Il ministero dell’Ambiente ha avviato l’iter del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti

Costa: «La pianificazione regionale permane, ma attualmente esistono delle criticità in talune regioni, che intendiamo superare estendendo a tutto il territorio nazionale i modelli più virtuosi»












Dopo il recepimento delle ultime direttive Ue sull’economia circolare, il Governo fa un primo passo concreto per provare a concretizzarne i dettami, almeno per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani. Il ministero dell’Ambiente ha infatti avviato un tavolo istituzionale con Regioni e province autonome per la definizione del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti, una novità per il contesto nazionale.

Il documento è infatti previsto dall’art.198bis del Dlgs 152/06, che specifica come il Programma dovrà essere sottoposto a verifica di assoggettabilità a Vas (Valutazione ambientale strategica) e approvato entro 18 mesi. Il ministero, con il supporto dell’Ispra, dovrà individuare i macro-obiettivi e a definire i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome si dovranno attenere nella elaborazione dei Piani regionali per la gestione dei rifiuti.

«L’attivazione di un tavolo di lavoro per la stesura di un Piano nazionale per la gestione dei rifiuti ha ricevuto, da subito, larghi consensi da tutte le forze politiche nazionali e locali. È bene chiarire – spiega il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, in quella che sembra anche una risposta indiretta ad alcune perplessità sollevate nei giorni scorsi da ambientalisti e comitati rifiuti zero – che con questa norma la pianificazione regionale permane, ma attualmente esistono delle criticità, in talune regioni, che intendiamo superare, estendendo a tutto il territorio nazionale i modelli più virtuosi. A tale scopo, il Piano costituisce uno strumento di indirizzo volto a garantire criteri omogenei di applicazione sul territorio e ad estendere le “best pratices”».

Per una più ampia concertazione, il ministero ha invitato a partecipare al tavolo istituzionale anche i rappresentanti dell’Anci, e alla prima riunione è già stata approvata l’ulteriore proposta del ministero di allargare i lavori ai rappresentanti del ministero per lo Sviluppo economico (Mise) e all’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera). Da Assoambiente, Associazione che rappresenta le imprese di igiene urbana, riciclo, recupero e smaltimento di rifiuti urbani e speciali ed attività di bonifica, chiedono di «allargare il confronto anche gli operatori», ovvero con le aziende di settore attive sul territorio.

In attesa di risposta, dal ministero assicurano che nell’elaborazione del Programma «verrà garantita la massima trasparenza nella consultazione degli stakeholder pubblici e privati: lo scopo è il raggiungimento di un’adeguata rete impiantistica nazionale che consenta di superare le criticità più volte segnalate anche nell’ambito del contenzioso comunitario, migliorare gli standard ambientali dei servizi e diminuire i costi del servizio per i cittadini».

Da fare c’è molto, anche guardando ai soli rifiuti urbani (che pure, lo ricordiamo, rappresentano neanche il 20% di tutti i rifiuti prodotti in Italia): gli ultimi dati Ispra mostrano che nel 2018 in Italia il 49% dei rifiuti urbani è stato avviato a recupero di materia, il 18% a termovalorizzazione e il 22% in discarica, mentre l’Ue punta per il 2035 al 65% di riciclo e al 10% di discarica, con dunque un 25% di rifiuti che dovrà essere avviato a valorizzazione energetica (non necessariamente termovalorizzazione, ma anche). Alcune aree italiane, soprattutto al nord, sono più vicine a questi target e hanno sul territorio una dotazione impiantistica adeguata a perseguirle, mentre altre – soprattutto al centro-sud – sono ancora molto distanti.

Il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti dovrà giocoforza provare a chiudere il gap, evitando al contempo ad evitare quel turismo dei rifiuti per cui continuano a macinare 1,2 miliardi di km l’anno – pari a 175mila volte l’intera rete autostradale italiana, senza contare l’export – prima di trovare un impianto dove poter essere gestiti in sicurezza, con tutti gli impatti ambientali (ed economici, in termini di bollette più salate) collegati.

Sull’intero processo però aleggia un precedente inquietante, quello della Cnapi, ovvero la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito unico dove conferire i nostri rifiuti radioattivi. Anche in questo caso a valle di un’approfondita analisi per colmare un deficit impiantistico storico sono stati individuati ben 100 siti papabili, ma la Cnapi – pronta dal 2015 – non è mai stata divulgata. L’esigenza di gestire in sicurezza i nostri rifiuti sembra scontrarsi ancora una volta con logiche di consenso. Il Programma nazionale per la gestione dei rifiuti riuscirà a superare questo stigma? Lo sapremo (forse) tra 18 mesi.

fonte: www.greenreport.it


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