Gli studi epidemiologici
evidenziano un aumentato rischio per le popolazioni che vivono a ridosso
di inceneritori. Lo strano caso della Costantinopoli srl e delle spese sostente per le analisi effettuate sui propri impianti
di Marialaura Garripoli
“Dio ricicla, il Diavolo brucia”: da sempre il motto di Paul Connett, ideatore del progetto sociale Rifiuti Zero,
viene utilizzato nelle manifestazioni di tutto il mondo in opposizione
alla volontà dei governi di bruciare ciò che noi stessi creiamo e
rifiutiamo. Quello della monnezza, in effetti, è un problema ancora mal
gestito per certi governi e certe società; la stessa Italia, nonostante
esempi di comuni assai virtuosi sul suo stesso territorio, ancora punta
tutti i suoi “sforzi” politici su una cieca gestione dei rifiuti.
Prendiamo lo “Sblocca-Italia” ed il suo art. 35: la nuova legge
definisce gli inceneritori (quelli che, impropriamente, continuano ad
essere definiti termovalorizzatori) “insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”. Secondo quanto riportato dall’Agenzia Dire,
il Ministro dell’Ambiente Galletti pare molto soddisfatto dal Sì
espresso dalle Regioni – ad eccezione di Campania e Lombardia – alla
“realizzazione di una rete nazionale di termovalorizzatori che copra il
fabbisogno delle Regioni ancora scoperte in relazione al trattamento dei
rifiuti”: “con questo articolo – continua il Ministro – si rompe il
principio dell’autosufficienza dello smaltimento dei rifiuti a livello
regionale e si crea una rete unica di smaltimento a livello nazionale”.
Un vero e proprio “tour della monnezza”, con la creazione di ben dodici
inceneritori nuovi di zecca. In questo modo, a detta del Ministro,
eviteremo le infrazioni europee, in merito al mancato rispetto
dell’obbligo di collocare in discarica soltanto materiale pretrattato.
La premessa è giusta, in effetti; tuttavia, va detto che l’Europa ha
avviato procedure nei nostri confronti non perché privi di inceneritori,
ma perché privi di impianti di trattamento; mentre l’obiettivo è
superare quel 50% di recupero netto di materia (possibile arrivando
almeno al 65% di differenziata) previsto dall’Unione. Opportuno sarebbe,
piuttosto, investire in impianti di pre-trattamento “a
freddo” con recupero di materia:hanno costi tre-quattro volte inferiori
rispetto ad un inceneritore (il costo d’investimento varia tra i
300-500 euro t/a contro i 1000-1500 euro t/a); sono più veloci da
costruire e, soprattutto, combinano la selezione meccanica dei volumi
residui e la stabilizzazione biologica (fonte: qualenergia.it).
In questo modo, senza alcun dubbio, ci si potrebbe avviare verso il
rispetto della gerarchia dei rifiuti prevista dalla Direttiva
comunitaria 2008/98/CE: prevenzione; preparazione per il riutilizzo;
riciclaggio; altri tipi di recupero, come quello energetico;
smaltimento.
Poi, però, ci piazzano i cementifici.
Nel 2013, l’allora Ministro dell’Ambiente Clini propose l’“Utilizzo di
Combustibili Solidi Secondari (CSS) in cementifici soggetti al regime
dell’Autorizzazione Integrata Ambientale”: ovvero, bruciare monnezza per
produrre energia. E quando si parla di immondezzai, tra inceneritori e
discariche abusive, la Basilicata non poteva farsi mancare pure il
cementificio. Nel nord Basilicata, in c/da Costantinopoli (S.S. 93, Km
76) del comune di Barile, sorge la Cementeria Costantinopoli srl.
Nel 2009, quattro anni prima dell’arrivo del Decreto Clini, tale
impianto per la produzione di clinker (cemento) inoltrava domanda di
aggiornamento A.I.A., al fine di poter utilizzare il Combustibile
Derivato dai Rifiuti [CDR, poi divenuto CSS, in base al D.Lgs. 152/2006;
ndr] come combustibile non convenzionale del forno di cottura,
nella misura massima di 25.000 t/a. Nel raggio di 1 Km dall’impianto vi
sono attività produttive e zone agricole di pregio, il centro abitato
di Barile, scuole ed impianti sportivi, opere di presa idrica destinate
al consumo umano. Tale pratica, sicuramente conveniente per
l’investitore di settore, pare comporti una “notevole riduzione dei
consumi di acqua e di energia e, conseguentemente, dei costi di
produzione, nonché una diminuzione delle emissioni in atmosfera”, come
si può leggere nella Deliberazione n. 159/2011 – “Autorizzazione
Integrata Ambientale (A.I.A.), Impianto denominato ‘Cementeria
Costantinopoli’ […] Aggiornamento dell’A.I.A., rilasciata con D.G.R. n.
1565 del 05.11.2007”. Ma i cementifici, a detta di Agostino Di Ciaula –
coordinatore comitato scientifico ISDE (Associazione Medici per
l’Ambiente) Italia – “sono impianti industriali altamente inquinanti con
e senza l’uso dei rifiuti come combustibile e i limiti di legge per le
emissioni di questi impianti sono enormemente più permissivi e soggetti a
deroghe, rispetto a quelli degli inceneritori classici. Inoltre, un
cementificio produce di solito almeno il triplo di CO2 rispetto a un
inceneritore classico. La lieve riduzione dei gas serra ottenuta dalla
sostituzione parziale dei combustibili fossili con rifiuti – continua Di
Ciaula – ridurrebbe le emissioni dei cementifici in maniera scarsamente
significativa, considerata la abnorme produzione annua di CO2 da parte
di questi impianti” [circa 21.237.000 t/a, secondo i dati del registro
europeo delle emissioni inquinanti] (fonte: ecodallecittà.it).
Un piccolo aumento della capacità
produttiva di ogni singolo impianto ed immediatamente si recupera la
quantità di gas serra “risparmiata” coi rifiuti. Indubbiamente, questi
ultimi sono economicamente più vantaggiosi dei combustibili
tradizionali, così da essere visti come concreto incentivo all’aumento
della produzione. Che sia per mezzo di inceneritori
o di cementifici, la combustione dei rifiuti produce contaminanti
dannosi (diossine e PCB; pesticidi; metalli pesanti), che con
l’incenerimento diventano ulteriormente concentrati: intervistato da Maurizio Bolognetti per l’emittente Radio Radicale,
il dott. Ferdinando Laghi – vice presidente ISDE – illustra come gli
studi epidemiologici evidenzino “un aumentato rischio per le popolazioni
che vivono a ridosso di inceneritori, in quanto direttamente sottoposte
alle emissioni aeree (gas nocivi e nano polveri), che sono
intercettabili e che si liberano inevitabilmente quando c’è combustione
di rifiuti”. Interessante notare come, con Deliberazione n. 877 dell’8
Luglio 2014, sia stato stipulato un protocollo d’intesa – tra la Regione
Basilicata; i Comuni di Barile, Rapolla e Rionero in Vulture; la Cementeria Costantinopoli srl
e l’Università degli Studi di Cassino – proprio al fine di istituire
“un processo integrato di monitoraggio ambientale finalizzato a valutare
l’andamento nel tempo delle possibili ricadute sul territorio comunale
di Barile e nel territorio dei comuni limitrofi ricadente nella
potenziale area di impatto della Costantinopoli”. Ancor più interessante
notare come – secondo tale Protocollo – le attività di monitoraggio
ambientale risulteranno essere “commissionate dalla Società
Costantinopoli srl” e che “i costi di tutte le attività di monitoraggio
ambientale, comprese quelle di ARPAB per la supervisione delle attività e
per i campionamenti ed analisi previsti e dettagliati nel Protocollo,
saranno sostenuti dalla Società Costantinopoli srl”. Ergo: la Costantinopoli srl,
quale soggetto sottoposto a controllo, commissiona le analisi di
monitoraggio ambientale all’Università di Cassino; poi, quale ente
sottoposto a controllo, sostiene le spese economiche delle analisi
effettuate. Ma non dovrebbe essere il controllore ad avere il compito di
controllare il controllato?
fonte: http://www.cosmopolismedia.it