Giocano sulla nostra pelle

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Questa raccolta di notizie fornisce elementi sulle dimensioni dei meccanismi di danno ambientale, ma comprende alcuni degli effetti che più direttamente colpiscono le popolazioni spesso tenute all’oscuro delle cause più lontane della attuale situazione, specie climatica. Siamo infatti preoccupati, sulla base delle prime indicazioni che emergono nel grande vertice di Parigi, che le soluzioni urgenti e necessarie sulle quali si dovrebbe concentrare un accordo vincolante e assolutamente coinvolgente, possano essere spinte ai margini da dichiarazioni di principio proiettate in un futuro lontano e da ennesimi tentati di intervenire sulle situazioni più drammatiche (specie in Africa) tante volte rimandati e dimenticati. Nel loro insieme le notizie qui raccolte con poca sistematicità, dovrebbero infine indurre a non trascurare le connessioni che collegano fenomeni apparentemente lontani.
  1. Carne. I francesi mangiano 89 chili di carne all’anno a testa, due volte più dei bisnonni. Gli italiani 89 chili, gli statunitensi 125. In tutto il mondo vengono uccisi ogni anno 65 miliardi di animali per l’industria alimentare. La produzione di carne è quintuplicata tra il 1950 e il 2000. I lavoratori del settore della carne sono spesso sfruttati, sottopagati ed esposti a rischi fisici e psicologici. Negli Stati Uniti ogni anno il 25% dei lavoratori del settore della carne si ferisce o si ammala, con un tasso di infortuni che è il doppio della media del settore manifatturiero del paese. Il numero di maiali venduti in media da un allevamento statunitense è passato da 945 nel 1992 a 8400 nel 2009, e il peso medio di un maiale abbattuto è passato da 67 chili nel 1970 a 100 oggi. In Francia, l’83% degli 800 milioni di polli da allevamento vive senza mai vedere la luce del sole. Per produrre un chilo di manzo servono 15.500 litri di acqua, per un chilo di maiale 4900 litri, per un chilo di pollo 4000 litri ( per un chilo di mele servono 700 litri di acqua, 184 per un chilo di pomodori, e 131 per un chilo di carote). L’allevamento di carne è responsabile del 14,5 per cento delle emissioni di gas a effetto serra, più dell’intero settore dei trasporti. In tutto il mondo il 70% dei terreni agricoli è usato per nutrire gli animali. Per produrre un chilo di carne servono tra i 7 e i 12 chili di cereali. Gli animali sono allevati in condizioni crudeli, sono maltrattati e hanno una vita sempre più breve. Nel tempo impiegato a leggere questo articolo, sono stati uccisi 190.000 animali in tutto il mondo. Ogni volta che mangiamo una bistecca dovremmo ricordare quanta sofferenza e violenza ci mettiamo in bocca. Più che per la nostra salute, è innanzitutto per ragioni ambientali, economiche ed etiche che dovremmo smettere di consumare carne. (G. De Mauro, Internazionale n.1126, del 30 ottobre 2015)
  2. Carne inquinante. “All’inizi del 2015 il comitato scientifico nazionale per la nutrizione, ha dato alcuni consigli di senso comune alle agenzia federali che devono aggiornare le linee guida sull’alimentazione degli Stati Uniti: gli americani, ha detto il comitato, devono essere spinti a consumare meno carne per il bene dell’ambiente”, racconta “Slate”. Peccato che le nuove linee guida non conterranno questo suggerimento. Si dovranno aspettare altri cinque anni , una nuova amministrazione e il prossimo aggiornamento delle linee guida perché, forse, il consiglio venga accolto. L’allevamento di animali rappresenta il 14,5% delle emissioni mondiali di gas serra, soprattutto a causa della produzione dei mangimi. “Una persona che consuma carne è responsabile del riscaldamento climatico in misura doppia rispetto ad un vegetariano e quasi tripla rispetto a un vegano”, continua “Slate”. La produzione di carne bovina è particolarmente dannosa per l’ambiente, rispetto a quella suina o di pollo, non solo per le emissioni, ma anche per il consumo di suolo e acqua. In occasione dell’aggiornamento delle linee guida “la scienza non sembra aver avuto alcuna chance contro l’industria della carne”, una lobby potente, conclude il giornale on line, pronta a far sentire la sua voce a Washington. Le agenzie federali coinvolte nell’aggiornamento delle raccomandazioni sull’alimentazione hanno infatti concluso che le linee guida non sono il veicolo migliore per promuovere la sostenibilità ambientale. (Internazionale n. 1124, 16 ottobre 2015, pag.106)
  3. La regola del venti colora le imprese di verde. La data è ormai fissata e non ammette deroghe: entro il prossimo 5 dicembre le imprese italiane saranno obbligate a mettersi in regola per non incorrere nelle sanzioni previste dal Decreto Legislativo n. 102 del 4 luglio 2014, per il recepimento della Direttiva europea 2012/27/UE sull’efficienza energetica , con cui anche l’Italia si è impegnata ufficialmente a raggiungere entro il 2020 l’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra del 20%, alzare al 20% la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e portare al 20% il risparmio energetico. (Sette n.44, 30 ottobre 2015, pag.84)birchavenuetattoo_full
  4. Trasporti puliti. Per ridurre le emissioni di anidride carbonica, la Svezia ha deciso di rinunciare all’uso dei combustibili fossili nei trasporti urbani. Come spiega Le Monde, “attualmente solo diciotto dei 1800 autobus in funzione nel paese montano motori diesel. Già nel 2014 il 93% delle vetture gestite dall’azienda francese Keolis funzionava grazie alle energie rinnovabili, contro il 73% del 2007. Entro il 2030 si raggiungerà il 100%”. A Stoccolma 950 autobus sono alimentati con biocarburanti come l’etanolo o il biogas (in gran parte prodotto da un impianto per il trattamento delle acque reflue) e garantiscono una riduzione delle emissioni di anidride carbonica pari a 80.000 tonnellate all’anno. (Internazionale n.1126, del 30 ottobre 2015, pag.109
  5. Pesticidi nell’acqua. 175 su 355 le sostanze trovate in 3500 siti analizzati dall’Istituto per la protezione ambientale per verificare la presenza di pesticidi nelle acque. Fra le zone più contaminate, la pianura padano-veneta. (Io Donna, 11 ottobre 2015, pag.174)
  6. Bruxelles cambia idea. “A quanto pare Bruxelles si è rimangiata la promessa di chiedere norme più severe in materia di ambiente ai negoziati sul Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (T-TIP)”, scrive il Guardian. Da una bozza del documento preparato in vista del round negoziale di Miami, che si è svolto dal 19 al 23 ottobre, risultava la volontà di “difendere il diritto di imporre livelli elevati di protezione ambientale nel trattato di libero scambio tra l’Unione Europea e gli stati Uniti” ma il testo presentato a Miami, ed esaminato dal quotidiano britannico, “contiene in realtà solo impegni vaghi e non vincolanti. Non è stato proposto l’obbligo di ratificare gli accordi internazionali sull’ambiente, né si parla di strategie per e tutelare la biodiversità, regolare l’uso delle sostanze chimiche e combattere il commercio illegale di animali selvatici”. Il documento cita “il diritto di ciascuna delle parti di fissare priorità e e politiche sostenibili”. Ma secondo gli esperti, si tratta di norme molto meno efficaci rispetto, per esempio, a quelle riguardanti la discussa clausola sulle azioni che le aziende possono intraprendere contro i governi quando si sentono danneggiati da una legge. Il documento “ parla dell’importanza della difesa del clima, ma non offre definizioni su concetti fondamentali come gli alti livelli di protezione ambientale e le politiche per attuarli”. (Internazionale n. 1126, del 30 ottobre 2015, pag.109)
  7. Olanda punita dai suoi giudici. La Corte Distrettuale dell’Aia ha sentenziato che il governo olandese dovrà ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 25% rispetto ai livelli del 1990, e questo entro il 2020. Cioè entro cinque anni. Come dire: dopodomani. Perché evidentemente la situazione è giudicata molto grave. Secondo i magistrati, finora lo stesso governo non ha fatto abbastanza per combattere l’inquinamento atmosferico e così salvaguardare la salute dei cittadini. Ha promesso di frenare gli effetti del riscaldamento climatico, ma le sue sono rimaste in gran parte delle parole. La Corte si è pronunciata sulla base di una “class action” intentata da 900 cittadini olandesi, a loro volta coordinati dall’organizzazione non governativa “Fondazione Urgenda”. (L. Offeddu, Corriere della Sera del 25 giugno 2015)
  8. La Shell dice addio all’Artico. Scemano gli entusiasmi per la corsa al gas e al petrolio del Mare Artico. E se un colosso come la olandese Shell decide di abbandonare le ricerche in quelle acque. Il segnale è forte e chiaro: “I risultati ottenuti finora sono stati scoraggianti”, hanno dichiarato i responsabili della società – che nell’operazione ha investito 7 miliardi di dollari- annunciando il ritiro delle esplorazioni al largo dell’Alaska, nel mare di Chukchi, pur sottolineando che che altre zone del bacino restano di grande importanza per le probabili ingenti risorse che contengono. L’Osservatorio geologico statunitense stima che lì si trovi il 30% delle riserve mondiali di gas e il 13% di quelle petrolifere. Ma esplorare l’Artico, luogo difficile e pericoloso, richiede costi così alti che con il prezzo del petrolio sceso intorno a 50 dollari al barile potrebbero non far tornare i conti se paragonati ai benefici. Ed è probabilmente sulla base di questi calcoli che Shell ha dato forfait, secondo alcuni analisti, non solo nel Mare di Chukchi ma in tutta l’area artica. Anche se agli ambientalisti piace pensare che il ritiro si debba alle pesanti pressioni alle quali da anni l’azienda è stata sottoposta da vari gruppi ecologisti. (Sette, n.41, del 9 ottobre 2015, pag.57)
  9. La riserva naturale di Cernobyl. L’area di Cernobyl, in Ucraina, ospita un numero sempre più alto di animali selvatici. Colpita dall’incidente nucleare nel 1986, l’area è stata abbandonata dai 116.000 residenti. Secondo “Current Biology”, l’abbondanza di cinghiali, cervi, capriolo, lupi e altri mammiferi mostra che lo spopolamento umano ha favorito la fauna selvatica, a prescindere dai danni che le radiazioni nucleari possono aver provocato ai singoli animali. La presenza umana, con la caccia l’agricoltura e la silvicoltura , ha un impatto più forte delle radiazioni. (Internazionale n. 1123, del 9 ottobre 2015, pag. 107)enhanced-buzz-wide-21211-1395634332-33
  10. Ricerche sponsorizzate. Sollecitata dal New York Times, la Coca-Cola ha dichiarato apertamente di aver investito negli ultimi cinque anni 118,6 milioni di dollari a sostegno di organizzazioni e ricercatori nel campo della salute. Nella lunga lista dei beneficiari compaiono fondazioni, università e società scientifiche. Circa 1,5 milioni di dollari sono andati al Global Energy Balance Network, un’organizzazione non profit che promuove il modello del “bilancio energetico”, secondo cui il sovrappeso dipende dallo squilibrio tra le calorie che entrano e quelle che escono, e per essere in forma bisogna puntare sull’attività fisica. Sandy Douglas, presidente della Coca-Cola in Nordamerica, ha dichiarato che i fondi sono stati stanziati “con le migliori intenzioni”. Ma qualsiasi ricerca accademica sponsorizzata dall’industria, commenta il “Lancet”, è condizionata all’origine. Medici e ricercatori dovrebbero evitare ogni conflitto di interesse. (internazionale n.1123, 9 ottobre 2015, pag. 107)
  11. Acqua calda di rubinetto. Per risparmiare energia, si potrebbe mettere sul fuoco l’acqua calda del rubinetto quando si cucina la pasta, suggerisce un lettore della rivista on line “Grist”. Non è una buona idea. E’ meglio non bere e non usare per la cucina l’acqua della caldaia: il risparmio energetico è minimo, mentre il rischio di contaminazione è elevato. “Gli antiquati tubi di piombo, o anche di rame , possono rilasciare piombo nell’acqua calda, perché il calore accelera la dissoluzione in acqua dei contaminanti. Bollire l’acqua peggiora la situazione, in quanto concentra le sostanze”, scrive “Grist”. L’installazione di moderni tubi di plastica non risolve la situazione. “Anche se queste condutture hanno i loro vantaggi, perché sono più economiche del rame, facili da installare e resistenti alla corrosione, hanno comunque un problema di contaminazione”, continua la rivista. Alcuni tubi in polietilene, o pex, rilasciano un odore di plastica o di petrolio. Secondo Andrew Whelton, docente di ingegneria civile, ambientale ed ecologica all’università Purdue, il consiglio rimane quindi quello di non cucinare con l’acqua calda dell’impianto. Secondo gli studi di Whelton, la perdita di contaminanti delle condutture in plastica è cento volte più alta in acqua calda che in acqua fredda. A peggiorare la situazione, alcuni tubi di plastica rilasciano sostanze che vengono consumate dai microrganismi, facilitandone la crescita. Inoltre, il cloro può reagire con la plastica e formare composti potenzialmente cancerogeni. (Internazionale n. 1123, 9 ottobre 2015, pag. 108)
  12. Avvolti nella nebbia. Ogni anno in questo periodo la regione del sudest asiatico viene investita da una coltre di fumo proveniente dall’Indonesia, che provoca problemi respiratori a centinaia di migliaia di persone, blocca il traffico aereo e danneggia i raccolti. Il problema, legato agli incendi appiccati illegalmente nelle foreste dell’arcipelago indonesiano dai produttori di carta e olio di palma, si ripete da circa diciotto anni, ma si calcola che quest’anno i danni raddoppieranno rispetto al 1997, finora l’anno peggiore. Il presidente Joko Widodo si è impegnato a risolvere il problema una volta per tutte. Finora nessuna delle aziende sospettate di appiccare gli incendi è stata incriminata e il governo ha speso 32 milioni euro per arginare i danni, scrive “Tempo”. (Internazionale n.1124, 16 ottobre 2015, pag.31)
  13. Il segreto degli elefanti. Gli elefanti muoiono raramente di cancro grazie alle loro caratteristiche genetiche, sostiene uno studio sul Journal of the American Medical Association. Era già noto che la malattia colpisce gli animali con una frequenza variabile a seconda della specie: negli zoo muore di tumore il 12% delle tigri, il 7,5% dei licaoni e solo il 3% degli elefanti. La loro bassa mortalità è un paradosso noto da tempo: il cancro infatti è legato agli errori che possono emergere durante la copiatura del dna, che a sua volta dipende dal numero di divisioni delle cellule, e in un animale grande il numero di cellule, di divisioni e di errori possibili è maggiore. Anche la longevità può favorire le mutazioni. Quindi l’elefante, che pesa in media 4,8 tonnellate e vive fino a 65 anni, dovrebbe ammalarsi spesso. Lo studio, condotto su 644 elefanti in cattività, mostra che l’elefante non si ammala di cancro grazie alle sue 40 copie del gene Tp53, che produce la p53. Questa proteina ha un’azione antitumorale , perché provoca il suicidio della cellula con il dna mutato. Gli esseri umani hanno solo due copie di questo gene e una mortalità per cancro di gran lunga superiore a quella degli elefanti. Va detto, però, che i pachidermi non fumano e di solito non mangiano cibi spazzatura. (Internazionale n.1124, 16 ottobre 2015, pag.105)tumblr_ngqypzaOTv1tvs3v3o5_1280
  14. Il fumo uccide i cinesi. In Cina due giovani uomini su tre sono fumatori e molti cominciano prima dei venti anni. Uno su tre rischia di morire per malattie legate al tabacco. Ogni anno sei milioni di cinesi cominciano a fumare. Nel 2010 il fumo ha causato quasi un milione di morti (840.000 uomini e 130.000 donne) e, a questo ritmo, il numero annuale di morti raggiungerà i due milioni nel 2030 e i tre milioni nel 2050. (fonte: The Tobacco Atlas). (Internazionale n. 1124, 16 ottobre 2015, pag.105)
  15. Il programma di lotta al virus ebola in Sierra Leone, per quanto tardivo, ha contribuito a prevenire molti decessi. La creazione di posti letto e le misure di contrasto all’epidemia hanno permesso di evitare 56.600 casi tra giugno 2014 e febbraio 2015, prevenendo circa 40.000 morti. Tuttavia, se i ricoveri fossero avvenuti un mese prima, si sarebbero potuti evitare altre 12.500 infezioni, scrive “Pnas”. (Internazionale n.1124, 16 ottobre 2015, pag. 105)
  16. Patto per il clima tra dieci compagnie.E’ un fatto importante che dieci compagnie che rappresentano un quinto della produzione mondiale di petrolio e gas abbiano riconosciuto l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale nel limite dei 2 gradi. Una volta accettato non possono non trarne tutte le conseguenze”. Se a sostenerlo con convinzione è il chief executive officer del sesto gruppo petrolifero mondiale, ovvero l’ENI guidata da Claudio Descalzi, l’affermazione assume il significato di una svolta. (…) A un mese e mezzo dalla conferenza sul clima di Parigi, Descalzi e altri nove CEO, quelli di BG Group, BP, Pemex, Reliance Industries, Repsol, Saudi Aramco, Shell, Statoil e Total, si sono scherati dietro il tavolo di un hotel parigino e hanno annunciato una strategia comune sulle emissioni di C02 e di metano, i principali gas serra. Accordo “storico” come l’hanno definito? Si vedrà. (…). E’ un gruppo composto da un nucleo di compagnie europee, ma gli americani di Exxon, Chevron, Conoco non ci sono…(S.Agnoli, Corriere della Sera, 17 ottobre 2015, pag.47)
  17. Un accordo sul clima tra 79 multinazionali. Anche le multinazionali scendono in campo per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici causati dai gas serra. I numeri uno di 79 grandi aziende di ogni parte del mondo, offrono ai governi collaborazione per trovare un accordo vincolante e universale sul clima. Una sorta di rivoluzione, perché chi storicamente è accusato di inquinare non solo si impegna a ridurre le emissioni, ma chiede ai governi un’azione strategica per raggiungere lo stesso obiettivo (…) tra i 79 colossi, che vanno da Deutsche Telekom a Ikea, da Microsoft a Nestlè, da Pepsi a Toshiba fino ad Allianz, c’è uno spicchio di Italia, rappresentato dall’Enel, attraverso il suo numero uno Francesco Starace. In particolare le multinazionali si impegnano, con la lettera aperta che sarà diffusa oggi, a ridurre le emissioni inquinanti e i consumi energetici, oltre che a svolgere un’attività di ambasciatori per la salvaguardia del pianeta dai cambiamenti climatici (…) (M. Borrillo, Corriere della Sera, 23 novembre 2015, pag. 22)
  18. Un segnale dall’Alberta. “Il Canada lancia un segnale importante in vista della conferenza sul clima che comincerà a Parigi il 30 novembre”, scrive il “Toronto Star”. Il 23 novembre Rachel Notley, premier progressista della provincia dell’Alberta, ha annunciato l’introduzione di un sistema di tassazione sulle emissioni di carbonio entro il 2017. Secondo le stime, la misura dovrebbe portare alle casse dello Stato sei miliardi di dollari, che Notley si è impegnata a investire in progetti legati alle energie rinnovabili. Il programma prevede anche che l’Alberta, dove ci sono i principali giacimenti mondiali di sabbie bituminose, riduca drasticamente le emissioni di anidride carbonica entro il 2030. (Internazionale n.1130, 27 novembre 2015, pag. 18)
  19. Marea tossica nell’oceano. Il 5 novembre , due dighe in una miniera dell’azienda Samarco nello Stato di Minas Gerais, hanno ceduto. Più di due settimane dopo, la colata di fango e detriti ha raggiunto l’Oceano Atlantico, a 500 chilometri di distanza. La marea tossica ha distrutto paesi e foreste lungo il percorso del Rio Doce, “causando danni all’ambiente e alle popolazioni che vivono vicino al fiume”, scrive “O Globo” (con foto della costa inquinata), (Internazionale n.1130, 27 novembre 2015, pag. 18)
  20. Un paese assetato. Il Sudafrica sta affrontando la peggiore siccità dal 1982 e almeno 2,7 milioni di persone rischiano di non avere abbastanza acqua. Le province più colpite sono quelle di free State e Kwazulu-Natal, nell’est del paese, dove la siccità sta compromettendo le coltivazioni e l’economia della zona. Il Sudafrica è un paese con poca acqua e la situazione è peggiorata a causa del fenomeno meteorologico noto come El Nino, ma secondo il Mail & Guardian la crisi attuale è il risultato “di una vittoria generale dell’imperativo politico” sul buon senso. “L’ufficio che ha il compito di salvaguardare questa preziosa risorsa è stato preda di una lotta politica intestina”, scrive il quotidiano nel suo editoriale. Gli impiegati competenti sono stati messi da parte o costretti ad andarsene, i progetti che dovrebbero garantire l’acqua in futuro sono realizzati male e in ritardo, e il settore idrico è stato paralizzato. Milioni di litri di acqua sono sprecati a causa di perdite nelle tubature e del malfunzionamento delle infrastrutture. E’ ancora possibile agire per limitare gli effetti della crisi idrica, conclude il giornale ma “questa volta non possiamo sbagliare”. (Internazionale, 13 novembre 2015, pag.30)07-z446ng3
  21. Merluzzi al caldo. Il merluzzo bianco sta scomparendo dalle acque atlantiche del golfo del Maine, nonostante le restrizioni alla pesca degli ultimi anni. La causa sembra essere il singolare riscaldamento delle acque di superficie. Dal 2013 al 2014 le temperature sono aumentate più velocemente nel golfo del Maineche nel 99,9% di tutti i mari, probabilmente per effetto del riscaldamento atmosferico e dell’acqua calda tropicale spinta verso l’Atlantico settentrionale dalla corrente del Golfo. I merluzzi sono pesci a sangue freddo: l’aumento delle temperature influisce negativamente sui loro cicli riproduttivi eli obbliga a spostarsi nelle acque profonde più fredde dove ci sono più predatori. Il caso del Maine, scrive Science, insegna che per stabilire le quote di pesca non bastano i dati sullo sfruttamento, ma bisogna incrociarli con quelli sui cambiamenti climatici. (Internazionale n. 1127, 6 novembre 2015, pag.101)
  22. Costi Assistenza .Negli Stati Uniti, il costo di cura e assistenza negli ultimi cinque anni di vita di una persona con demenza è pari a 287.000 dollari, superiore a quello delle persone che muoiono per malattie cardiache (175.000 dollari), per cancro (173.000 dollari) o per altre cause (197.000 dollari).I costi elevati della demenza sono dovuti soprattutto alle spese di assistenza nei compiti quotidiani, che si prolungano negli anni e si aggiungono a quelle di tipo medico. (Internazionale n.1127, 6 novembre 2015, pag. 101)
  23. Los Angeles e le emissioni di gas serra delle città. Le città producono il 70% delle emissioni globali di anidride carbonica antropogenica, cioè dovuta all’attività umana. Attualmente più della metà della popolazione mondiale vive in città e si prevede che il numero delle megalopoli – aree urbane con più di dieci milioni di abitanti – aumenterà di almeno 12 volte entro il 2025. Molte metropoli asiatiche hanno tassi di crescita della popolazione intorno al 4% all’anno, con un aumento delle emissioni del 10% all’anno. Alcune città hanno preso delle misure drastiche per ridurre le emissioni. Entro il 2030 il piano GreenLA, cioè la Verde Los Angeles, punta a tagliare le emissioni di gas serra di Los Angeles del 35% rispetto ai livelli del 1990. Parigi punta a ridurle del 25% entro il 2020 (rispetto al 2004). Molte altre megalopoli hanno fissato o stanno lavorando a obiettivi simili nell’ambito del Climate 40, un progetto per ridurre le emissioni urbane di gas serra. Per la maggior parte di queste città, però, tenere traccia delle emissioni non è facile. In molti casi non hanno stime disponibili mentre in altri si basano su sensori a terra che non restituiscono un quadro completo delle emissioni. Le stime bottom-up (dal basso) hanno uno scarto del 50% rispetto alle osservazioni top-down (dall’alto) di aerei e satelliti. Per rimediare alla mancanza di dati attendibili, il Megacities Carbon Project svilupperà e sperimenterà dei metodi per registrare le emissioni urbane di anidride carbonica, metano e monossido di carbonio, concentrandosi soprattutto sulle centrali elettriche . Coordinato dagli scienziati Riley Duren e Charles Miller del Jet Propulsion Laboratory della NASA, il gruppo userà i dati raccolti da terra e dal cielo. Si comincerà con Los Angeles e Parigi, per poi passare a una città dell’America Latina o dell’Asia. (A.Voiland, Nasa; Internazionale n.1129, 20 novembre 2015, pag. 105, con foto)
  24. Preoccupati dal petrolio. Il prezzo del petrolio intorno ai 50 dollari al barile sta mettendo in serie difficoltà le grandi banche. “Un prezzo così basso”, scrive il “Financial Times”, “ha reso insostenibili i bilanci di molte aziende energetiche, in particolare i produttori piccoli e medi che negli Stati Uniti hanno puntato sul petrolio estratto con la tecnica del fracking, o fratturazione idraulica” Le ripercussioni nel mondo della finanza non sono trascurabili, visto che secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali l’indebitamento globale del settore energetico ammonta a 2500 miliardi di dollari. Finora, però, molte banche hanno preferito offrire alle aziende nuove condizioni per la restituzione dei prestiti ”sperando in un rialzo del prezzo del petrolio”. Ma due fattori potrebbero spingere gli istituti a cambiare idea, spiega il quotidiano. Innanzitutto, le banche potrebbero convincersi che il prezzo del petrolio a 50 dollari sia destinato a durare nel tempo: all’inizio di ottobre l’Agenzia internazionale per l’energia ha avvertito che la situazione dovrebbe restare immutata per tutto il 2016. Un secondo fattore sono le pressione delle autorità : negli Stati Uniti e in Europa le banche centrali, memori della crisi scoppiata nel 2008, non vedono di buon occhio la tolleranza verso i crediti delle aziende energetiche e spingono gli istituti “a essere flessibili”. (Internazionale n. 1125, 23 ottobre 2015, pag.107)
  25. Patricia, uragano dei record, venti fino a 325 all’ora. Potrebbe entrare nella storia come l’uragano più potente mai registrato: lo hanno battezzato Patricia e si sta abbattendo sulle coste del Messico. Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale già manifesta la forza dell’uragano Haiyan che nelle Filippine causò 6300 morti nel 2013; le previsioni parlano di un possibile aumento dell’intensità. I suoi venti hanno già raggiunto i 325 chilometri orari proiettandolo sulla triste vetta della scala Saffir Simpson. Il legame con il fenomeno di El Nino che nasce dalle acque più calde del Pacifico è scontato. La causa accertata di questi eventi da parte della Noaa, l’ente americano per l’atmosfera e gli oceani, è il riscaldamento globale della Terra. Si discute sul numero degli uragani ma la loro sempre maggiore intensità e potenza distruttiva è certificata dai dati. (G. Caprara, Corriere della Sera, 24 ottobre 2015, pag.22)
  26. Ghiaccio. Dall’autunno del 2012 il ghiacciaio Zachariae Isstrom, nel nordest della Groenlandia, si sta ritirando a un ritmo superiore al passato. Viste le sue grandi dimensioni, se si sciogliesse completamente, potrebbe far aumentare il livello del mare di mezzo metro. Secondo Science, l’acqua marina ha cominciato a penetrare tra il fondo del mare e il ghiacciaio, accelerandone lo scioglimento. (Internazionale n. 1129, 20 novembre 2015, pag.104)

Alberto Castagnola
Economista e obiettore di crescita, è animatore di reti di economia solidale. Tra i suoi libri, «La fine del liberismo» (Carta) e «Il mercato della salute. Diritto alla vita tra interessi, speculazioni, piraterie» (scritto con Maurizio Rossi per Emi).


fonte: http://comune-info.net