Solo 26 capoluoghi su 116 adottano tutti i Criteri ambientali minimi previsti dalla legge per i propri beni e servizi
L’economia circolare in Italia si predica molto ma si pratica poco,
come conferma anche l’ultimo rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano
– diffuso oggi da Istat.
Nel dossier, che prende in esame i 116 capoluoghi di provincia (o città
metropolitane) italiani, l’Istituto nazionale di statistica affronta
sia il tema della gestione dei rifiuti urbani – che, ricordiamo, sono
appena un quarto del totale – sul territorio, sia la performance dei
municipi in fatto di acquisti verdi (o Gpp): un fattore chiave che
ricomprende anche l’acquisto di prodotti in materiali riciclati.
«Sul fronte della gestione dei rifiuti urbani – osserva l’Istat –,
nonostante la generalità delle amministrazioni abbia investito
nell’incremento della raccolta differenziata, si è ancora lontani
dall’obiettivo nazionale del 65% (la media dei capoluoghi, nel 2014,
superava di poco il 38%)». A crescere è anche la modalità di raccolta
differenziata porta a porta, ormai presente – in varie modalità – in
tutti i comuni analizzati tranne Trieste e Crotone, ma il rapporto
sottolinea come «le misure adottate dalle amministrazioni per migliorare
la qualità dell’ambiente urbano, nonostante la loro moltiplicazione,
non riescono a incidere significativamente su alcune criticità
strutturali», tra le quali spicca proprio – insieme ai servizi idrici e
al contenimento delle emissioni – la «gestione dei rifiuti». La raccolta
differenziata rimane uno strumento essenziale, ma sterile se fine a sé
stesso: è determinante aumentarne la qualità oltre la quantità, e
finalizzarla all’effettivo riciclo dei materiali raccolti, per poi
re-immetterli sul mercato.
Un punto, quest’ultimo, assai dolente per le amministrazioni
pubbliche italiane. «L’adozione dei criteri ambientali minimi (Cam), cui
l’amministrazione può scegliere di attenersi nelle pratiche di acquisto
– i cosiddetti acquisti verdi (Gpp) – favorisce lo sviluppo di prodotti
e servizi a ridotto impatto ambientale, attraverso la leva della
domanda pubblica», ricordano dall’Istat, sottolineando che si tratta di
un «parametro molto rilevante, anche alla luce dell’evoluzione
normativa». Le lacune iniziano però già a livello nazionale, dato che in
Italia la normativa in merito «è riassunta nel Piano d’azione nazionale
per gli acquisti verdi (Pan Green public procurement), aggiornato con
D.M. 10 aprile 2013». Da allora il ministero dell’Ambiente sta ancora
«progressivamente procedendo alla pubblicazione dei decreti attuativi
per tutte le tipologie di acquisto da parte della Pa».
Anche dai dati raccolti a livello municipale risulta che solo 79
comuni su 116 adottano i Cam per almeno alcune tipologie di beni e
servizi acquistati, ed appena 26 comuni (poco più di un quarto del
totale) dichiara di adottare i Cam al momento previsti per i propri
acquisti di beni e servizi. Un po’ poco, con una scarsa propensione
all’acquisto sostenibile da parte dei comuni in vari ambiti: su 17.500
veicoli a motore in dotazione alle amministrazione, quelli elettrici o
ibridi sono in media il 4,1% (comunque in aumento del 19,2% sul 2014),
quelli a metano l’82%, a Gpl il 5%. Il restante 82,8% è a benzina o
gasolio. «Molti capoluoghi non hanno effettuano acquisti di mezzi di
trasporto – sottolineano però dall’Istat – e quindi non hanno potuto
sostituire quelli più inquinanti».
Anche l’austerità dunque fa male all’ambiente, ma è necessario
riconoscere come senza la diffusione capillare degli acquisti verdi (pur
previsti per legge), soprattutto nel mercato dei materiali riciclati
che necessitano ancora di adeguato sostegno pubblico, rimarrà
inesorabilmente aperto l’anello fondamentale nella catena dell’economia
circolare. Quello che permette di chiudere realmente il cerchio
ri-acquistando i materiali prima raccolti in modo differenziato con
impegno (e costi economici) dalla cittadinanza e infine riciclati entro
le varie filiere industriali.
fonte: www.greenreport.it