Il Ri-uso si fa bello. Il Centro di Riuso a Capannori


Il Ri-uso si fa bello. Il Centro di Riuso a Capannori

Uno dei Passi culmine del decalogo Rifiuti Zero è quello che riguarda il riuso. Più del riciclo, in certi casi, il riuso può salvare un oggetto ancora valido, o dargli una seconda vita. Conseguentemente l’ammontare dei rifiuti diminuirà, come anche il numero degli oggetti comprati ex novo, che a loro volta sarebbero stati gettati. A Capannori, tramite Rifiuti Zero e con la collaborazione del Comune, ASCIT, Sistema Ambiente e la Caritas diocesana (Ascolta la mia Voce), nel 2011 è nato il primo centro di riuso nella zona. In questo articolo parleranno le operatrici del Centro di Ricerca che si occupano del progetto, cercando di capire il valore sociale, ambientale ed economico che il mercato (solidale) del riuso può avere.

Ri-uso, Ri-parazione, Ri-creazione. Il sesto Passo.
“Realizzazione di centri per la riparazione, il riuso e la decostruzione degli edifici, in cui beni durevoli, mobili, vestiti, infissi, sanitari, elettrodomestici, vengono riparati, riutilizzati e venduti. Questa tipologia di materiali, che costituisce circa il 3% del totale degli scarti, riveste però un grande valore economico, che può arricchire le imprese locali, con un’ottima resa occupazionale dimostrata da molte esperienze in Nord America e in Australia”.
(da i Dieci Passi Rifiuti Zero)
Partendo dal sesto Passo del decalogo Rifiuti Zero, riuso significa, quindi, vantaggio ambientale, economico e sociale per la comunità che inizia questa attività in termini concreti.
Ma cosa significa praticamente? Prima di tutto, riuso significa avere centri di raccolta e smistamento di oggetti di varia dimensione ed utilità. Le attività relative possono essere portate avanti da volontari, ma se integrato in un buon sistema economico, un centro di riuso può creare posti di lavoro, soprattutto se strutturato come “negozio” e non solo come magazzino.
In secondo luogo, può essere utile considerare il riuso non come un’alternativa al buttare una cosa, bensì l’azione diretta che consegue al pensiero “non voglio più/non mi serve più” questo determinato oggetto. In questo caso la sensibilizzazione della cittadinanza è fondamentale per incentivare questo modo di pensare. Infatti, in Italia il riuso è spesso sinonimo di povertà o carità. Nel Nord Europa è invece sinonimo di attività fiorente. La Svezia è il Paese europeo che ha investito di più in questo approccio economico-ambientale, affiancando a centri e negozi di riuso anche professionisti della riparazione (elettronica, meccanica, elettrica) e artisti. Infatti, laddove il riuso (e il riciclo) hanno difficoltà, l’arte è un magnifico modo per dare nuova vita – ri-creare – ad un materiale o un oggetto intero. I corsi di ri-creazione artistica e di auto riparazione sono funzionali sia per ciò che insegnano, sia per la sensibilizzazione che si attua tramite queste iniziative. Il riuso, infatti, ha un valore sociale importante: non solo perchè si da la possibilità – avendo prezzi più bassi del nuovo – a chi non ha certe possibilità di avere determinati beni, ma anche perchè si da valore ad un oggetto in se stesso, andando contro la mentalità dell’usa e getta introdotta dal sistema capitalistico globale negli ultimi decenni, che ha avuto come uno dei risultati l’aumentare vertiginosi dei rifiuti.
Il riutilizzo, la riparazione e la ri-creazione di un oggetto non potevano non essere azioni importanti nella filosofia Rifiuti Zero come strategia verso una società sostenibile.
Il Centro di Ri-uso di Capannori: quando la causa sociale incontra l’ambiente.
Camilla è una designer del Centro di Ricerca Rifiuti Zero. Si è avvicinata alla strategia grazie ad un suo professore dell’università, tramite cui ha poi conosciuto Ercolini e iniziato così a collaborare con il Centro, fino a far parte del team operativo. La sua prima collaborazione è stata la ricerca relativa alla tesi magistrale: la progettazione dei centri di riuso (in particolare quello di Capannori).
“A sabati e domeniche alterne io e il mio collega di progetto – eravamo in due a presentare la tesi – andavamo all’isola ecologica di Salanetti 2 a fare una sorta di osservazione sul tipo di oggetti le persone buttavano. Facevamo poi domande per capire se la cittadinanza, presentata la possibilità, fosse disponibile a riutilizzare quei beni, piuttosto che buttarli. Sembra banale ma come ogni progetto relativo alla riduzione dei rifiuti, il servizio funziona solo se c’è la partecipazione della popolazione”, mi spiega Camilla durante la nostra intervista. Negli anni successivi, Camilla ha continuato ad osservare le utenze di Salanetti, riscontrando che con l’apertura del centro di riuso c’era stato un netto cambiamento. “Prima trovavamo un sacco di scarpe, ferri da stiro etc, ma poi i cittadini iniziarono a portare queste cose al centro di riuso. C’è stato un miglioramento visibile, che continua a progredire”.
Il centro del riuso ha aperto i battenti nel 2011, grazie alla collaborazione tra il Comune di Capannori, il centro di ricerca Rifiuti Zero, Ascolta la mia Voce e ASCIT – successivamente Sistema Ambiente inizierà a collaborare -. Situato accanto l’isola ecologica di Salanetti, nella frazione di Lammari (Capannori), sin dall’apertura ha ricevuto tonnellate annue di oggetti di vario tipo, da vestiario a mobili, giochi per bambini, accessori per la casa ed elettrodomestici.
Immagine del Centro di Riuso di Salanetti (Lammari)
Immagine del Centro di Riuso di Salanetti (Lammari)

Incontro Amina, la direttrice, una fredda mattina invernale. Mi aspetta alla sbarra che separa il centro dalla stazione ecologica. Molto spesso i volontari del centro “stanno alla sbarra”, ossia controllano la merce dei camion che entrano, prendendo quello che può ancora essere riutilizzato. “Tutto quello che raccogliamo sarebbe finito nell’isola ecologica qui accanto”, mi dice, quando le faccio notare la quantità di merce che tengono. Amina è parte del team operativo del Centro di Ricerca Rifiuti Zero, ed ha iniziato a collaborare nel centro di riuso tramite il servizio civile per Caritas, da cui poi è stata assunta come dipendente per gestire il centro stesso. Oltre a lei, a far funzionare il centro sono tutti volontari della Caritas diocesana di Lucca e dell’associazione Ascolta la mia voce, una trentina di persone in tutto. Soprattutto pensionati, si dedicano alla cura dei servizi che il centro svolge (traslochi e trasporto immobili, soprattutto) e alla sua gestione. “La merce che arriva è così tanta che a volte mi domando come sia possibile che entri tutta qui! Il lavoro dei volontari è fondamentale e formidabile, senza di loro non esisterebbe il centro”, continua Amina, mentre mi mostra l’enorme magazzino dove sono ordinati tutti gli oggetti. Mi fa notare che avendo a disposizione molto posto ma in un unico, grande ambiente si sono dovuti arrangiare a creare una sorta di “aree tematiche”: da una parte vi sono materassi, reti, supporti letto di ogni misura con armadi stracolmi di lenzuola, federe e quant’altro. Più in là ci sono una serie di mobiletti adatti per il bagno e la toiletta, alcuni anche di un certo valore di modernariato. Poi tavoli con annesse tovaglie e sedie, credenze. All’entrata dell’edificio vi sono due stanze, allestite simili ad un emporio, dove si trovano vestiti, scarpe e accessori di vario genere. E poi ancora giochi per bambini, posate ed interi servizi di piatti e bicchieri, elettrodomestici.
“Uno dei motivi per cui il centro esiste è quello di rispondere alle necessità delle fasce più deboli della società di vestirsi e arredarsi casa. I nostri clienti abituali sono soprattutto immigrati, ma con la crisi si sono create delle nuove povertà, e anche molti italiani iniziano a venire qui”, mi spiega Amina. Quali risultati? La situazione oggi.
Nel 2013 il centro ha distribuito 89,7 tonnellate di mobili e 15,2 tonnellate di vestiario.
Vista la frequenza degli arrivi e l’aumento del numero delle persone che hanno bisogno o che solo vengono a curiosare, sono stati aperti altri due punti nella seconda metà di giugno. Il primo, nella frazione di Coselli, è strutturato come un emporio, “in modo che anche chi viene a prendere ciò che serve non lo senta come carità, ma come un servizio sociale e ambientale. Molto spesso si dimentica che un centro di riuso non è un ‘donare ai poveri’ bensì il consentire ad un oggetto di avere una seconda vita, anche quando noi non lo desideriamo o non ci serve più”, dice Amina.
Il secondo punto si trova a Pontetto, ed ha le stesse funzioni del centro di raccolta descritto prima: magazzino e laboratorio di riparazione e ri-creazione. Qui sono state assunte due persone grazie alla collaborazione di Sistema Ambiente e la cooperativa SO&CO, le quali garantiscono le aperture del centro ogni giorno e danno un mano ai volontari nell’organizzazione.
daccapo
Questa reticolazione del mercato – solidale – del riuso è un’azione diretta dall’iniziativa Daccapo – che ha poi dato il nome all’emporio di Coselli -, che ha permesso l’organizzazione di un sistema integrato per il recupero di beni destinati a diventare rifiuti. Gli oggetti vengono selezionati, sistemati, se necessario riparati, in alcuni casi re-inventati e rimessi a disposizione dei cittadini. Il modello che si sta seguendo, mi fanno notare sia Amina che Camilla, è quello del mercato del riuso svedese, con un occhio particolare all’esperienza dell’Ecoparco Municipale della città di Gotheborg (per chi mastica un poco di svedese https://www.youtube.com/watch?v=kg7O_Xv59A8), dove entrambe – insieme ad altri ricercatori del Centro di Ricerca – sono state. “E’ il più grande di Europa ed è bellissimo ed organizzatissimo. Più che vera e propria riparazione – se non per biciclette e arredo – fanno corsi di riparazione artistica. Uno andava lì con una sedia e un ferro da stiro e ci tirava fuori una forma d’arte. Molto interessante e soprattutto utile!”, dice Camilla. “Dobbiamo far passare l’idea che il riuso è utile al portafoglio e all’ambiente, e può avere lo stesso valore sociale dei mercati di modernariato e antiquariato. Solo che noi lo facciamo in un’ottica solidale, senza volontà di lucrarci sopra”, conclude Amina.
Importante in questo frangente, pare la sensibilizzazione della popolazione: non solo a portare oggetti ancora validi ad un centro di riuso, ma ad intendere il riuso stesso, insieme alla riparazione e la ri-creazione, come un’azione e un pensiero normale nella vita quotidiana.
Concludendo, il centro di riuso, così organizzato in mercato solidale, è un ottimo esempio di empowerment della popolazione in una comunità: non solo c’è l’attenzione per certe problematiche sociali di nuove o già conosciute povertà, ma l’intero progetto mira ad unire un servizio sociale ad uno ambientale in direzione della diminuzione dei rifiuti, portando alla creazione di un sistema economico che mira all’autosufficienza (ciò che è guadagnato è usato per pagare i dipendenti) e alla conseguente creazione di posti di lavoro. La diminuzione dei rifiuti, quindi, porta non solo ad un beneficio ambientale, ma anche economico e sociale che va tutto a favore di una condizione di vita migliore della cittadinanza. E che cos’è l’empowerment se non la progressiva acquisizione di potere della collettività nelle decisioni comunitarie, nella creazione di una società migliore? Rifiuti Zero intesa come modo di pensare ha creato un contenitore adeguato per creare collaborazione tra amministrazione comunale, organizzazioni e associazioni per il volontariato sociale e la popolazione che partecipa e contribuisce in prima persona – come volontario, come cliente – alla buona condotta del progetto, creando così una società più solidale e più sostenibile.

fonte: www.rifiutizerocapannori.it