Campioni prelevati in 71 siti tra America, Europa e Polo Nord
I ricercatori hanno infatti analizza alcuni campioni raccolti tra 2 e 8 metri di profondità in 71 siti presenti in America del Nord, nell’Europa settentrionale e direttamente nella regione polare. In alcuni caso, come nel mare di Beaufort, tra l’Alaska e il Canada, il campionamento si è spinto fino a mille metri al di sotto della superficie dell’oceano. I dati indicano che in ciascun metro cubo di acqua sono presenti 40 particelle di microplastica. Grazie a uno spettrometro infrarosso, è stato quindi possibile analizzare la composizione di tali particelle. Nel 92,3 per cento dei casi si tratta appunto di fibre plastiche. E nel 73,3 per cento di poliestere.
Ma non è tutto: al fine di comprendere la ragione della concentrazione nell’Artico, gli scienziati hanno analizzato anche le correnti. “L’abbondanza di particelle è correlata alla longitudine – hanno spiegato nello studio -. Nell’Artico orientale è presente un quantitativo tre volte più importante rispetto alla porzione occidentale”.
“La plastica arriva dalle abitazioni e dai centri di trattamento delle acque”
Secondo quando indicato da Peter Ross, docente dell’università della Colombia Britannica, a Radio Canada “le analisi indicano che sono le abitazioni e le stazioni di trattamento delle acque che rilasciano microfibre che finiscono per inquinare l’Artico. C’è plastica ovunque nelle nostre vite”.
Al fine di fronteggiare il problema, secondo lo scienziato ciascuno di noi potrebbe intervenire installando un filtro nelle proprie lavatrici, “capace di diminuire la perdita di fibre di poliestere del 95 per cento”. Ma si possono anche scegliere abiti più robusti, che non perdono facilmente materia (e che, tra l’altro, durano di più nel tempo). Ciò che serve, però, è che a cambiare siano non solo le abitudini dei consumatori ma anche i metodi di produzione e i modelli di business delle aziende.
fonte: www.lifegate.it
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