In
mare il 65% dei rifiuti monitorati nel 2017 da Goletta Verde è
rappresentato da buste, teli e fogli di plastica. La presenza maggiore
nell’Adriatico centrale, con il 25% del totale
Lo
studio sperimentale realizzato da Legambiente, in collaborazione con
l’Università di Siena – progetto Plastic Busters (UfM – SDSN), sui
rifiuti di plastica galleggianti in mare (in particolare buste, teli e
fogli di plastica, oggetti del campionamento) e sulle sostanze
contaminanti come organoclorurati (PCB, DDT, HCB) e mercurio, conferma
che «Il rischio delle plastiche in mare non è legato solo alla loro
presenza e agli effetti che hanno sulla fauna marina, ma soprattutto al
fatto che possono anche veicolare sostanze tossiche che vi si accumulano
sopra».
Lo
studio è stato pubblicato in occasione della Giornata mondiale degli
oceani, l’8 giugno, una data importante per Legambiente che proprio un
anno fa presentò all’Onu a New York, nell’ambito della conferenza
mondiale sugli oceani, un impegno comune con l’università di Siena
(Voluntary Commitment #OceanAction20169), sul tema del marine litter.
Secondo
il Cigno Verde e l’Ateneo toscano, lo studio, il primo di questo tipo
nel Mediterraneo, «apre la riflessione su un tema nuovo, anche alla luce
degli effetti sulla catena alimentare legati all’ingestione delle
plastiche in mare. I risultati, seppure preliminari, tracciano una
quadro complessivo poco roseo per il mare italiano. Il dato più
importante che emerge riguarda la presenza di sostanze inquinanti: su
tutti i campioni analizzati sono presenti contaminanti come mercurio,
policlorobifenili (PCB), DDT ed esaclorobenzene (HCB). La concentrazione
di queste sostanze varia in base all’area di campionamento, la natura
del polimero, il grado di invecchiamento del rifiuto. Il campionamento
ha riguardato una sola tipologia di plastiche galleggianti le “sheetlike
user plastic” (buste, fogli e teli), che rappresentano la frazione più
abbondante del marine litter».
Lo
confermano anche i dati raccolti nel 2017, durante la navigazione lungo
le coste italiane, da Goletta Verde, affiancata dai ricercatori del
progetto MedSeaLitter che prevede la sperimentazione di metodologie per
l’osservazione dei rifiuti galleggianti, con l’obiettivo di sviluppare
protocolli comuni per la quantificazione del marine litter. «Buste, teli
e fogli di plastica, costituiscono il 65% dei rifiuti galleggianti
monitorati e avvistati nel 2017 dall’imbarcazione ambientalista. Il 25%
di questi è stato trovato nell’Adriatico centrale».
Il
direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti, spiega che «Il
problema del marine litter e dei rifiuti galleggianti lungo le coste
italiane sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti, come
dimostrano i dati che raccogliamo ogni anno con Goletta Verde. La
collaborazione tra Legambiente e Università di Siena che unisce il mondo
della ricerca scientifica e quello del volontariato ambientale per
condurre studi e sensibilizzare sul tema del marine litter, ha permesso
di realizzare questo importante studio, il primo a livello del
Mediterraneo. I dati dimostrano con evidenza che il rischio connesso con
i rifiuti plastici presenti nell’ambiente marino non deriva solo dalla
loro presenza, ma anche e soprattutto dal fatto che fanno da
catalizzatori di sostanze tossiche che finiscono poi nell’ecosistema
marino, fino al rischio di entrare nella catena alimentare. Purtroppo,
la cattiva gestione dei rifiuti a monte e la maladepurazione restano la
principale causa del fenomeno del marine litter. Prevenire il fenomeno e
rimuovere le plastiche che oggi sono disperse in mare e sulle spiagge è
dunque una priorità, non solo per la salvaguardia ambientale ma anche
per la tutela della salute».
I
rifiuti analizzati dai ricercatori dell’Università di Siena sono stati
raccolti e campionati da Goletta Verde di Legambiente l’estate scorsa
durante la navigazione lungo la Penisola. Per ogni campione,
l’equipaggio dell’imbarcazione ambientalista ha preso la posizione GPS,
scattato foto, compilato una scheda di campionamento, ed eseguito una
procedura di raccolta e conservazione come previsto dal protocollo
indicato dell’Università di Siena. I ricercatori, Cristina Panti e
Matteo Baini, hanno poi effettuato le varie analisi in laboratorio. Qui
la composizione polimerica di ciascun campione è stata valutata tramite
la tecnica di spettrometria ad infrarossi. Dall’analisi è emerso che
«l’86% delle macroplastiche analizzate è costituito da polietilene (PE) e
il 14% da polipropilene». Inoltre, per quanto riguarda l’analisi dei
contaminanti organoclorurati e del mercurio identificati sulle
microplastiche galleggianti, dallo studio emerge che «Tutti i campioni
hanno presentato livelli apprezzabili di questi contaminanti. I dati
dimostrano un accrescimento delle concentrazioni con la permanenza in
mare in una prima fase e una successiva diminuzione con
l’invecchiamento: probabilmente, con l’avanzare dei processi degradativi
a cui va incontro la plastica una volta in mare, essa rilascia parte
del carico di contaminanti».
Maria
Cristina Fossi, professore ordinario di ecologia ed ecotossicologia
all’università di Siena, conclude: «I risultati prodotti, seppur
parziali, dimostrano la necessità di approfondire i rischi sul biota e i
possibili rischi sulla rete trofica legati alla presenza di plastiche
in mare e all’accumulo di sostanze inquinanti sulla superficie dei
macrorifiuti galleggianti. Un aspetto molto interessante, infatti,
sarebbe quello di integrare i dati ottenuti sulla tipologia di
macroplastica e i relativi dati ecotossicologici, con quelli
oceanografici sulla densità dei rifiuti galleggianti nelle diverse aree
analizzate. Questo consentirebbe di individuare delle aree “hot spots”
per una successiva analisi di rischio, soprattutto in relazione alla
possibilità che queste aree coincidano con quelle di foraggiamento delle
specie marine, come ad esempio le tartarughe marine».
fonte: www.greenreport.it