I
più poveri ed esposti alla crisi del clima non potranno far sentire la
loro voce nei giorni della COP 21 perché il governo ha vietato le
manifestazioni
La sicurezza di chi
stiamo proteggendo con ogni mezzo necessario? La sicurezza di chi viene
“casualmente” sacrificata? Queste sono le domande alla base della crisi
climatica, secondo Naomi Klein, e le risposte «sono la ragione per cui i vertici sul clima
finiscono così spesso in amarezza e lacrime». La scrittrice-attivista
canadese di fama globale non è d’accordo con la decisione del governo
francese di vietare le manifestazioni pubbliche durante la COP 21, e ha affidato la sua denuncia al Guardian.
«La decisione è inquietante per molti
aspetti – scrive la Klein – Quello che mi preoccupa maggiormente ha a
che fare con il modo in cui riflette la disuguaglianza fondamentale della crisi climatica in sé.
Le persone che subiscono i peggiori impatti dei cambiamenti climatici
non hanno praticamente nessuna voce nei dibattiti occidentali. Per due
settimane ogni pochi anni, ottengono un po’ di spazio nel luogo in cui
vengono prese le decisioni cruciali. Ora il governo francese ha deciso
di silenziare il più forte di questi megafoni, sostenendo che i cortei comprometterebbero la sua capacità di proteggere la zona in cui i politici si incontreranno».
Ma perché, si chiede la scrittrice,
diciamo sì all’arrivo dei leader globali, alle partite di calcio e ai
mercatini di Natale e no a marce climatiche e proteste?
«Alcuni dicono che tutto ciò è legittimo
in un contesto di terrore. Ma un vertice sul clima delle Nazioni Unite
non è come una riunione del G8 o dell’Organizzazione mondiale del
commercio, dove i potenti si incontrano e gli impotenti tentano di
rovinargli la festa. Gli eventi paralleli della società civile non sono
un “qualcosa in più” o una distrazione rispetto all’evento
principale. Essi sono parte integrante del processo. È per questo che al governo francese non si doveva concedere di decidere quali parti del vertice annullare e quali tenere in piedi».
Naomi Klein sostiene che bisognava
chiedersi: dopo gli attacchi del 13 settembre, Parigi è in grado di
ospitare il vertice, marce comprese? Se la risposta fosse stata
negativa, si sarebbe dovuto coinvolgere un altro Paese e ritardare il
summit. La scelta di reprimere il dissenso ha un valore concreto, ma
anche simbolico.
«Il cambiamento climatico è una crisi
morale, perché ogni volta che i governi dei Paesi ricchi non riescono ad
agire mandano il messaggio che noi del mondo del Nord stiamo
mettendo i nostri comfort e la sicurezza economica davanti alla
sofferenza e alla sopravvivenza di alcune delle persone più povere e
vulnerabili del pianeta. La decisione di vietare gli spazi più
importanti in cui sarebbero state ascoltate le voci delle persone
colpite dai cambiamenti climatici è una drammatica espressione di questo
abuso profondamente immorale di potere: ancora una
volta, un Paese occidentale ricco sta ponendo la sicurezza delle élite
prima degli interessi di coloro che lottano per la sopravvivenza. Ancora una volta, il messaggio è: la nostra sicurezza non è negoziabile, la vostra è in palio».
fonte: www.rinnovabili.it
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