Un ministro tunisino ci ha rimesso prima la poltrona e poi la libertà. Il console tunisino a Napoli è finito nel registro degli indagati. Un’azienda di Polla, in provincia di Salerno, si è liberata di 7.900 tonnellate di rifiuti. Che sono stati presi in carico al porto di Sousse da un’impresa che dichiara di esportare plastica ma in realtà non esiste. Sono gli ingredienti di un traffico di rifiuti internazionale che tocca Italia e Tunisia tra maggio e dicembre 2020, ricostruito in un’inchiesta dai giornalisti investigativi di IrpiMedia e dagli omologhi tunisini di Inkyfada.
“Impossibili da valorizzare”
L’arrivo di 282 container carichi di rifiuti al porto di Sousse ha generato un’onda che settimana dopo settimana è cresciuta fino a travolgere in uno scandalo politico di prim’ordine il ministro per l’Ambiente del paese africano, Mustapha Laroui. I primi sospetti che si tratti di un traffico di rifiuti internazionale, poi il 2 novembre Laroui annuncia che è aperta un’indagine della magistratura tunisina. Passano nemmeno 2 mesi e il ministro è costretto alle dimissioni. Arriva il 21 dicembre e per Laroui scattano le manette. Insieme a lui sarebbero coinvolti anche il suo capo di gabinetto e diversi funzionari statali.
Ma cosa c’è dentro i 282 container? “Scarti di rifiuti urbani e misti, impossibili da valorizzare”, denuncia un rappresentante del ministero dell’Ambiente di Tunisi. Ma dalle carte di cui è entrata in possesso IrpiMedia è chiaro che non è quello che è stato dichiarato al porto di origine, cioè quello di Salerno. Il documento è redatto dalla Sviluppo Risorse Ambientali, un’azienda di Polla. Cosa c’è nei container? Rifiuti derivati dalla lavorazione industriale dell’immondizia differenziata, risponde l’impresa salernitana. E perché la spedizione in Tunisia? Per un secondo trattamento di valorizzazione, visto che a Tunisi si ha “maggior economicità del processo di recupero rispetto al paese d’origine”, si legge nelle carte viste da IrpiMedia.
Chi c’è dietro il traffico di rifiuti tra Salerno e Sousse
Peccato che la Soreplast, l’azienda tunisina che dovrebbe farsi carico dei rifiuti e riciclarli, non ne ha la capacità. Non ha impianti, ma solo due depositi temporanei. Secondo l’accordo con l’azienda salernitana, che ha ricevuto l’ok della regione Campania, Soreplast avrebbe dovuto riciclare la frazione in plastica e avviare a discarica solo quella non ulteriormente differenziabile e recuperabile. Il sospetto è che abbia invece smaltito tutto in discarica. Non tutto: solo 70 container hanno lasciato il porto di Sousse. Gli altri sono ancora lì e costano più di 20mila euro al giorno alla Campania.
A luglio 2020 le autorità tunisine iniziano a sospettare che la faccenda nasconda un traffico di rifiuti. Soreplast ha truccato le dichiarazioni alla dogana. A ottobre vengono avvisate le autorità italiane e a inizio novembre lo scandalo scoppia pubblicamente. La Tunisia chiede alla Campania di riprendersi i rifiuti ancora bloccati al porto, quindi 212 container. La regione lo chiede alla Sviluppo Risorse Ambientali. Il proprietario di Soreplast è sparito dal paese e si è rifugiato in Germania. L’azienda di Polla si rifiuta di procedere senza garanzie di venire rimborsata dall’Italia o dalla Tunisia. Lo stallo al porto di Sousse continua, con il dossier che adesso è passato dai tecnici ai ministeri degli Esteri dei paesi sulle due sponde del Mediterraneo.
fonte. www.rinnovabili.it
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