Il capodanno della scuola vuole il suo rito del ritorno, che è sempre rito dell’inizio. Rito dei desideri, rito della speranza. “… Saper sperare insieme, saper avere dei desideri – scriveva Danilo Dolci – vuol dire avere il senso della direzione. Vuol dire sapere creare progetti che sono indispensabili perché non soltanto si procede spingendo i passi ma si procede anche nella misura in cui noi sappiamo aspirare”.
Il ritorno, che non è mai lo stesso, cerca il nuovo. E lo teme. La buona scuola era quella nostra, quella che avevamo imparato a fare in libertà e coscienza, era il nostro nuovo di ogni giorno, il nostro essere negli inizi, guardandoci negli occhi. Settembre, mese di passaggio, lo si vuole pieno di prove per valutare, misurare, riempire griglie. Non ci credo, raccontano frottole sulle conoscenze che si sono un po’ perse nell’acqua del mare, sciolte sotto il sole d’agosto. Raccontano male chi è ogni bambino.
Quest’anno però l’ho fatta la mia prova d’ingresso. In una scuola che non è la nostra, in un’aula da dividere con una classe delle medie in cui il sole entra spietato dalle finestre senza tende. Senz’armadio, con una cattedra senza cassetti, una piccola lavagna bianca in un angolo. Coi materiali da portare su e giù da casa. Ma noi ce la faremo, trasformeremo ogni difficoltà in una diversa opportunità, perché come diceva Antonio Gramsci:
“Siamo forti e ci vogliamo bene.
E siamo semplici, e tutto è naturale in noi.
Vogliamo essere forti spiritualmente,
e semplici e sani e volerci bene così,
perché ci vogliamo bene e questa è la più bella
e più grande e più forte ragione del mondo”.
E siamo semplici, e tutto è naturale in noi.
Vogliamo essere forti spiritualmente,
e semplici e sani e volerci bene così,
perché ci vogliamo bene e questa è la più bella
e più grande e più forte ragione del mondo”.
Siamo usciti fuori. Abbiamo cercato il nostro centro. Ci abbiamo messo una lumaca e ci abbiamo costruito intorno e in tondo cerchi di pere selvatiche, di foglie secche, di ghiande e legnetti, di sassolini colorati, di cous cous, di fave e lenticchie, di riso, di stracciabraghe, di mirto odoroso … Il nostro universo – che è sempre pluriverso – inizia da qui. Dal nostro mandala di semi di terra. Da questa armonia. Dal tempo che ci prenderemo senza fretta, il tempo che ci serve per imparare e vivere, per la scuola che vogliamo, lenta, profonda e dolce. I bambini non lo sanno che è da lontano che tutto questo viene. Ma io sì. E a quei maestri sono grata, a loro devo il senso della direzione che non voglio smarrire.
Si è alzato il libeccio e disperderà il nostro lavoro nell’aria e nella terra. Così deve essere. Per poter sempre ricominciare.
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Rosaria Gasparro