“Chi inquina paga”. Mai principio è stato più logico e più semplice. Eppure la sua applicazione in Italia è una strada tutta in salita. A partire dal settore dell’igiene urbana: solo in circa il 15% dei Comuni, infatti, ogni famiglia o impresa paga in proporzione alla quantità di rifiuti che produce. È la tariffa puntuale: “Le prime esperienze ci sono state alla fine degli anni Novanta. Allora la sua diffusione sembrava sarebbe stata veloce, invece poi ai Comuni sono sempre state offerte nuove proroghe, che hanno frenato il passaggio a un sistema più equo”, spiega il presidente dell’associazione Payt Gaetano Drosi. La sigla sta per “Pay as you throw”, che tradotto suona più o meno “Paghi per quanto butti via”. Al contrario, nei sistemi in vigore oggi spesso gli importi sono calcolati partendo dalla superficie degli immobili: “Una famiglia di quattro persone che vive in 50 metri quadrati produce la stessa quantità di rifiuti di una che vive in 100 ma ha il medesimo stile di vita. Le loro bollette però sono molto diverse”, spiega Giorgio Ghiringhelli, esperto in gestione dei rifiuti.
PAGHI PER I RIFIUTI CHE PRODUCI
Nei Comuni dove invece è in vigore la tariffa puntuale, le due famiglie si troveranno a pagare somme molto differenti solo se non faranno entrambe la raccolta differenziata con lo stesso impegno. Una parte della bolletta, infatti, è calcolata misurando la quantità degli scarti indifferenziati prodotti, i rifiuti veri e propri che non potranno essere riciclati ma solo smaltiti in discarica o negli inceneritori. Attraverso un codice a barre applicato sui sacchi dell’immondizia, o un’etichetta Rf-id posizionata su sacchi o bidoncini, si tiene traccia della quantità dei residui prodotti da ogni utenza. Spesso il metodo è a volume, calcolato in base al numero di sacchi ritirati o al numero di svuotamenti dei contenitori, oppure del numero di aperture di un cassonetto.
Un sistema che oggi è diffuso a macchia di leopardo, da Nord a Sud: da Capannori (Lucca) e Ponte nelle Alpi (Belluno), Comuni campioni nella gestione sostenibile dei rifiuti, dalle provincie di Padova, Vicenza e Treviso ai comuni del Chierese, in Piemonte, da Trento alla Puglia, fino a Parma, ad oggi il comune più popoloso ad aver adottato un sistema di tariffazione puntuale. I benefici di solito sono consistenti: nella città emiliana, secondo il Comune “l'introduzione della tariffa puntuale per i rifiuti da avviare a smaltimento ha prodotto un risparmio sulla bolletta rifiuti per oltre 92.000 famiglie parmigiane per il secondo semestre dell'anno 2015. Sono invece poco più di 1.800 le famiglie che hanno svuotato il contenitore dei rifiuti residui qualche volta in più rispetto alla media prevista”, vedendosi quindi recapitare una bolletta un po’ più salata. Praticamente, ha spiegato l’assessore all’Ambiente di Parma Gabriele Folli a marzo 2016, presentando i risultati del nuovo sistema, per chi non ha superato il numero minimo di svuotamenti c’è “uno sconto di circa 20 euro sulla fattura di conguaglio. Per quanto riguarda le utenze non domestiche il risparmio si regista in circa il 50% dei casi per alcune categorie quali bar e ristoranti, ma si può fare molto di meglio per differenziare i rifiuti”.
VUOTI NORMATIVI
Proprio sul volume dei rifiuti conferiti si calcola la componente variabile della tariffa, quella cioè commisurata al servizio reso dal Comune a ogni utenza. A questa si accompagna una quota fissa, che copre i servizi indivisibili come lo spazzamento delle strade, o l’acquisto dei mezzi utilizzati per effettuare il servizio di raccolta rifiuti. Costi questi ultimi che oggi spesso sono ripartiti utilizzando il criterio della superficie, ponderato da quello del numero dei componenti, oppure tenendo conto della capacità dei bidoncini usati da ogni utenza. “Esistono diversi modelli tariffari che andrebbero uniformati. Non ci sono norme che dicono come andrebbe calcolata la tariffa puntuale. Per questo stiamo aspettando con impazienza il decreto del ministero dell’Ambiente che dovrebbe fare chiarezza, almeno rispetto alla quota variabile”, aggiunge Drosi. Il ministero dovrebbe emanarlo entro l’inizio di febbraio 2017, e la speranza di molti osservatori è che l’intervento serva a correggere le distorsioni comunque presenti nei sistemi a tariffa puntuale e a introdurre maggiore trasparenza nel modo in cui le tariffe sono costruite. “Per ora ci si sta barcamenando: ogni Comune fa dei tentativi in una situazione non chiara dal punto di vista normativo e mentre la maggior parte degli enti locali rimane refrattaria al cambiamento”.
CHI HA PAURA DELLA TARIFFA PUNTUALE
All’origine di alcune distorsioni, spiega Drosi, "c’è il timore dei politici locali di scostarsi troppo dall’ultima bolletta dei rifiuti emessa con sistema Tari o Tarsu. Si temono le reazioni dei cittadini, non pensando che la tariffa puntuale in realtà porta a una più equa distribuzione del prelievo”. Proprio per evitare presunti rischi, aggiunge Alberto Pierobon, esperto in gestione dei rifiuti, “la quota fissa viene usata come un paracadute e ampliata, di fronte a un dimagrimento della parte variabile della tariffa”. Ci sono casi in cui “la quota fissa pesa per il 70% e quella variabile per il 30%, ma quando si vanno ad analizzare i costi in modo preciso si osserva che le spese ascrivibili alla componente fissa sarebbero di meno. In questo modo però non si sfrutta in pieno il potenziale di equità della tariffa puntuale, annullandone gli aspetti di proporzionalità”, riflette Drosi.
PIÙ DISTORSIONI, MENO EQUITÀ
Non solo: “Al momento si misurano solo i rifiuti indifferenziati prodotti, in certi casi anche l’organico, ma si potrebbe valutare la possibilità di monitorare anche le altre frazioni della raccolta differenziata, per non calcolare la tariffa su una componente residuale e minoritaria dei nostri rifiuti. Oggi inoltre anche chi non conferisce rifiuti paga, in alcuni casi, una quota variabile minima, perché non è prevista la possibilità che non si possa non produrre scarti indifferenziati”. In certi casi, dice Pierobon, “si spostano dei costi sulle utenze non domestiche per ridurre gli impatti sulle famiglie e non c’è trasparenza su come è realmente costruita la tariffa. Tutti aspetti che rischiano di mandare in cortocircuito il concetto di proporzionalità della tariffa puntuale”.
Se una legge regionale dell’Emilia Romagna di ottobre 2015 prova a disinnescare alcune di queste trappole, nella bozza del decreto a cui sta lavorando il ministero dell’Ambiente a un certo punto spunta l’espressione “misurazione presuntiva”, che introduce, di nuovo, indicazioni per quantificare indirettamente i rifiuti, senza un monitoraggio effettive delle quantità prodotte da ogni utenza. “Sappiamo che per i Comuni non è semplice cambiare sistema, ma abbiamo chiesto al ministero che venga almeno stabilito un termine per questo tipo di misurazione”, dice Drosi. Nella speranza che il decreto non serva solo ad applicare il paradigma gattopardesco, in cui bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com’è.
fonte: http://www.lastampa.it