Combustibili fossili? E che problema c’è?

Le devastazioni ambientali prodotte ormai ogni giorno dal riscaldamento del pianeta e dai cambiamenti climatici ci impongono di non rassegnarci e tanto meno di abituarci ai comportamenti irresponsabili di imprese e governi. Eppure la tranquillità con cui si ripropongono senza esitare i crimini ambientali in nome del maggior profitto immediato, con buona pace per le solenni promesse fatte con gli accordi di Parigi, è davvero impressionante. Qualche esempio, dal Canada alla Val di Sangro, passando per New Delhi, che supera Pechino in contaminazione,  e per un territorio dove il petrolio non ha mai creato guai a nessuno: l’Iraq
















La decisione è stata presa già tempo fa, ma ora la notizia è che cominceranno presto i lavori per il raddoppio del percorso del Trans Mountain Pipeline, l’oleodotto che porta il petrolio estratto dalle sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada, fino all’oceano Pacifico. Il nuovo tratto consentirà di trasportare 890mila barili al giorno su un percorso di 1200 chilometri. Questo tipo di petrolio comporta il 14% in più di emissioni di anidride carbonica, che equivale a mettere ogni anno in circolazione 3,6 milioni di automobili. Si fa anche notare che l’oleodotto produrrà 17 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, molto più di quelle che il Canada potrebbe compensare in altri settori e paesi con i famigerati crediti di compensazione, mentre ormai gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi chiedono ad Ogni Stato firmatario di ridurre, progressivamente ma da subito, le emissioni.
Negli Stati Uniti, di fronte a un pubblico di minatori, il nuovo presidente annuncia che la guerra al carbone è finita e che la legislazione di tutela ambientale entrata in vigore con Obama sarà eliminata. In India, terzo paese al mondo per le emissioni di gas serra, le emissioni annuali sono triplicate tra il 1990 e il 2014, a seguito della crescita costante della sua economia negli ultimi trenta anni. Però di recente New Delhi ha superato Pechino nella classifica delle città più inquinate. E’ evidente che la situazione e le prospettive dell’India rappresentano la classica contraddizione dei paesi che sono in grado di accelerare il loro sviluppo economico solo se aggravano la loro condizione ambientale, mentre ogni scelta volta a proteggere il pianeta sembra incidere sul loro potenziale miglioramento del tenore di vita, anche se questo significa sottovalutare i danni prodotti alle persone dagli inquinamenti.
Nella Repubblica Dominicana è in corso da mesi la Marcha Verde, una serie di manifestazioni contro la realizzazione di una mega centrale elettrica a Punta Catalina, alimentata dal carbone proveniente dalla Colombia, poiché le emissioni del paese potrebbero aumentare di sei milioni di tonnellate all’anno di Co2, incrementando quelle del paese del 20 per cento. Oltre ai problemi ambientali vi sono poi quelli economici e politici, poiché la costruzione dell’impianto coinvolge imprese e banche di molti paesi (compresa l’Italia) ma soprattutto dovrebbe vedere coinvolto il potente gruppo Odebrecht, di origini brasiliane, che a sua volta all’inizio del 2017 ha patteggiato negli Usa una multa di 3,5 miliardi di dollari, per tutte le corruzioni realizzate in numerosi paesi, in particolare nella Repubblica Dominicana. La situazione è molto complessa e dagli esiti incerti, ma è importante rilevare che cerca di realizzare un impianto ancora a carbone, oltretutto con una tecnologia obsoleta.


 
 
La Marcha Verde attraverso la Repubblica Domenicana

Passando all’Italia, in Val di Sangro esiste un giacimento di gas sotto un lago artificiale che sembra attrarre molti interessi imprenditoriali del settore energetico. La storia dei tentativi, finora falliti, di ottenere i permessi per sfruttare il giacimento, à piuttosto complessa. In sintesi, l’Eni aveva fatto per un lungo periodo degli studi nel territorio e aveva rinunciato a procedere; le richieste presentate nel 2004 da una multinazionale statunitense tramite la sua controllata italiana Forest Oil Corp. erano state bocciate e l’impresa è fallita. Ora la società che l’ha rilevata , la Cmi Energia, una partecipata canadese, ripropone un progetto molto simile che oltre ai pericolosi prelievi nel sottosuolo, comprende anche un impianto industriale di cui si prevede la localizzazione nell’area industriale di Chieti. I motivi per cui il progetto è stato bocciato da tutti gli enti competenti sono ben noti. L’area è geologicamente molto fragile, la diga che ha permesso la formazione del lago potrebbe cedere a seguito dei prelievi in profondità e interi paesi sarebbero distrutti. Per fortuna in questo area la popolazione ha prodotto diversi comitati molto attivi, che sono già all’opera per denunciare i rischi per l’intero territorio. Però è assurdo che delle imprese continuino a fare questi tentativi pur essendo ormai evidente e documentato che si tratta di un progetto tecnicamente non realizzabili.
Ancora, in Iraq, due imprese italiane si sono aggiudicate una commessa da 30 milioni di euro per la manutenzione di otto impianti di turbogas che alimentano i campi petroliferi di Zubair, nelle vicinanze di Bassora. Questa notizia attira l’attenzione su una delle maggiori aree di sfruttamento petrolifero del mondo, scoperta nel 1949 e dove dal 2009 è presente anche l’Eni (che detiene il 41,6%) . A marzo sono stati avviati tre nuovi impianti di nuova generazione per il trattamento di olio, gas e acqua, che insieme ai cinque già esistenti, hanno aumentato la capacità a circa 650mila barili al giorno e consentono anche di massimizzare l’utilizzo del gas associato, mentre si prevede di iniettare nei giacimenti acqua per 300mila barili ogni giorno. Come si può comprendere, anche in questo caso non si prevede certo che l’utilizzo di petrolio e di gas possa diminuire nei prossimi anni.
Tutti questi episodi, molto recenti, possono destare molta preoccupazione, perché documentano il fatto che l’utilizzo dei combustibili fossili sembra continuare a svolgersi come in passato, senza la minima preoccupazione sul peggioramento del clima e dei danni arrecati all’ambiente. Ciò significa, anche, che molti Stati, pur avendo aderito all’accordo (con l’eccezione degli Stati Uniti) non intendono di fatto, almeno per ora, cominciare a imporre alle imprese di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili, per quanto siano così dannosi per l’ambiente.

Alberto Castagnola

fonte: https://comune-info.net