C'è una bomba che ticchetta sotto ai
ghiacci dell'artico. Giacimenti di idrati di metano intrappolati che,
quando con lo scioglimento del permafrost finiranno in atmosfera,
avranno un effetto micidiale per il global warming.
Potrebbero causare infatti impatti per un danno economico paragonabile
all'intero prodotto interno lordo mondiale. Se il Pil del pianeta nel
2012 è stato di 72mila miliardi di dollari, i danni climatici aggiuntivi
causati dal rilascio in atmosfera del solo metano intrappolato
nell'Artico siberiano orientale potrebbero arrivare a 60mila miliardi di
dollari.
L'impressionante stima arriva da uno studio del Polar ocean physics group della Cambridge University, pubblicato ieri su Nature (link in fondo) e che usa la stessa metodologia dello Stern Review on the Economics of Climate Change, pietra miliare nella quantificazione del danno economico da global warming.
Una lettura da consigliare a quei governi che pensano che lo scioglimento della banchisa artica possa portare un beneficio economico,
aprendo nuove rotte per il commercio intercontinentale e permettendo di
raggiungere nuovi giacimenti di gas e petrolio (dato che si ritiene che
lì sia custodito rispettivamente il 30 e il 13% delle riserve ancora
non note di gas e petrolio).
Come sappiamo, la situazione dei ghiacci
artici già ora è preoccupante: mai la loro estensione si era ridotta
tanto come l'estate scorsa. A settembre 2012 era scesa a 3,5 milioni di
chilometri quadrati, il 40% in meno rispetto agli anni '70, per il 2020 ci si aspetta un artico in larga misura libero dalla banchisa durante la stagione estiva.
Il
rischio aggiuntivo, come detto, è che con lo scioglimento vengano
rilasciate le grandi quantità di metano intrappolate nei ghiacci sotto
forma di idrati. Per il clima sarebbe una bomba dato che questo gas
serra ha un un potere climalterante di 33 volte superiore a quello della CO2 sui 100 anni e 105 volte maggiore sui 20 anni (il
quarto rapporto IPCC del 2007 parla di un potere riscaldante sui 100
anni superiore di 21 volte alla CO2, ma la proporzione fatta sarebbe
superata perché non tiene conto dell'interazione con gli aereosol).
In particolare lo studio calcola l'impatto economico che avrebbe il rilascio in atmosfera dei 50 miliardi di tonnellate di idrati di metano
per ora custoditi dai ghiacci dell'Artico siberiano orientale. Una
bolla di gas enorme che potrebbe essere liberata gradualmente nel giro
di 50 anni ma anche venire rilasciata all'improvviso.
Gli
autori hanno ipotizzato che questo metano torni in atmosfera
gradualmente nel corso di un decennio (dal 2015 al 2025, ma l'impatto
non cambierebbe se il rilascio avvenisse più tardi, si spiega) e hanno
calcolato l'impatto climatico sovrapponendolo a due diversi scenari:
uno in cui le emissioni del pianeta continuano a crescere
business-as-usual e uno che presuppone che la CO2 venga ridotta
abbastanza da avere il 50% di possibilità di stare sotto alla soglia dei
2 °C di riscaldamento.
In entrambi i casi la bolla di metano artico anticiperebbe di 15-35 anni la data in cui il pianeta oltrepasserà la soglia critica dei 2°C (vedi grafici a fianco, si ingrandiscono cliccando). Per lo scenario business-as-usual questo appunto comporterebbe un aggravio dei danni di 60mila miliardi
di dollari, aumentando del 15% il totale dei costi economici da qui al
2200 che il cambiamento climatico provocherà, che arriverebbe così a 400mila miliardi.
In uno scenario low-emission invece la “bomba” al metano farebbe
aumentare di 37mila miliardi (il 45%) il conto, che sarebbe di 82mila
miliardi (vedi grafico sotto, con costi annuali).
Una stima allarmante, anche se per forza di cose approssimativa: difficile calcolare l'innesco dei possibili effetti a catena e tenere conto delle molte variabili in gioco. Ad esempio, se l'Artico diventasse teatro di estrazioni di idrocarburi e rotta di commerci, lo scioglimento dei ghiacci potrebbe accelerare a causa delle emissioni di particolato a livello locale date dai motori delle navi e dal gas flaring delle piattaforme.
In
ogni caso un conto salatissimo, che pagheremo sotto forma di
innalzamento del livello del mare, acidificazione degli oceani,
alterazione del pattern delle precipitazioni, intensificazione e aumento
della frequenza degli eventi metereologici estremi: gli impatti del
cambiamento climatico che ben conosciamo e che già in parte stiamo
vivendo. Ad esser colpiti in maniera più dura, è noto, saranno proprio i paesi più poveri (si veda a proposito l'ultimo report
della Banca Mondiale) ma non si risparmierà comunque quasi nessuno: ad
esempio tra le città che finirebbero sott'acqua sempre più spesso c'è
anche New York. Insomma, sembra proprio che stiamo sottovalutando il
problema clima: andando avanti quasi come niente fosse mentre la bomba
ticchetta.
fonte: qualenergia.it