Distruzione dell’ambiente, guerre e disuguaglianze i maggiori pericoli secondo i millennials
In questa vecchia e rancorosa Italia – dove ormai si è considerati
ancora giovani a più di 40 anni, e dove pallidi vecchi che credono di
essere poveri se la prendono con immigrati giovani e scuri mentre i loro
figli e nipoti migrano all’estero – non ce ne rendiamo conto, ma oltre
la metà della popolazione mondiale è al di sotto dei 30 anni. Sono
giovani che sentono di non essere ascoltati dai leader e decisori
politici, ma che prima o poi faranno sentire la loro voce e cercheranno
di cambiare gli equilibri globali.
È per questo, per capire cosa pensano i leader e i cittadini del futuro, che con il suo Global Shapers Annual Survey 2017 il World economic forum (Wef)
ha nuovamente intervistato 25.000 giovani di età compresa tra 18 e 35
anni provenienti da 186 Paesi e territori. Quel che ne è emerso è sia un
quadro confortante (i millennials sono molto meglio di quanto crediamo,
e comunque molto più progressisti e aperti degli anziani sempre più
incarogniti e razzisti) che politicamente sconfortante: il 55,9% degli
intervistati crede che le loro opinioni non siano prese in
considerazione prima di prendere decisioni importanti. Ma come dice il
Wef, alla fine l’influenza dei giovani su politica ed economia
migliorerà per il semplice fatto che «occupano una quota crescente della
forza lavoro globale, la loro base elettorale e il loro potere di spesa
tra i consumatori crescono». Insomma, il mondo va in direzione opposta a
quella immobile di un’Italia che invecchia – tra i 18 e i 35 anni nel
nostro Paese si contano 9,5 milioni di cittadini, a fronte di 15,9
milioni di pensionati –, lascia fuggire i suoi giovani e vuole chiude le
porte a chi dovrà pagare la pensione ai razzisti da tastiera.
I risultati dell’indagine della Global Shapers Community
del Wef forniscono una panoramica interessante su come i giovani vedono
il mondo e pensano di affrontare le sfide del futuro, con il World economic forum
ad ammonire: «I governi, le imprese e le altre istituzioni che ignorano
l’attuale generazione di giovani lo fanno a loro pericolo».
Il rapporto Wef evidenzia le 5 cose più importanti emerse dal Global Shapers Annual Survey 2017:
I giovani sono molto preoccupati per il cambiamento climatico. Tra
tutti i problemi mondiali, i giovani sono più preoccupati per l’impatto
dei cambiamenti climatici e la distruzione della natura in generale
(48,8%). La Global Shapers Community del Wef sottolinea che
«questo è il terzo anno consecutivo che il cambiamento climatico è stato
votato come il più grave problema mondiale, suggerendo che i giovani
devono ancora essere convinti dagli sforzi globali – come l’Accordo di
Parigi – messi in campo per affrontare il problema». Forse non
sorprendentemente, considerando l’attuale livello di instabilità
globale, le guerre e le disuguaglianze sono state elencate
rispettivamente come seconda (38,9%) e terza (30,8%) più grande
preoccupazione. Anche la povertà, i conflitti religiosi e la
responsabilità e la trasparenza del governo preoccupano fortemente i
giovani di tutto il mondo.
I giovani diffidano dei media, del big business e dei governi. Il
boom delle fake news, anche durante le recenti campagne elettorali un
po’ in tutto il mondo, potrebbe spiegare in qualche modo la crescente
diffidenza verso i media tra i giovani. Poco più del 30% degli
intervistati ha dichiarato di aver fiducia nei media, contro quasi il
46% che ha dichiarato di non averne affatto. Livelli di sfiducia simili
sono stati espressi verso le grandi aziende, le banche e i
governi. Questa diffidenza verso il grande potere economico porta il
22,7% dei giovani ad essere molto preoccupato per la corruzione. Le
istituzioni ritenute più affidabili dai giovani sono le scuole, le
organizzazioni internazionali, i datori di lavoro e i tribunali.
I giovani non sono pigri, sono workaholics. C’è un malinteso senso comune sui millenials (bollati come “bamboccioni” in Italia) e il lavoro: il Global Shapers Annual Survey 2017 mostra
infatti che i giovani sono infatti molto orientati a far carriera.
«Quando gli viene chiesto di nominare i criteri più importanti quando
considerano delle opportunità di lavoro, lo stipendio è andato in testa,
seguito da un senso di scopo e dall’avanzamento della carriera. Solo
circa il 16% hanno dichiarato di essere disposto a sacrificare la
carriera e lo stipendio per godersi la vita». Per sottolineare il fatto
che i giovani non sono pigri e bamboccioni, l’indagine ha rilevato che
la stragrande maggioranza degli intervistati (81,1%) sarebbe disposta a
spostarsi all’estero per lavorare e fare carriera. Stati Uniti, Canada,
Regno Unito, Germania e Australia sono considerati i Paesi più
desiderabili per cogliere le opportunità di lavoro. Insomma, in questa
Europa e in questo mondo delle frontiere, dei muri e della Brexit i
giovani si sentono cittadini globali, e sentono che il lavoro è un
diritto che va cercato dove è più opportuno, gratificante e redditizio.
Sono quelli che chiamiamo con disprezzo “migranti economici”, che però
smettono di esserlo se hanno la pelle bianca, un buon livello di
istruzione e soprattutto se sono italiani che vanno all’estero.
Ai giovani non fa paura la tecnologia: sono ottimisti. I
progressi tecnologici negli ultimi anni hanno suscitato preoccupazioni
nella società per il fatto che i datori di lavoro cercheranno di
sostituire i lavoratori umani con i robot. Ma la maggior parte dei
giovani (78,6%) crede che la tecnologia creerà posti di lavoro piuttosto
che distruggerli. Quando è stato chiesto loro di citare il prossimo
grande trend tecnologico, il 28% dei giovani ha dichiarato che ad avere
l’impatto più significativo sarà l’intelligenza artificiale, mentre
considerano l’istruzione come il settore che probabilmente trarrà
maggiore vantaggio dall’adozione di nuove tecnologie. Tuttavia, solo il
3,1% degli intervistati avrebbe fiducia nei robot se dovessero prendere
decisioni al posto loro, e quando è stata loro prospettata la
possibilità di installare un impianto tecnologico sotto la propria
pelle, il 44,3% dei giovani intervistati ha rifiutato l’idea.
I giovani si preoccupano degli altri e non sono razzisti. Nonostante
quel che credono le generazioni più anziane (come d’altronde hanno
sempre fatto quelle che le hanno precedute), la generazione dei
millennils è empatica e il rapporto Wef sottolinea che «questo è forse
meglio evidenziato dal fatto che quasi i tre quarti (73,6%) degli
intervistati hanno dichiarato di voler accogliere i rifugiati nel loro
Paese. Quando viene chiesto come i governi devono rispondere alla crisi
globale dei rifugiati, più della metà (55,4%) ha affermato che bisogna
fare di più per includere i rifugiati nella forza lavoro nazionale. Solo
il 3,5% ha detto che i rifugiati dovrebbero essere deportati. In un
momento di incertezza globale e di spostamento verso l’isolazionismo, la
stragrande maggioranza dei giovani (86,5%) si considera semplicemente
“umano”, in contrasto con l’identificazione con un particolare Paese,
religione o etnia».
fonte: www.greereport.it