L'inchiesta. Nel Mezzogiorno gli impianti scarseggiano e l'immondizia emigra a spese dei cittadini
Alle 8 del mattino del 7 gennaio 2012, al
molo 44 del porto di Napoli l'attracco della nave olandese Nordstream
portò sollievo all'intera città. La nave avrebbe infatti trasportato
all'inceneritore di Rotterdam qualcosa come 250mila tonnellate di
rifiuti così liberando l'area vesuviana da un'emergenza che durava da
anni. Ma a che prezzo? Le indiscrezioni dell'epoca parlarono di 100 euro
a tonnellata. In tutto un contratto da 25 milioni tra l'amministrazione
comunale e la società olandese. Molti gridarono al successo: i 100 euro
erano quasi la metà dei 173 a tonnellata pagati all'epoca per
trasferire la stessa immondizia in Emilia o in Puglia.
Il turismo dei rifiuti,
da allora, non si è certo fermato ed è un ottimo indicatore per
misurare il tasso di inefficienza e di populismo della classe politica
italiana. Risale ad appena due settimane fa un accordo tra le Regioni
Puglia ed Emilia Romagna per portare da Sud a Nord 20mila tonnellate di
rifiuti al costo di 192 euro a tonnellata. Di quel costo, 60 euro sono
per il trasporto, 118 andranno agli inceneritori di Bologna e Ferrara
che smaltiranno il rifiuto e altri 14 euro a tonnellata saranno
destinati ai due Comuni che ospitano gli impianti.
Che cosa giustifica i lunghi viaggi dei rifiuti attraverso l'Italia? E
chi ci guadagna? I casi più recenti sono quelli di Puglia e Sicilia. In
ambedue le Regioni la chiusura di discariche, private delle
autorizzazioni necessarie per problemi ambientali, ha fatto crescere il
livello di allarme. "Non farò la fine di Bassolino", ha promesso il
governatore pugliese, Michele Emiliano, evocando proprio l'emergenza
rifiuti a Napoli nei primi anni Duemila. Se l'Emilia accoglierà (e si
farà pagare) i rifiuti pugliesi, Toscana e Piemonte sono i candidati più
probabili per trattare quelli siciliani.
Filippo Brandolini, romagnolo, presidente
nazionale di Federambiente, l'associazione delle società che trattano i
rifiuti, spiega che "in generale i problemi sono legati al fatto che nel
Sud gli impianti di smaltimento sono meno numerosi che al Nord". "Basta
molto poco - aggiunge - perché il sistema vada in crisi. La scarsità di
impianti è legata al fatto che spesso le amministrazioni locali
preferiscono portare altrove i rifiuti, pagando, piuttosto che
affrontare le proteste dei cittadini per la realizzazione degli impianti
di smaltimento. L'emergenza maggiore oggi è quella dei rifiuti organici
che derivano dalla raccolta differenziata. Un recente inconveniente
proprio a un impianto pugliese ha finito per mettere in difficoltà
l'intera rete italiana".
Ormai, sottolinea Federambiente, dei trenta milioni di tonnellate di
rifiuti che ogni anno produce in media la Penisola, la parte maggiore,
13,5 milioni, proviene dalla raccolta differenzata. Dodici milioni di
tonnellate finiscono invece in discarica. Gli inceneritori bruciano
circa 5 milioni di tonnellate. Sono infine 300mila le tonnellate che
ogni anno finiscono all'estero, anche partendo da Regioni del Nord: "Si
tratta di un residuo secco che viene ridotto in coriandoli e diventa
combustibile", spiega Brandolini.
Il sistema italiano è particolarmente frammentato. La raccolta e lo
smaltimento sono affidati a 463 aziende sul territorio nazionale, ma a
queste vanno aggiunti circa 1.000 Comuni che smaltiscono in proprio, su
terreni talvolta demaniali ma spesso di proprietà di privati. La
frammentazione è molto spinta, al punto che il 4 per cento delle 463
aziende realizza il 40 per cento del fatturato del settore.
Uno dei risultati della grande dispersione di aziende, anche qui
soprattutto al Sud, è l'aumento dei costi a carico dei cittadini. Non
solo perché gli oneri industriali aumentano, ma anche perché aziende con
limitata capacità di trattamento finiscono per conferire nelle
discariche o creare le condizioni per dover trasferire altrove i
rifiuti, con un ulteriore aumento della spesa. Senza considerare
l'effetto ricatto di quei privati che, proprietari di un terreno in un
piccolo Comune, possono proporre tariffe fuori mercato sapendo che
l'amministrazione non ha alternative. Così, nel 2015, la spesa media
italiana per i rifuti in una famiglia di tre persone che vive in un
appartamento di 80 metri quadrati è stata di 271 euro. Ma si tratta di
una media. Perché la stessa famiglia al Nord ha speso 239 euro, al
Centro 279 e al Sud addirittura 317.
La strada per abbattere i costi dovrebbe essere quella della
concentrazione delle aziende e di una migliore distribuzione geografica
degli impianti alternativi alle discariche. Secondo i dati del rapporto
Ispra, nel 2014, dei 44 inceneritori italiani, 29 erano al Nord, otto al
centro e sette al Sud. Insomma, tutto fa pensare che il "turismo dei
rifiuti" sia destinato a proseguire anche negli anni a venire.
fonte: http://www.repubblica.it