Inquinamento marino: nell’Adriatico pescati 14mila kg di rifiuti

In soli dieci mesi progetto ML-REPAIR ha raccolto 14 tonnellate di spazzatura in Alto Adriatico. La plastica rappresenta il principale componente



















Ben 14.206 chili di spazzatura, dalle bottiglie alle vecchie reti da pesca. Questo il bottino recuperato in appena 10 mesi da sei imbarcazioni della marineria di Chioggia nelle acque dell’Alto Adriatico. La speciale raccolta fa parte di ML-REPAIR, progettpo dedicato allo studio dell’inquinamento marino e nato dai risultati del precedente DeFishGear.
L’obiettivo dell’iniziativa è quello di coinvolgere gruppi target predefiniti (pescatori, comunità locali, settore turistico ed enti della pubblica amministrazione) nell’elaborazione di nuovi strumenti educativi per incoraggiare cambiamenti positivi a livello culturale, riducendo e, soprattutto prevenendo i rifiuti in mare.

All’interno del progetto, ISPRA con la marineria di Chioggia è impegnata da mesi in attività di Fishing for Litter. L’operazione coinvolge soprattutto le imbarcazioni che operano con pesca a strascico: quando la rete viene recuperata, i rifiuti devono essere separati dal pescato, stoccati a bordo dentro appositi sacchi e infine, al rientro, conferiti a terra in cassonetti dedicati. Un lavoro che, da luglio 2018 ad aprile 2019, ha permesso di recuperare oltre 14 tonnellate di rifiuti.
Il campione analizzato ha dato modo di determinare tipologia, materiale e possibili fonti degli oggetti trovati. Nel dettaglio, fa sapere oggi l’Ispra, la plastica rappresenta da sola il 66 per cento in peso dei rifiuti del campione, seguita da materiale misto (16 per cento), gomma (10 per cento), tessile (5 per cento) e metallo (3 per cento). Carta, legno lavorato e vetro non rappresentano insieme neanche l’1 per cento del totale.

I ricercatori solttolineano come la maggior parte degli oggetti raccolti (circa il 33 per cento in peso) sia costituita da oggetti di uso comune, molti dei quali usa e getta, come bottiglie, buste di plastica, lattine e imballaggi alimentari. Un 28 per cento del peso è riconducibile invece ad attività di mitilicoltura, in particolare retine utilizzate per l’allevamento delle cozze.
Un altro 22 per cento proviene da attività di pesca commerciale ed è in gran parte costituiti da pezzi di rete e strutture in gomma utilizzate per proteggere la parte di rete a contatto con il fondo. Il 16% è costituito da oggetti riconducibili ad attività legate al mare e alla navigazione, come ad esempio cime, cavi, parabordi, boe e galleggianti. Infine, gli oggetti connessi alla piccola pesca, come le reti da posta, le nasse e trappole, costituiscono lo 0,5% del totale analizzato.

fonte: www.rinnovabili.it