Quale futuro per gli attori dell'economia informale dei rifiuti che dà da mangiare a tante persone e limita disagio e povertà? I cosiddetti “svuota cantine”, gli operatori non professionaliche su chiamata passano a ritirare gli ingombranti oppure girano nei quartieri alla ricerca di oggetti e materiali abbandonati, non sono più ignorati dai comuni come qualche tempo fa.
Si tratta di persone che con il loro lavoro evitano lo smaltimento di centinaia di tonnellate di rifiuti e, se regolarizzati, oltre a lavorare con maggiore dignità e tutele potrebbero garantire introiti consistenti alle casse delle pubbliche amministrazioni. A Milano sarà finalmente avviato un tavolo di lavoro sulla questione, che vedrà confrontarsi operatori informali, il comune e l'Amsa. L'annuncio è stato dato qualche settimana fa al quartiere Giambellino, nel corso del dibattito “Dai rifiuti nascono idee” insieme ad Amsa e all’assessore all'Ambiente, Marco Granelli.
Il mercato dell’usato in Italia è fonte di sostentamento per diverse famiglie, che oltre a garantirsi un reddito onesto riescono a riscattarsi da situazioni di degrado e marginalità. Sono circa 50.000 le micro-attività coinvolte e 80.000 le persone che si adoperano per ridare una nuova vita agli oggetti inserendoli nel circuito del riutilizzo. La stima, tra regolari e non, è stata fatta dalla Rete ONU (Operatori Nazionali dell’Usato) che da tempo denuncia la necessità che le amministrazioni comunali regolarizzino gli operatori informali a fronte di un sistema normativo che negli anni è diventato sempre più rigido.
Quelli che non riescono a formalizzare l’attività continuano comunque a lavorare e spesso utilizzano mezzi di fortuna; non hanno accesso alle isole ecologiche e abbandonano il materiale scartato. L’anno scorso aveva fatto notizia il caso di uno “svuota cantine” a Roma, che era stato denunciato per trasporto e sversamento non autorizzato di rifiuti speciali e al quale era stata comminata una multa di 3.700 euro, oltre al sequestro del mezzo.
“Il problema non si combatte con le sanzioni. Bisogna offrire delle alternative a chi riesce a vivere di questo lavoro e vuole mettersi in regola”. Lo sostengono Pietro Luppi, direttore del Centro di Ricerca Occhio del Riciclone, e Mario Fedele, presidente del Consorzio Equo.
Le procedure di accesso per diventare operatori professionali sono rigide e i costi da sostenere sono troppo alti rispetto ai guadagni. Ma sempre più amministrazioni comunali riconoscono un ruolo agli informali considerando la situazione di disagio in cui vivono e l’utilità del loro lavoro che sottrae alle discariche e agli inceneritori quantitativi di rifiuti non indifferenti.
A Torino, città pioniera su questo fronte anche se oggi sembra voler tornare sui propri passi, il comune consente a circa 500 operatori di vendere e scambiare oggetti al secolare mercato del Balon, dietro la presentazione di un’istanza e il pagamento di un contributo per la copertura del canone di occupazione del suolo pubblico, della tassa giornaliera per la raccolta dei rifiuti e di eventuali costi aggiuntivi per la pulizia dell’area. Nel capoluogo piemontese l’economia informale evita centinaia di tonnellate di rifiuti e versa nelle casse della pubblica amministrazione più di 120 mila euro all’anno. (Cfr. Rete ONU e Rapporto Nazionale sul riutilizzo 2018).
“Chi raccoglie ferro riesce a viverci e a uscire dalla devianza. Quando un rom ottiene l’autorizzazione la mostra con orgoglio agli altri del gruppo”, dice Mario Fedele, presidente del Consorzio Equo che conta 600 soci, 91 punti di raccolta autorizzati in tutta Italia e ha all’attivo ben 400 tonnellate di ferro recuperate. “Seguiamo i nostri soci in tutto, dalle pratiche per l’iscrizione all’Albo dei gestori alla tenuta dei formulari e diamo lavoro a tante persone”.
“Bisogna abbassare le barriere di accesso per chi vuole svolgere questi mestieri” - dice Pietro Luppi-“la repressione non risolverà il problema degli abbandoni, bisogna, invece, offrire alternative e facilitare l’accesso degli sgombratori ai centri di raccolta comunale”.
Sono tutte questioni aperte che troverebbero le giuste risposte nelle quattro proposte di legge, in esame alle Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive, con contenuti assimilabili che vanno dall’istituzione del Consorzio nazionale del riuso alla regolamentazione e incentivazione della compravendita dell’usato e un percorso di formazione per gli operatori.
“Nell’Unione Europea nel 2014 – spiega Luppi - è stata avviata una riflessione sugli operatori informali. In Serbia nel 2018 l’87% del recuperabile è stato raccolto dagli operatori informali. In America latina gli informali vengono coinvolti nella raccolta dei rifiuti ed è anche previsto un sistema di ricompensa con la formalizzazione delle mance e il “micro-franchising” come sostegno. In particolare in Brasile per fare la raccolta differenziata bisogna necessariamente rivolgersi ai riciclatori informali”.
fonte: www.ecodallecitta.it