Intervista di Eco dalle Città all’amministratore delegato Erica sulle
difficoltà di gestione del materiale più eterogeneo tra i rifiuti di
imballaggi: la plastica
Uno degli argomenti di attualità in questo periodo nell’ambito rifiuti sono gli stoccaggi di scarti plastici che in alcune zone del Paese si sono accumulati
a causa della ridotta disponibilità a bruciare questi rifiuti da parte
degli inceneritori. Sullo sfondo c’è un altro tema e riguarda i roghi che continuano a colpire gli impianti del settore. C’è chi ricorda che i materiali plastici eterogenei “a volte, non a caso, sono oggetto di incendi dolosi”.
Il plasmix che si accumula negli impianti e i roghi di rifiuti possono in qualche caso essere collegati? È questa la prima domanda che abbiamo rivolto a Roberto Cavallo, amministratore delegato della Cooperativa Erica:
Una
settimana dopo esser diventato assessore ad Alba (CN), nell’autunno
1997, nelle vicinanze andò a fuoco un impianto di stoccaggio di
materiale proveniente da raccolta differenziata della plastica. A quei
tempi non c’erano problemi di saturazione come accade in questo periodo.
Purtroppo se da un lato è difficile dichiarare un collegamento diretto
tra queste due situazioni, dall’altro il tema dei roghi è da anni
d’attualità. Il fatto che questo materiale sia assolutamente eterogeneo e
che, purtroppo, il comparto industriale non sia così maturo per
assorbirlo è un problema che c’è sempre stato. E questo causa
difficoltà.
Gli impianti di selezione da sempre tirano via la
plastica “nobile” (in senso economico, che vale di più): questa il
mercato la assorbe. Il problema sul PET, ad esempio, non si pone e ha il
suo mercato di riferimento. Non ci sono certo roghi di PET ma
piuttosto, roghi di materiale eterogeneo, che noi chiamiamo “plasmix”.
Questo, ribadisco, perché non c’è un mercato pronto. Quegli scarti o li
porti ad un inceneritore, o quella plastica rimane stoccata lì come sta
accadendo in questo periodo.
E così, se da un lato una parte di
questi episodi possono essere di natura accidentale (inneschi
involontari, es. corto circuito), dall’altro non sono da escludere
ipotesi dolose (es. piromani) visto il numero di episodi avvenuti. Anche
il fatto di doversi far carico di enormi masse di plastica che generano
grandi quantità di “scarti” diventando un peso in termini economici
(smaltimento) e/o di allocazione (non si sa dove portarli) potrebbe
indurre qualcuno a scegliere percorsi più “brevi”.
Non è un’accusa
specifica ma che si tratti di un’ipotesi plausibile è ahimè vero,
soprattutto quando i casi sono tanti. Lo dico perché in realtà sto
ripetendo le stesse cose che ci dicemmo vent’anni fa in occasione del
rogo vicino ad Alba insieme ai tecnici Arpa e agli uomini del Noe.
La
difficoltà di non sapere dove portarli fa sì che questi materiali
rimangano lì per “x” tempo, di conseguenza aumenta il rischio?
Esatto.
Visto che, come si dice in Protezione Civile, il rischio zero non
esiste ma è il risultato della frequenza per il danno, se aumento il
tempo di permanenza di un materiale fortemente infiammabile come la
plastica, la frequenza rischia di aumentare e di conseguenza anche il
rischio di roghi. Che poi questi episodi siano accidentali o dolosi,
tutte le ipotesi sono valide. Il punto è che il mercato non assorbe
quella roba lì. Occorre stoccarla e se aumenta il tempo di permanenza,
aumenta il rischio che questi stoccaggi rimangano in balia degli eventi.
Cosa occorrerebbe fare secondo Lei per affrontare la questione?
In occasione del programma televisivo Scala Mercalli ho avuto modo di raccontare la storia di Revet.
Si tratta di un impianto in grado di separare e selezionare
ulteriormente il plasmix. Grazie a questa ulteriore selezione si
riescono ad intercettare molecole interessanti che è possibile granulare
per fare cose nuove. Più difficile riciclare il polistirene o il
polistirolo espanso ma il polietilene (es. busta delle mozzarelle) offre
maggiori possibilità. Ho deciso di raccontare la storia di Revet per
citarne una. Un modo per dire: la tecnologia c’è, le capacità
ingegneristiche ci sono, le ricette per mescolare questi polimeri
eterogenei ci sono, si tratta, come ho sottolineato in Scala Mercalli,
di dare un sostegno ai cosiddetti “ri-prodotti”, alla ricerca e alla
creazione del mercato del riciclo, invece di incentivare il recupero
energetico attraverso il CIP6. Perché il mercato, una volta che si sarà
creato, tirerà da sé. E a quel punto anche i problemi dello stoccaggio
saranno risolti.
Basta solo aumentare il riciclo del plasmix?
No,
non dobbiamo dimenticarci la prevenzione in senso ampio, sia
quantitativa che qualitativa. Una seria politica di prevenzione, da un
lato porterebbe a produrre meno quantità di materiali plastici (anche
perché obiettivamente siamo di fronte a un ‘over-consumo’ di questi
prodotti), dall’altro, occorre una prevenzione qualitativa. Sono cose
già dette ma non è mai inutile ripeterlo: almeno per i rifiuti domestici
occorrerebbe ridurre la quantità e la varietà di polimeri immessi sul
mercato. In questo modo sarà più semplice anche per gli impianti di
selezione la separazione delle diverse plastiche. Con pochi polimeri si
ridurrebbe infatti anche il numero dei flussi negli impianti e si
costruirebbe il mercato su quei polimeri. Se invece in circolazione ne
rimangono decine e decine, fra cui alcuni veramente complicati, diventa
difficile.
A proposito di gestione imballaggi, pochi giorni fa è
stata approvata una nuova norma nella legge sulla concorrenza. In
questo caso c’è un legame con il 'caso plasmix'?
Sì, plasmix e
concorrenza hanno un legame. Questa nuova norma alla fine riguarderà
principalmente la plastica. Alluminio, acciaio, vetro, ma anche carta,
hanno già un mercato ed è talmente alto il valore che nessuno si
porrebbe il problema di entrare in concorrenza con i consorzi attuali.
C’è un problema di conoscenza reale di come sta funzionando il sistema.
Perché se il sistema funziona, non c’è bisogno che intervenga lo Stato a
regolare le cose. Se proprio ci fosse bisogno di una regolamentazione,
questa avrebbe senso di esistere come supporto nei momenti in cui il
mercato è in difficoltà ad assorbire i materiali raccolti. Quindi,
invece di fare nuovi consorzi, lo Stato potrebbe intervenire nei momenti
di “emergenza”.
fonte: www.ecodallecitta.it