Accanto alla rivoluzione dell’Industria 4.0 c’è un altro cambio di paradigma epocale. E con orizzonti davvero vicini. Entro il 2020, infatti, l’Europa vuole cambiare il modo in cui per anni siamo stati abituati a pensare i modelli economici delle città e delle industrie, passando dall’attuale modello di economia lineare, basata sulla produzione di scarti, a quella circolare, che prevede riuso e riciclo delle cose.
Un modello, quello dell’economia circolare che coinvolge sicuramente le abitudini dei consumatori, ma che si pone soprattutto come regolatore dei processi produttivi e manifatturieri delle grandi imprese. Secondo gli obiettivi fissati dalla Commissione Barroso a luglio 2014, infatti, le misure per l’economia circolare prevedevano il riciclo del 70% dei rifiuti municipali e dell’80% di quelli d’imballaggio entro il 2030, oltre al divieto di mettere in discarica i rifiuti riciclabili entro il 2025.
Che cos’è l’economia circolare
Rispetto alla sharing economy, che sta rivoluzionando il concetto di proprietà dei beni e servizi, al centro della circular economy ci sono prodotti industriali e manifatturieri. Lo scopo alla base del modello circolare è l’uso efficace delle risorse esistenti a ciclo continuo, immaginare e realizzare la possibilità di riutilizzare, rimettere in circuito, un prodotto già utilizzato.
L’economia circolare creerebbe nuovi posti di lavoro e al tempo stesso ridurrebbe notevolmente la domanda di (nuove) materie prime costose, e che già iniziano a scarseggiare. Secondo diverse stime, negli ultimi 10 anni il costo di queste ultime è cresciuto del 147%.
Inoltre, le aziende che hanno già sperimentato processi basati
sull’economia circolare hanno registrato e registrano un netto risparmio
sui costi delle materie prime impiegate nella produzione.
Il futuro degli scarti biologici
Nell’industria del food e dei beni
deperibili in genere, i nuovi modelli produttivi basati sulla circular
economy possono innescare una serie di reazioni a catena utili non solo
dal punto di vista ambientale, generando la possibilità di nuovi
business basati sul ricavo di ulteriore valore dai residui di
lavorazione, oppure ancore sperimentandone nuove applicazioni. Alcuni numeri. La sola produzione di caffè genera ogni anno oltre 12 milioni di tonnellate di rifiuti organici.
Secondo gli esperti, in
un nuovo modello basato sull’economia circolare gli scarti potrebbero
essere utilizzati per sostituire quelli del legno tradizionalmente
utilizzati come fertilizzante nella coltivazione di funghi. E poi
ancora, a cascata, lo scarto derivante da questa ultima lavorazione,
ricco di enzimi, potrebbe essere reimpiegato come mangime per il
bestiame e, quindi, al termine del suo ciclo restituito al terreno sotto
forma di letame.
Il futuro degli scarti industriali
Nell’industria del packaging, i polimeri,
le leghe e gli altri materiali artificiali saranno, invece,
riutilizzabili con il minimo dispendio di energia e la massima resa
grazie alla loro modularità e versatilità d’uso. Ad esempio, la società che imbottiglia e distribuisce la Coca-Cola
utilizza modelli di circular economy nel packaging, al fine di
massimizzare il valore della plastica nella produzione delle bottiglie.
L’obiettivo di una delle più grandi industrie mondiali del beverage è
quello di ridurre del 25% entro il 2020 il consumo di nuova materia
prima per il confezionamento e l’imbottigliamento.
Il futuro degli scarti tecnologici
Anche in ambito tecnologico, rendere qualsiasi dispositivo, in ciascuna parte che lo compone, riciclabile
in modo che possa essere riutilizzato. Pensiamo ai nostri smartphone:
applicando i principi dell’economia circolare all’industria che lo
concepisce e lo produce, secondo a una ricerca condotta dagli analisti
di McKinsey e dalla Ellen Macarthur Foundation, il costo di un telefono cellulare può essere ridotto di circa il 50%.
Così come per gli elettrodomestici: i costi di un frigorifero, un
forno, una lavatrice di alta qualità, possono essere abbattuti del
almeno del 30% se questi fossero noleggiati anziché venduti e se, al
termine del periodo di utilizzo o alla fine del ciclo di vita, le
componenti venissero riciclate e utilizzate per l’assemblaggio di un
nuovo elettrodomestico. All’infinito.
Così la circular economy cambierà la filiera dell’industria
Le nuove tecnologie di progettazione,
unite a modelli di riciclo e riutilizzo, diverse modalità di contratti
di proprietà di macchinari e strumenti e normative ambientali per lo smaltimento sempre più stringenti.
Il flusso dei materiali in transito,
secondo la distinzione dei fondamenti dell’economia circolare, si
distingue in due tipologie: componenti biologici, ovvero tutti quei prodotti progettati per rientrare in modo sicuro nella biosfera, e componenti tecnici,
orientati alla massimizzazione del proprio ciclo di vita senza che
questi rientrino nella biosfera. Una distinzione sempre più marcata,
quindi, tra utilizzo e consumo dei materiali.
Nel prossimo futuro
bisognerà ideare e sviluppare sistemi di recupero dei
beni/prodotti/servizi più efficienti, facilitando la manutenzione dei
prodotti e aumentandone il loro ciclo di vita. Le aziende, quindi,
dovranno concepire i propri prodotti con la consapevolezza che questi, una volta utilizzati, possano diventare qualcos’altro, trovare un nuovo uso. Insomma, non diventeranno mai “rifiuti”.
100 mila nuovi posti di lavoro
Per quanto riguarda gli effetti sul
mercato del lavoro, secondo lo stesso report il passaggio all’economia
circolare porterebbe con sé risparmi globali per oltre mille miliardi di dollari all’anno,
ed entro i prossimi 9 anni si verrebbero a creare almeno 100 mila nuovi
posti di lavoro. Tutto ciò poiché cambierebbero anche i processi
produttivi, focalizzandosi sulla costruzione di una catena di fornitura
capace di aumentare il livello di riciclabilità e riutilizzo di ciascun
componente dei prodotti.
fonte: http://openinnovation.startupitalia.eu