Petrolio. Il governo non si rassegna, al lavoro per convincere le regioni sul no al referendum: si sfila l'Abruzzo

Il governo non si rassegna al rischio di un referendum sulle trivellazioni petrolifere. E riesce anche a ottenere dei risultati, in vista della decisione della Corte Costituzionale, che martedì potrebbe approvare almeno uno dei sei quesiti chiesti da Regioni e comitato No Triv, quello sui permessi di ricerca ed estrazione in mare, già ammesso e confermato dalla Cassazione. Sostanzialmente adesso la strategia del governo è cercare di spaccare il fronte dei referendari. E ieri è arrivato il primo frutto: il governatore dell’Abruzzo, Luciano D’Alfonso, con una decisione di giunta ha scelto di ritirarsi. Ma senza avvisare il consiglio regionale che ha votato a favore del referendum, denunciano i ‘No triv’. In cambio, il presidente abruzzese avrebbe ottenuto una promessa di eliminazione del programma di estrazioni ‘Ombrina mare’, per ora soltanto sospeso dall’ultimo bollettino idrocarburi del Mise in attesa della concessione mancante.
Significa che martedì quando la Consulta riunirà la camera di consiglio per decidere sulla consultazione popolare anti-trivelle, l’Abruzzo figurerà tra le regioni che si schierano con il governo contro le altre 9 amministrazioni regionali che chiedono il referendum. L’atto che chiede alla Corte Costituzionale il rigetto dei quesiti è stato presentato stamattina a Roma dall’avvocatura della Regione Abruzzo.
Insomma, dal fronte referendario si sfila la Regione più in vista nelle proteste ‘No triv’. E’ una batosta per il comitato No triv. D’Alfonso dice: "Riteniamo che sia cessata la materia del contendere. Dal 20 di gennaio riprendiamo un'iniziativa istituzionale, come da delega dei cittadini, per fare in modo che il Governo e il Parlamento producano nuova norma e nuovo assetto per aumentare il mare blu e per superare il problema delle isole Tremiti, che costituiscono un giacimento dell'umanità".
Il comitato aquilano di ‘Possibile’, movimento di Pippo Civati che fa parte del fronte No triv, gli chiede di “riferire in consiglio regionale”. "Apprendiamo con sgomento e stupore – sottolinea ‘Possibile’ in una nota - che la Regione Abruzzo, contrariamente alle altre 9 Regioni che si sono mosse per i referendum contro le trivellazioni, non avrebbe intenzione di tutelare gli interessi dei propri cittadini. Dopo i provvedimenti farsa del governo, in chiusura d'anno, sui permessi di prospezione e sulle concessioni ed in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sui referendum la prossima settimana, la Regione Abruzzo decide di ritirare la delega per i referendum al professor Mangiameli. Chiediamo, perciò che il Presidente D'Alfonso faccia immediatamente chiarezza sulla vicenda e che riferisca con urgenza davanti al Consiglio regionale su quali siano le reali volontà sue e dell'intero governo regionale".
I deputati di Alternativa Libera; Marco Baldassarre, Massimo Artini, Eleonora Bechis, Tancredi Turco, Samuele Segoni attaccano: “In meno di 24 ore il presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso del Partito Democratico, e la sua Giunta hanno tradito tutte le istanze portate avanti dai comitati Notriv schierandosi con il governo contro i referendum. Ieri infatti la giunta regionale dell’Abruzzo ha deciso di revocare il mandato all’avvocato che era stato incaricato di seguire l’iter dei quesiti referendari contro le trivellazioni petrolifere davanti alla Corte Costituzionale, andando così a rompere di fatto il fronte delle 10 regioni che hanno promosso i referendum. L’iniziativa adottata ieri in gran segreto dalla giunta D'Alfonso oltre ad essere illegittima, visto che la decisione di promuovere il referendum era stata assunta dall’intero Consiglio Regionale abruzzese, è un vergognoso gesto di sottomissione del governatore dell’Abruzzo al presidente del Consiglio Matteo Renzi che attraverso un emendamento alla legge di Stabilità ha provato a cancellare i referendum sulle trivellazioni".
Ma c’è dell’altro. Pare che sull’onda di questa nuova strategia partita da Roma, anche la Campania abbia fatto un mezzo dietrofront. Pur restando tra le nove regioni che chiedono il referendum, la regione governata da Vincenzo De Luca aveva infatti garantito il suo appoggio al conflitto di attribuzione sollevato da altre sei amministrazioni regionali dopo la scelta della Cassazione di bocciare cinque dei 6 quesiti richiesti, alla luce delle modifiche apportate in legge di stabilità a fine 2015. Le sei regioni sono: Basilicata, Veneto, Puglia, Marche, Liguria e Sardegna. La Campania aveva inizialmente detto sì ma poi si è sfilata. Nemmeno Calabria e Molise, due delle dieci regioni che hanno chiesto il referendum, hanno sollevato il conflitto di attribuzione contro il governo. La Corte Costituzionale dirà la sua martedì prossimo.

fonte: www.ansa.it