La storia è questa. I produttori di
imballaggi pagano al sistema Conai un contributo ambientale che
rappresenta la forma di finanziamento attraverso la quale il Consorzio
Nazionale Imballaggi ripartisce tra produttori e utilizzatori il costo
per i maggiori oneri della raccolta differenziata, il riciclaggio e il
recupero dei rifiuti di imballaggi. Solo che questi tipi di imballaggi
che sono compostabili e che quindi sono conferiti nell'umido, non
vengono smaltiti dal sistema Conai ma dagli impianti di compostaggio.
Insomma, “lo shopper paga il contributo Conai ma lo ricicla il Cic”, afferma all'Adnkronos, Massimo Centemero,
direttore del Cic, Consorzio italiano compostatori. Ma non è questo
l'unico elemento di perplessità su questi nuovi tipi di imballaggi.
Quello delle bioplastiche “è sicuramente un settore affascinante
ma non tutti gli impianti sono strutturati per ricevere tutte le
tipologie di manufatti compostabili”. Secondo il direttore del Cic, “mancano le condizioni tecniche, tecnologiche e operative”.
Purtroppo, sottolinea il direttore del Cic, “nessuno si è preoccupato del fine vita di questi materiali”. Quando si immette sul mercato un nuovo materiale per Centemero, “bisogna invece considerare tutta la filiera: dalla produzione alla vendita fino al fine vita”.
Si tratta di “costruire un sistema, possibilmente insieme ai
riciclatori della parte organica”. Prima di conferire questi imballaggi
nell'umido, dunque, il consiglio è: “verificare con l'ente gestore di
zona se l'impianto accetta quel tipo di materiale”.
Ma cosa succede se quella bio
bottiglia, compostabile al 100% ma dalle fattezze identica ad una
normale bottiglia realizzata in Pet, finisce nel sacchetto della
plastica? Finisce a recupero energetico, ovvero alla termovalorizzazione
ed ecco che si perde il valore ambientale del prodotto. "Le macchine selezionatrici, spiega Diego Barsotti,
responsabile comunicazione Revet, che raccoglie, seleziona e avvia a
riciclo plastiche, acciaio, alluminio, vetro, poliaccoppiati (come il
Tetra Pak) di gran parte della Toscana, “individuavano tali bottiglie
come materiale da scartare e avviare a recupero energetico". Si tratta
di "uno spreco di risorse perché il materiale, viene raccolto,
trasportato e selezionato per poi andare a recupero energetico".
Nel 2011, spiega Barsotti, “abbiamo
effettuato una campionatura delle bottiglie in Pla (Acido Polilattico)
nel momento di maggiore diffusione delle biobottle, che all'epoca sono
risultate essere il 2% del totale delle bottiglie”. Adesso, però,
“stimiamo che la percentuale di biobottle sia molto calata, di solito ne
troviamo quantità significative soltanto in caso di promozioni e sconti
offerte dai grandi centri commerciali”.
Secondo Silvia Ricci, responsabile campagne dell'associazione Comuni virtuosi che ha promosso una specifica campagna sugli imballaggi 'Meno rifiuti più benessere in 10 mosse', questo dimostra che "non
esistono materiali buoni e cattivi 'a prescindere' con cui realizzare
imballaggi poiché dipende dall'impatto ambientale complessivo. Un ruolo
fondamentale nella valutazione del ciclo di vita delle varie tipologie
di imballaggi, soprattutto quando si parla di eco design, è il contesto
in cui avviene il fine vita".
"Se venisse a crearsi un sistema
in cui la raccolta separata del pla o altro 'nuovo' materiale sarà
attuabile, ben venga. Ai comuni - conclude Ricci -già non vengono
corrisposte le risorse necessarie per fare le raccolte differenziate
attuali, figurarsi se potranno mai essere messi nelle condizioni
economiche per affrontare il crescente aumento della complessità degli
imballaggi". **
fonte: http://www.comunivirtuosi.org