Nel giro di due anni si esauriranno le discariche italiane

Secondo il Report di Was ancora troppo sbilanciato sull’interramento il mix dei rifiuti del Belpaese. E se non si corre ai ripari...

Dal 2011 al 2013, secondo il primo report annuale del think tank sulla gestione dei rifiuti WAS, i rifiuti prodotti dalle famiglie italiane sono diminuiti, complice anche la crisi economica, passando da 31,4 a 29,6 milioni di tonnellate. La raccolta differenziata è aumentata nel triennio di quasi il 5%, ed è diminuito di oltre il 5% lo smaltimento in discarica.

Le notizie positive però finiscono qui, perché, fanno notare dalla società di consulenza Althesys, cui fa capo il gruppo di ricerca, «il mix di gestione italiano rimane ancora troppo sbilanciato sulle discariche”, visto che “in alcune aree del nostro Paese sono la destinazione finale di oltre il 90% dei rifiuti urbani prodotti (la media nazionale si attesta sul 37%)». Le situazioni più critiche, da questo punto di vista, si registrano in Sicilia, Calabria, Lazio, Puglia e Liguria, ma le cattive pratiche sono presenti, a macchia di leopardo, in buona parte del territorio nazionale.

Una dipendenza dall’interramento che si accompagna in diversi casi all’assenza di piani regionali aggiornati e strategie efficaci, esponendo l’Italia a continue emergenze. Secondo il WAS, infatti, «con i ritmi attuali di smaltimento, le discariche italiane si esauriranno entro i prossimi due anni». Nel frattempo, le criticità del sistema italiano non hanno favorito gli investimenti in impianti di trattamento dei rifiuti per l’avvio al riciclo e in quelli di smaltimento. Il sistema è rallentato dalle «incertezze circa i sistemi di finanziamento dei servizi ambientali da parte degli enti locali; i ritardi e le incoerenze della pianificazione regionale; la mancanza di chiarezza nella normativa nazionale; le opposizioni locali alla costruzione degli impianti di trattamento e smaltimento». Le società che hanno deciso di scommettere sul futuro lo hanno fatto sotto la spinta degli obiettivi di riciclo per i prossimi anni fissati a livello comunitario (il 50% di rifiuti riciclati al 2020 e il 70% entro il 2030).

Solo i 70 maggiori operatori nazionali pubblici e privati, che servono oltre la metà della popolazione, hanno così destinato alla manutenzione straordinaria e all’ammodernamento di impianti 1 miliardo di euro nell’ultimo triennio. Periodo in cui si sono verificate anche molte operazioni di aggregazione (una trentina solo nel 2013 secondo il WAS), perché oggi sono le multiutility e le aziende in grado di presidiare tutte le fasi della filiera le società più redditizie.

Investimenti e operazioni sulle quali pendono ora diversi punti interrogativi. Con la recente decisione della nuova Commissione europea guidata da Jean-Claude Juncker di stralciare il pacchetto di misure sull’economia circolare, che conteneva anche i target di riciclo per i prossimi anni, in molti si chiedono come reagirà il settore. L’esecutivo europeo ha depennato il dossier dal proprio programma operativo per il 2015, con la promessa – che però ha piuttosto il sapore di un pretesto – di presentare obiettivi più ambizioni entro la fine del prossimo anno. Il ritiro della proposta di direttiva era stato chiesto da BusinessEurope, l’associazione degli industriali del vecchio continente di cui fa parte anche Confindustria: eppure, oltre a danneggiare l’ambiente, la manovra di Juncker farà male anche alla green economy. «Con questa scelta si perde una grande occasione di rilancio dell’economia grazie ad una strategia virtuosa e ragionata: il raggiungimento degli obiettivi previsti per il 2030 dalle revisioni delle direttive UE - 70% di riciclo totale - avrebbe comportato benefici potenziali netti per l’Italia fino a 15 miliardi di euro circa», fa notare l’esperto di politiche ambientali e ad di Althesys Alessandro Marangoni. Un tesoretto superiore al valore della candidatura alle Olimpiadi del 2024 dell’Italia, che per ospitare i Giochi dovrebbe spendere circa 10 miliardi di euro.

fonte: www.lastampa.it