Con nonchalance siamo abituati a gettare cibo ancora commestibile per tutta una serie di motivi che riguardano le quantità acquistate, l’incapacità di pianificazione dei pasti, la scarsa capacità a leggere le etichette.
A questo inconcepibile quanto dannoso spreco concorre anche la ristorazione. Sempre secondo l’indagine condotta dai protagonisti di Just Eat It, i ristoranti tendono a servire pietanze abbondanti
per venire incontro a clienti molto poco sensibili alle questioni
ambientali e schiavi della sovrabbondanza. Gli avanzi che lasciamo nel
piatto o i cibi che rimangono nelle cucine rappresentano non solo un
consumo mancato. Il cibo gettato è spreco di energia nonché
spazzatura che con le sue emissioni è concausa del riscaldamento globale
e dei cambiamenti climatici.
Nel tentativo di cercare
di contenere tanto spreco, per sensibilizzare i cittadini alle tematiche
ambientali e convincerli ad adottare stili di vita più sostenibili, in Europa si stanno facendo timidamente largo alcuni ristoranti che cucinano e servono il cosiddetto “cibo salvato”.
In questi ristoranti si cucinano cioè quegli alimenti che seppur ancora
commestibili finirebbero dritti in discarica a inquinare e avvelenare
il nostro pianeta. A riempire pance vuote e a deliziare palati
sopraffini, spesso ci pensano cuochi, per lo più volontari, che si
dilettano in raffinate preparazioni.
Se volete dunque fare del bene all’ambiente e dare il buon esempio, potete recarvi all’Instock di Amsterdam,
non senza aver prenotato prima. Pare infatti che la voglia di salvare
cibo dal cassonetto sia per fortuna diventata una moda. Il ristorante ha
fatto convenzioni con la grande distribuzione e con alcune fattorie
della zona che forniscono le materie prime.
Rimanendo nel Nord Europa e più precisamente a Copenhagen ha aperto nel 2013 il Rub&Stubs
(“Tutto, senza eccezioni”). Il ristorante in barba alla superstizione è
nato di venerdì 13 da un’idea di un gruppo di studenti. Oggi raccoglie
circa un centinaio di volontari che oltre a cucinare deliziosi piatti
con gli scarti devolvono parte dei loro ricavati ad alcune associazioni
attive in Sierra Leone. Qui vengono serviti piatti con la merce che le
aziende non possono mettere in commercio per questioni estetiche,
eccessi di produzione o vicinanza alla scadenza.
Infine a Leeds nel Regno Unito c’è il Pay as you feel, cafè che fa parte di un più ampio progetto denominato “The Real Junk Food Project”. Edd Colbert,
23 anni, uno dei direttori del ristorante, una laurea in sviluppo
internazionale con specializzazione in politica di cibo, dichiara: «Pay as you feel è un mezzo per colmare la barriera che si frappone tra produttori e consumatori».
Non ci
sono prezzi fissi. Ognuno paga quello che crede opportuno. C’è chi
soddisfatto paga 50 euro per un panino e chi invece non potendo
permetterselo mangia gratis. All’interno del ristorante è attivo uno
spazio “swap-shop” per permettere ai cittadini di scambiarsi cibo non
consumato.
Ovviamente in questi
virtuosi ristoranti il menù cambia ogni giorno. Le pietanze dipendono
dagli approvvigionamenti, ovvero da cosa arriva nelle cucine. Non
semplici ristoranti quindi ma iniziative concrete atte a promuovere una
nuova cultura ambientale più attenta allo spreco e alle buone pratiche.
fonte: http://www.serr2014.it