Del referendum del 17 aprile si può pensare quello che si vuole, ma una cosa è certa: ha avuto il merito di aver innescato una discussione sul sistema energetico di questo Paese.
Così,
il 4 aprile, alla direzione nazionale del Partito democratico, abbiamo
assistito all’inedito spettacolo di un Presidente del Consiglio che per
qualche decina i minuti ha spiegato la sua visione del presente e futuro dell’energia in Italia.
Quello
che ha detto è stato poi decisamente sorprendente. Da una parte ha
confermato la sua promessa di far raggiungere all’Italia entro la fine
delle legislatura, cioè il 2018, il 50% di elettricità rinnovabile, ma
dall’altra ha sostenuto che delle varie fonti rinnovabili, solo la
geotermia e l’eolico hanno prospettive di crescita.
Le due affermazioni sembrano piuttosto contraddittorie
fra loro perché non si capisce come sia possibile aumentare di così
tanto l’elettricità rinnovabile in due anni, se quasi tutte le fonti
sarebbero impossibilitate a crescere.
Inoltre, finora, il governo Renzi si è distinto per una ostinata indifferenza, se non ostilità, verso lo sviluppo delle rinnovabili, mentre si è sperticato in elogi ai produttori di gas e petrolio, presentati come una sorta di salvatori della patria.
Siamo
quindi andati a chiedere ad esponenti dei vari settori del mondo delle
rinnovabili, un parere sullo stato di salute del loro settore, quale
siano le prospettive di crescita, e quali gli ostacoli
che, eventualmente, il governo attuale avrebbe potuto nei suoi due anni
di vita, rimuovere, se avesse veramente avuto a cuore lo sviluppo del
settore.
SOLARE FOTOVOLTAICO
«Oggi
il fotovoltaico è la seconda fonte rinnovabile italiana, dopo il grande
idroelettrico, con quasi 19 GW installati e una produzione di 24,6 TWh,
pari al 7,8% dei consumi nazionali nel 2015, record mondiale», dice
Paolo Rocco Viscontini, presidente di Italia Solare.
Però Renzi dice che potrà continuare a crescere solo con “nuove tecnologie” …
«È
una dichiarazione sconcertante: L’unica cosa che può impedire al solare
di crescere è la mancanza di spazio, ma, considerando solo i tetti, in
Italia appena il 5% delle case e l’8% dei capannoni ha impianti
fotovoltaici. E nel mondo nel 2015 si è raggiunto il record di
installazioni».
Ma in Italia le installazioni sono drasticamente calate dopo la fine degli incentivi, toccando nel 2015 appena 301 MW.
«Sono
pur sempre decine di migliaia di nuovi impianti, e comunque questo
rallentamento non dipende dalla tecnologia, ma dai continui e punitivi
cambi di norme introdotti dagli ultimi governi, dallo spalma-incentivi
all’accatastamento dei pannelli, fino all’introduzione degli oneri per
l’energia autoprodotta, che hanno eroso la convenienza del fotovoltaico e
la fiducia in chi vorrebbe investirci. Ultima brillante idea,
l’annunciata, e in parte già attuata, la riforma delle bollette, che
incentiva gli sprechi, penalizzando efficienza e autoproduzione
energetica, solo per fare un favore alla lobby dei fossili in crisi. Si
premia, insomma, chi consuma di più, e si punisce chi si autoproduce
l’elettricità rinnovabile: bella coerenza con quanto ci siamo impegnati a
fare contro il cambiamento climatico a Parigi (vedi QualEnergia.it, Nuova tariffa elettrica: come cambia la convenienza di risparmio e fotovoltaico, ndr) ».
E che potrebbe fare il governo per aiutare il solare a riprendersi?
«Il
fotovoltaico ormai è in grid parity per le famiglie, grazie anche agli
sgravi fiscali, e ancora più per le imprese, per il minore costo per kW
dei grandi impianti. Dallo Stato non servono quindi nuovi aiuti, ma
potrebbe servire una garanzia per il credito, per incentivare il
finanziamento bancario di impianti solari, più informazione e magari
norme per facilitare la vendita diretta di energia solare a grandi
consumatori. Ma in realtà anche se solo cessassero di metterci i bastoni
fra le ruote sono sicuro che torneremmo presto a 5-600 MW di nuove
installazioni annue e poi ancora più su, toccando il 10% di consumi
elettrici coperti con il solare entro il 2020 e ridando linfa a un
settore che ha perso in questi anni decine di migliaia di posti di
lavoro. Con i nostri incentivi abbiamo regalato il fotovoltaico
economico al mondo, è grottesco che ora siamo i soli a non
approfittarne».
BIOMASSE
«Nel
2015 la capacità di produzione elettrica installata in Italia per le
bioenergie è arrivata a 5 GW - dice Piero Mattirolo, di Agroenergia -
che hanno prodotto 18 TWh di elettricità, 5,8% dei consumi italiani, di
cui 8,2 TWh da biogas, 6,2 da biomasse solide, come rifiuti o legno, e
4,3 da bioliquidi. Ma il potenziale di crescita ulteriore del settore
pare limitato, in quanto l’elettricità che produciamo richiede incentivi
troppo elevati per stare sul mercato, oggi sui 220 euro al MWh, che
rischiano di pesare troppo sul prezzo finale in bolletta. Tuttavia le
bioenergie potrebbero avere un ruolo nel coordinarsi con le rinnovabili
intermittenti, migliorandone l’efficienza complessiva, o anche
sfruttando le loro caratteristiche di programmabilità per bilanciare la
rete».
Quindi non ci sarà espansione?
«Ci
sarà, ma verso il settore dei trasporti, dove siamo indietro rispetto
agli obiettivi sul clima. Il biometano, che si ottiene dal biogas, sarà
fondamentale per raggiungere la quota del 10% di combustibili
rinnovabili per trasporto prevista per il 2020, e al momento ferma a un
4%, ottenuto soprattutto tramite biodiesel di importazione. La struttura
attuale degli incentivi per il biometano per autotrazione è però molto
penalizzante per la conversione degli impianti di biogas già esistenti,
quasi tutti a base agricola, mentre l'incentivazione basata sui
Certificati di Immissione al Consumo (CIC) è estremamente aleatoria, e
rende molto difficile finanziare gli investimenti. Non credo quindi che
vedremo molti impianti di biometano nel prossimo futuro, a meno che non
si cambi la normativa per renderla più applicabile».
E se questo avverrà, quanto biometano potremmo produrre?
«Il
potenziale realistico da noi stimato è attorno ai 5 miliardi di
mc/anno, di cui però 2 sono già utilizzati negli impianti di
biogas “elettrici”. Una buona strategia di sviluppo del biometano, che
interessi anche il settore agricolo, potrebbe portare nel medio periodo a
un miliardo di metri cubi, che corrispondono all’attuale consumo di
metano fossile per auto».
EOLICO
«L’eolico
contribuisce all’energia italiana con circa 9 GW di potenza e 15 TWh di
produzione annui, pari al 4,8% dei consumi nazionali», dice Simone
Togni presidente dell’ANEV, associazione italiana di produttori di
energia dal vento. «Secondo le nostre stime, considerando solo le aree
più adatte e prive di vincoli, oltre alle possibilità di effettuare un
ammodernamento del parco esistente, l’eolico in Italia potrebbe
realisticamente raggiungere un massimo di 16 GW su terra. L’eolico
offshore, molto più costoso, non è per ora conveniente in Italia».
E oggi come sta andando il settore?
«Nel
2015 l’eolico è cresciuto solo di 295 MW, per la realizzazione di
vecchi progetti. Ma finiti quelli rischiamo di fermarci, perché stiamo
aspettando da fine 2014 il decreto che stabilisca le regole per le aste
del 2015-16, un periodo peraltro già quasi concluso. La Strategia
energetica italiana presentata a Bruxelles prevedeva di raggiungere i
12,68 GW di eolico entro il 2020, obiettivo che consentirebbe di passare
dall’attuale contributo del 5,6% dei consumi elettrici, al 7,5%. Ma
ormai, a causa dei ritardi nelle norme, per rispettarlo bisognerebbe
installare circa 1 GW ogni anno, cosa possibile ma difficile».
Secondo Renzi, però, la crescita dell’eolico è affidata soprattutto al revamping, il rinnovamento degli impianti esistenti
«È
un fattore importante, anche perché con l’ammodernamento si potrebbero
sostituire tante piccole turbine con poche più grandi e moderne,
producendo più energia elettrica, riducendo l’impatto sul paesaggio e
spendendo meno, sostituendo i pesanti incentivi del passato con gli
attuali, che sono ormai sotto ai 40 euro al MWh. Ma la verità è che
anche i rifacimenti sono realizzabili solo tramite meccanismi di aste, e
con le norme attuali, troppo complesse e con incentivi troppo bassi,
quasi nessuno ne approfitterà. Così, se non si cambiano le regole,
invece dei rifacimenti, assisteremo alla perdita di circa 4 GW di
potenza eolica, via via che chiuderanno gli impianti più vecchi arrivati
a fine incentivi, in quanto la sola vendita dell’elettricità non
coprirà le loro spese di gestione e manutenzione. Questa situazione di
stallo fa molta rabbia, anche perché l’eolico dà lavoro a 25.000 persone
in Italia».
GEOTERMIA
Su questa storica fonte italiana Renzi sembra contare molto, ipotizzando un suo raddoppio di produzione del prossimo futuro.
«Attualmente
siamo i soli produttori di energia geotermica in Italia - ci spiega
Massimo Montemaggi, di Enel Green Power - con una potenza installata,
tutta in Toscana, di 761 MW riusciamo a produrre, grazie all’altissimo
fattore di capacità, ben 6 TWh, pari a circa l’1,8% dei consumi
nazionali. Anche se negli ultimi 5 anni la potenza è aumentata del 15%, è
inevitabile che la geotermia cresca lentamente, a colpi di poche decine
di MW annui. Per esempio il prossimo incremento verrà da un progetto da
20 MW, ormai quasi pronto, mentre il successivo sarà di 40 MW, ancora
in fase di autorizzazione. La ragione della lentezza è che la risorsa
geotermica non è facilmente individuabile, come il sole o il vento;
scoprirla richiede molto tempo e molto denaro, e quando la si trova può
rivelarsi anche di qualità inadatta. Per esempio, in Campania il fluido
finora individuato è troppo salino per l’uso, mentre in Toscana non
abbiamo mai reperito fluidi adatti per impianti a ciclo binario, come
quello inaugurato in Arizona alla presenza di Renzi».
Ma allora come potrebbe raddoppiare questa fonte, addirittura entro il 2018?
«Non
lo so, anche perché oggi operano in Italia altre aziende oltre EGP,
anche se per ora non hanno impianti funzionanti. Su tempi più lunghi
assisteremo però certamente a grandi incrementi, magari grazie anche
alla ricerca di risorse geotermiche ad altissima entalpia a profondità
maggiori delle attuali, che cominceremo in Toscana entro l’anno».
Quanto potrebbe contribuire al massimo la geotermia all’energia italiana?
«Nessuno
conosce questa risposta: le stime variano da poco più di ora al 50% dei
consumi, a secondo di cosa si consideri utilizzabile, con quali
tecnologie e a quali costi. E questi ultimi risultano più o meno
accettabili a secondo di quanto si voglia pagare l’energia ottenuta: in
Germania, con tariffe incentivanti molto alte, stiamo cercando fluidi
geotermici a media entalpia a ben 4000 metri di profondità; in Italia,
con tariffe più basse, non si può che restringere lo sviluppo di nuove
risorse ai casi più favorevoli. Ma è un giusto compromesso fra la
necessità di ampliare l’uso di questa fonte e i costi, già alti, che i
consumatori si trovano poi a pagare in bolletta elettrica».
MINI IDROELETTRICO
Se
il grande idroelettrico, quello con dighe e bacini, è ormai quasi
arrivato a saturazione in Italia, la sua versione mini, che usa l’acqua
corrente del fiume e ha quindi un bassissimo impatto ambientale, sembra
avere ancora notevoli margini di crescita.
«Ci
sono circa 300 MW di impianti ad acqua fluente installati in Italia, da
cui si ottengono intorno agli 1,7 TWh annui, lo 0,5 % dei consumi
italiani», dice Francesco Ghisoli, del consiglio direttivo del CPEM,
associazione dei mini impianti eolici ed idroelettrici. «Potremmo
tranquillamente aggiungere circa 150 MW annui, fra nuovo e revamping o
rimessa in funzione di vecchi impianti, per molti anni a venire, con
materiale e lavoro tutti italiani. Peccato che nell’ultimo registro per
gli incentivi alle fonti rinnovabili siano stati concessi solo 70 MW al
mini-idroelettrico, contro richieste per 210 MW, mentre il nuovo decreto
che regola le future installazioni lo stiamo aspettando da quasi due
anni».
Registro ristretto a parte, c’è altro che vi frena?
«Nel
nostro settore ci sono grossi problemi normativi, a partire
dall’interminabile attesa delle autorizzazioni: servono circa 5 anni, e
decine di migliaia di euro di spesa, per arrivare all’approvazione di
una domanda, durante i quali quasi sempre le norme cambiano, con il
rischio che il progetto non sia più valido e vada abbandonato. La
burocrazia raggiunge per noi livelli kafkiani: pensate che per
autorizzare un impianto di mini-idro in Basilicata, bisogna rivolgersi a
oltre 50 enti, compresi gli aeroporti e le capitanerie di porto di
Tirreno e Ionio. Gli incentivi, fra 150 e 220 euro al MWh, sono anche
troppo alti per tecnologie così consolidate, ma sono in parte
giustificati dalle lungaggini e incertezze nelle autorizzazioni e dai
canoni altissimi che le Regioni prendono sull’acqua che passa per le
nostre turbine: 30.000 euro o più l’anno per MW installato. Anche la
struttura dell’incentivo è sbagliata: premia troppo le potenze più
basse, per cui si finisce per creare impianti che, per inseguire il
massimo guadagno, vengono sottodimensionati rispetto alle potenzialità
del corso d’acqua, con grandi sprechi di energia. Insomma, se si
mettesse mano alle norme per renderle più logiche e semplici, il mini
idroelettrico potrebbe conoscere un boom e dare moltissimo a questo
paese».
Conclusioni
Questo
sommario quadro dello stato delle rinnovabili italiane e delle loro
potenzialità, mostra bene come quasi tutti i comparti abbiano ancora
ampi o amplissimi margini di crescita e che a frenarli non sono tanto carenze tecnologiche o mancati aiuti,
ma più che altro decreti in ritardo, continui cambiamenti nelle norme,
spesso negativi per le rinnovabili, e burocrazia asfissiante.
Quindi,
il governo, se vuole sul serio aumentare la quota di rinnovabili, ha
ampie possibilità di intervento immediato e a costo zero, senza
attendere fantomatiche «nuove tecnologie».
Anche
così, però, la promessa di portare al 50% la produzione elettrica da
rinnovabili in Italia entro la fine della legislatura appare una meta
praticamente impossibile da raggiungere.
Se
infatti si intende che le rinnovabili possano soddisfare al 2018 la
metà della produzione elettrica italiana (dati 2015) vuol dire ottenere
un aumento di 28 TWh, più dell’attuale quota del solare. Se invece si
intende la metà dei consumi totali elettrici italiani, servirebbe una
aggiunta addirittura di 50 TWh, più dell’intera produzione
idroelettrica.
Certo, si fosse
cominciato fin dal 2014 a sgombrare la strada alle rinnovabili, invece
di riempirla di ostacoli, essenzialmente per far contenti i produttori
da combustibili fossili, forse il bersaglio sarebbe stato centrato, ma
nella situazione attuale ribadire questa promessa appare solo
propaganda, nella migliore delle ipotesi data la disinformazione, per
convincerci della “eterna” indispensabilità di gas e petrolio, in vista
del referendum del 17 aprile.
fonte: www.qualenergia.it