Crollo verticale anche per gli investimenti pubblici con finalità
ambientali, fermi a 4,3 miliardi di euro l’ultimo anno (-61% rispetto al
2010)
Pubblicando il suo 25esimo Rapporto annuale, l’Istat ha offerto una fotografia impietosa
di un’Italia dove il progressivo allargarsi delle disuguaglianze tra i
propri cittadini moltiplica le fratture sociali, con pesanti ricadute
sulle possibilità di sviluppo (sostenibile) per l’intero Paese. A questa
prospettiva è però indispensabile aggiungerne una seconda, volta a
indagare quantità e qualità del capitale naturale posseduto dalla
nazione: quella ricchezza “invisibile” che ci assicura ogni giorno acqua
e aria pulite, cibo, materie prime, svago. Per recuperare la speranza
in un futuro migliore è imprescindibile conoscere (per valorizzare) al
meglio il presente.
Allo scopo arriva in aiuto il recentissimo rapporto sul capitale
naturale italiano, pubblicato per la prima volta all’omonimo Comitato
sotto il cappello del ministero dell’Ambiente. Sulle nostre pagine
abbiamo già pubblicato una prima analisi del documento,
individuando da una prima stima in 338 miliardi il valore del capitale
naturale nazionale; stima certamente riduttiva, tenuto conto che dal
capitale naturale dipende la vita stessa. Che cosa sta facendo dunque lo
Stato italiano per tutelare e valorizzare questo inestimabile
patrimonio?
«In generale – si spiega nel rapporto – le politiche pubbliche
orientate al capitale naturale sono strettamente dipendenti dai livelli
di spesa pubblica a sostegno dei programmi d’intervento». Non sono
incoraggianti al proposito i dati raccolti nell’Ecorendiconto, redatti a
cura della Ragioneria dello Stato: il volume della spesa primaria
(massa spendibile) per l’ambiente «ha subito una drastica riduzione in
soli 5 anni, passando da 8,3 Mld € del 2010 a 4,3 Mld € del 2015,
toccando la quota minima dello 0,7% del totale della spesa primaria
dello Stato», quando nel 2010 ammontava all’1,5%. Una percentualmente
certamente infima, ma pur doppia di quella attuale.
«Ancora più preoccupante – aggiunge il Comitato per il capitale
naturale – è la riduzione della spesa in conto capitale (investimenti
pubblici con finalità ambientali), che è passata da 6,7 Mld € del 2010 a
soli 2,6 Mld € del 2015 (-61%)». Un crollo verticale su tutti i fronti.
Com’è possibile innestare la retromarcia? Tra le raccomandazioni
contenute nel rapporto, che ricordiamo essere voluto in prima persona
dal governo stesso, spicca sia il «rafforzamento delle attività di
valutazione ambientale dei Sussidi economici previsti dalle politiche
pubbliche settoriali» sia interventi in fatto di «fiscalità ambientale e
altri strumenti economici».
Riguardo al primo punto si ricorda quanto emerso nel primo Catalogo dei sussidi dannosi e favorevoli all’ambiente,
anch’esso pubblicato a cura del ministero dell’Ambiente: lo Stato
spende ogni anno (almeno) 16,1 miliardi di euro per sussidiare attività
ambientalmente dannose, più di quanto spenda per sostenere quelle che
l’ambiente lo migliorano (15,7 miliardi di euro). Per quanti lamentano
la mancanza di risorse da spendere a favore del nostro capitale naturale
dovrebbe dunque essere chiaro da dover partire per racimolarle.
Esistono poi ulteriori possibilità d’intervento. «Nella perdurante
situazione di crisi della finanza pubblica – si osserva nel rapporto –
l’utilizzo di ulteriori strumenti finanziari innovativi, come i green bonds
statali, può aiutare a supportare l’attivazione di un piano di
rafforzamento degli investimenti pubblici destinati al Capitale
Naturale, a partire da quelli riguardanti il ripristino della
funzionalità degli ecosistemi, normalmente privi di fonti di entrata
(che non si ripagano in senso strettamente finanziario, ma che
comportano significativi benefici per la collettività). Un esempio
pioneristico in questa direzione è dato dai green bonds francesi».
Senza dimenticare un ormai indispensabile – ma continuamente rinviato – riordino della fiscalità italiana, cui dedichiamo (qui)
un approfondimento a parte, è doveroso infine «rafforzare, nel quadro
della riforma del Codice dei contratti pubblici, le disposizioni
riguardanti i criteri degli appalti di fornitura per il Green public
procurement (Gpp), includendo nelle valutazioni di costo – secondo
l’approccio di ciclo di vita del prodotto – anche i costi per la
collettività associati ai consumi di risorse naturali e
all’inquinamento».
fonte: http://www.greenreport.it