5°C) e per
riuscire a cambiare rotta bisognerebbe raggiungere il picco il prossimo
anno, per poi decrescere velocemente.
Per fare questo, però, è necessario mettere in piedi uno sforzo globale
che va ben oltre le stanze negoziali di questa Cop. Va messa in campo
una coerenza delle politiche che vede in primo piano una profonda
revisione delle strategie di sviluppo e di crescita economica dei
prossimi anni, uno scenario ad oggi che si potrebbe definire ancora
“fantascientifico”.
Analizzando altri processi negoziali in corso, come quelli dei
trattati di liberalizzazione commerciale che istituiscono meccanismi
vincolanti e sanzionatori, si nota come il percorso che si sta seguendo
sia ancora business as usual, imperniato su un’ideologia del libero mercato ad ogni costo che non tiene conto delle sfide reali del prossimo futuro.
La campagna Stop T-tip Italia ha consegnato al ministro dell’Ambiente
Gian Luca Galletti, incontrato in una riunione organizzata da
Coalizione Clima, un documento di approfondimento che chiarisce in modo inequivocabile come il trattato di liberalizzazione con il Canada,
ora in via di approvazione al Parlamento Europeo e in seguito nei
Parlamenti nazionali, possa avere impatti non indifferenti sulle
politiche di lotta al cambiamento climatico .
È necessario che questi trattati, dagli impatti ormai estesi e non
del tutto prevedibili, passi per uno scrutinio approfondito non solo del
consiglio dei ministri e del parlamento, ma anche dei cittadini attraverso un vero dibattito pubblico informato.
Nel testo del trattato ci sono linee guida che rischiano di andare in
controtendenza rispetto a ciò che si auspica: vengono messi in
discussione ad esempio i sussidi agricoli perché considerati distorsivi
del mercato, ma non vi è alcun riferimento ai sussidi fossili
che continuano a sostenere l’utilizzo di combustibili causa primaria
dell’effetto serra. Nessuna menzione al taglio dei 3.3 miliardi di
dollari che il Canada investe su gas e petrolio, come è stato
recentemente denunciato da una coalizione di organizzazioni ambientaliste canadesi.
In più, il tribunale per la risoluzione delle controversie tra
investitori e Stato, l’Isds o la sua proposta riformata Ics, rischia di
indebolire le politiche di lotta al cambiamento climatico se queste
mettono in discussione le aspettative di profitto delle grandi imprese.
Il caso di Transcanada e della sua richiesta di 15 miliardi di dollari
di compensazione all’amministrazione statunitense, usando il tribunale
speciale Isds messo a disposizione dall’area di libero scambio
nordamericana (Nafta), in seguito al blocco dell’oleodotto Keystone XL
da parte della Presidenza Obama, ne è un esempio. Non è un caso che il
Parlamento europeo abbia chiesto esattamente un anno fa, in una
risoluzione votata in vista della Cop21 di Parigi sul clima, che le politiche di lotta al cambiamento climatico siano tutelate, e quindi escluse, dalla giurisdizione degli Isds.
Tutto questo in un trattato commerciale definito “avanzato” anche dal
punto di vista dell’innalzamento degli standard, ma che vede i capitoli
specifici sulla protezione ambientale e sulla tutela del diritto del
lavoro senza alcun meccanismo di sanzione, ma solo con procedure di
consultazione. Un modo per dire che se gli investitori privati meritano
di essere tutelati da politiche che possono impattare sui loro
investimenti, lo stesso non si può dire per i lavoratori di quelle
imprese o per l’ambiente e il territorio.
Una vera transizione verso una low carbon economy non può
prescindere da una lotta articolata per una giustizia economica e
sociale. Una lettura che dovrà essere tenuta in seria considerazione nei
prossimi mesi, quando il testo del Ceta passerà dal Parlamento Europeo e da quello italiano per la sua ratifica e la sua applicazione finali.
fonte: http://comune-info.net