La partita che si sta giocando in Emilia-Romagna, in questi mesi, va
osservata con attenzione. Rispetto alle realtà del Paese ancora alle prese con
l’emergenza – discariche, termovalorizzatori ipotizzati o in
costruzione, esportazione di ecoballe -, qui siamo di sicuro un passo
avanti; ma proprio perché lo siamo, l’impostazione di un approccio in linea con
la politica europea diviene, a mio giudizio, inevitabile. I fatti.
L’Emilia-Romagna ha scelto per tempo la via
dell’incenerimento, quando essa appariva un’opzione
ambientalmente più accettabile dei pessimi sistemi di smaltimento precedenti (il
seppellimento dei rifiuti, tanto per esser chiari). Le
multiutility del territorio hanno investito in impianti assai
costosi e poi li hanno via via ammodernati nel corso degli anni, inserendosi in
uno dei business pubblici fra i più rilevanti e redditizi.
I problemi sono sorti quando la sensibilità dei cittadini nei confronti della
questione ambientale è progressivamente cresciuta, influenzando le politiche dei
partiti e delle amministrazioni. Da percezioni “di nicchia” si è passati a
orientamenti più vasti e diffusi: col risultato che gli eletti incaricati di
reggere le sorti dei comuni, per convinzione o per convenienza, hanno cominciato
ad inserire nei loro programmi di mandato obiettivi più ambiziosi: il
potenziamento della differenziata fino alla domiciliare, il
recupero di materia, la riduzione della quota da incenerire, l’idea – in
particolare – che il rifiuto sia una risorsa e non una maledizione
biblica. Questa opinione, del resto, non è solo nostrana: in Europa, essa è già
largamente condivisa e ha dato origine a veri e propri distretti e a filiere
economicamente strutturate. Qual è il punto? Il punto è la proprietà del
rifiuto.
Se, come accade oggi in molte regioni e largamente in Emilia-Romagna, le
multiutility che si occupano dello smaltimento hanno in mano pure la raccolta,
il ciclo successivo sarà definito dai piani industriali delle medesime società,
partecipate dal pubblico ma sovente quotate in borsa e quindi di fatto (e
giustamente, dal loro punto di vista) orientate al soddisfacimento dei
desiderata di azionisti e investitori. Se si separa la raccolta
dallo smaltimento, allora gli enti locali avranno maggiore possibilità di
decidere dell’uso di questa risorsa, senza delegarlo in
toto.
Ma tutto ciò, per non essere il frutto casuale di singole volontà
periferiche, ha senso sia inserito in un quadro coerente. Per questo, insieme
con il sindaco Pizzarotti di Parma e con altri sindaci e
amministratori emiliano-romagnoli, ho pensato di proporre alcune
modifiche al Piano regione per la gestione dei rifiuti,
attualmente all’esame della Regione. Frutto delle ricerche di specialisti
dell’Università di Modena e Reggio, le nostre osservazioni vanno proprio nella
direzione di rafforzare la lettura previsionale indirizzata verso il riciclo e
il recupero, in primo luogo di materia. Sono riflessioni, crediamo, non
particolarmente rivoluzionarie e dotate di un buon livello di attendibilità,
anche in un’ottica comparata. Eppure, si sono già levati scudi e scomuniche da
parte di tutti gli attori – politici e industriali – ostili, perché
cointeressati al mantenimento dello status quo. Reputo assai positivo
questo dibattito: ognuno scopre le sua carte, dice da che parte sta, si fa
chiaramente riconoscere dagli elettori. I quali, poi, decideranno.
fonte: ilfattoquiotidiano.it