L’inquinamento della plastica è onnipresente. Non c’è interstizio del mondo in cui non si trovino frammenti di questo materiale ormai divenuto simbolo dell’Antropocene, l’età dell’uomo economico e del suo sviluppo dissennato.
Lo dimostra un nuovo studio, condotto dal Dr Alan Jamieson della Newcastle University, che ha trovato le prove della presenza di plastica nelle voragini più profonde dei nostri oceani. La scoperta inquietante entra a far parte di una campagna di sensibilizzazione sui
rifiuti plastici nei mari del pianeta: il team ha analizzato crostacei
provenienti dalla Fossa delle Marianne a quella del Giappone, da
Kermadeck alle Nuove Ebridi.
Si tratta di depressioni tra i 7 e gli 11 km di profondità: nel Challenger Deep della Fossa delle Marianne, il punto più profondo, si toccano i 10.890 metri. Studiando 90 campioni, gli esperti hanno trovato che molti di loro avevano ingerito frammenti di plastica. Nella Fossa delle Marianne, tutti i crostacei ne avevano dentro di sé. In particolare, si trattava di fibre cellulosiche semi-sintetiche, come Rayon, Lyocell e Ramie, tutte utilizzate in prodotti tessili, ma anche Nylon, polietilene, poliammide o polivinili non identificati, somiglianti a PVA e PVC.
Si tratta di depressioni tra i 7 e gli 11 km di profondità: nel Challenger Deep della Fossa delle Marianne, il punto più profondo, si toccano i 10.890 metri. Studiando 90 campioni, gli esperti hanno trovato che molti di loro avevano ingerito frammenti di plastica. Nella Fossa delle Marianne, tutti i crostacei ne avevano dentro di sé. In particolare, si trattava di fibre cellulosiche semi-sintetiche, come Rayon, Lyocell e Ramie, tutte utilizzate in prodotti tessili, ma anche Nylon, polietilene, poliammide o polivinili non identificati, somiglianti a PVA e PVC.
«Trovare fibre plastiche all’interno di
animali che vivono a 11 km di profondità – ha spiegato l’autore dello
studio, Alan Jemieson – mostra la dimensione del problema».
Oggi abbiamo un monitoraggio ad ampio
spettro dell’inquinamento di plastica nei nostri oceani, e conosciamo
gli effetti dannosi che può avere sugli organismi marini. Si stima che
circa 300 milioni di tonnellate di plastica stiano
viaggiando nelle acque mondiali, con oltre 5 mila miliardi di frammenti
soltanto in superficie, che “vantano” un peso superiore alle 250 mila
tonnellate.
Ma sebbene la maggior parte dei rifiuti
marini in questo momento si trovi sopra o poco sotto il pelo dell’acqua,
con il tempo il degrado e la frammentazione delle materie plastiche
finiranno per andare a fondo, depositandosi sui fondali e inquinando
irrimediabilmente gli habitat sottomarini. In questi luoghi, dove le
correnti sono minime, i rifiuti possono sedimentare in maniera
preoccupante.
fonte: www.rinnovabili.it