Secondo il rapporto della Fondazione Ellen MacArthur il noleggio e la rivendita di capi di abbigliamento si mostrano in crescita e continueranno ad esserlo anche in futuro, anche perché i consumatori sono più consapevoli, ma anche preoccupati, dell'impronta ambientale negativa dell'industria moda-tessile. Il comparto ha quindi urgente necessità di divenire più circolare, adottando nuovi modelli economici più sostenibili, tra questi anche la rivendita e il noleggio di capi di abbigliamento, nuovi modelli di economia circolare, in grado di produrre diversi vantaggi, ambientali e economici.
Partendo dai primi, che sono per noi particolarmente importanti, è dimostrato che:
estendere la vita del capo di abbigliamento di soli tre mesi riduce del 5-10% dell'impronta di carbonio, un risparmio di acqua e una riduzione della produzione di rifiuti,
l’acquisto di un capo di seconda mano, rispetto all'acquisto di un capo nuovo, permette di risparmiare in media 1 kg di rifiuti, 3.040 litri d'acqua e 22 kg di CO2.
Uno studio del 2019 ha rilevato che il 65% degli acquisti di vestiti di seconda mano negli Stati Uniti e nel Regno Unito e il 41% in Cina sono sostituti dell'acquisto di un capo nuovo. Questi minori impatti sull'ambiente sono fondamentali per la protezione dell’ambiente, visti gli attuali danni ambientali causati da questo settore.
Nel 2015, le emissioni di gas serra della produzione tessile hanno totalizzato 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, cioè più della quantità prodotta da tutti i voli internazionali e dal trasporto marittimo messi insieme. Al ritmo attuale, l'industria tessile potrebbe essere la causa di oltre il 26% del bilancio globale di carbonio entro il 2050.
Anche a livello politico, sta salendo l'attenzione per gli impatti ambientali dell'industria della moda. In Francia, ad esempio, la legge che disciplina l'economia circolare vieta la distruzione degli articoli invenduti o restituiti dai clienti, mentre gruppi come la UN Alliance for Sustainable Fashion e la OECD Due Diligence Guidance for Responsible Supply Chains in the Garment & Footwear Sector stanno investendo in formazione per affrontare i problemi di sostenibilità nel comparto moda.
Per ottenere ancora maggiori vantaggi dal punto di vista ambientale, molto potrà fare anche il design, infatti, l'abbigliamento dovrà essere progettato con materiali durevoli e non pericolosi che possano sostenere diversi cicli di utilizzo. Allo stesso tempo, il design dovrebbe mirare alla “durata emotiva” del capo acquistato, cioè i clienti dovrebbero potere continuare ad apprezzarlo e a volerlo indossare, altrimenti non verrà utilizzato al suo massimo potenziale. Per raggiungere questo obiettivo, si possono adottare soluzioni dette "senza tempo" (cioè design classici e senza stagione nei modelli e nelle silhouette), o una maggiore adattabilità dei capi per evitare l'obsolescenza prematura degli articoli d'abbigliamento.
Con il noleggio e la rivendita si possono ottenere anche vantaggi economici, lo stesso articolo, infatti, verrà utilizzato da molti clienti nel corso della sua vita, aumentando i ricavi per ogni singolo capo di abbigliamento, diversamente da quanto accade con i modelli lineare, produzione – vendita, che si basano, in modo esclusivo, sui volumi venduti per generare entrate. L'aumento del tasso di utilizzo, combinato con i costi più bassi che si possono ottenere con la riduzione del fabbisogno di materie prime, permetterebbe di vendere e/o noleggiare il capo d’abbigliamento ad un costo vantaggioso per il cliente, attraendo tutte quelle persone sensibili al prezzo. Tra i vantaggi dei servizi di noleggio di abbigliamento ci sarebbe anche la maggiore capacità di fidelizzazione dei clienti, come dimostrano i dati della piattaforma di noleggio di abbigliamento, CaaStle, che hanno rivelato come i loro clienti, nel tempo, abbiano aumentato gli acquisti del 125-175%.
Va da sé che questi nuovi modelli di economici, di tipo circolare, per determinare un cambiamento reale e concreti vantaggi economici necessitano di un diverso approccio culturale al consumo e l’abbandono dell'idea di “proprietà e possesso" del capo d’abbigliamento ma anche di un aumento dell'uso delle tecnologie digitali, tema non da poco, visto che si parla, in questo periodo, di digitalizzazione.
L'aumento dell'e-commerce ha subito un'accelerazione dall'inizio della pandemia. Uno studio sui clienti tedeschi e britannici, condotto nell'aprile 2020, ha rilevato che il 43% degli intervistati ha iniziato ad acquistare articoli di moda online per la prima volta all'inizio della pandemia, e il 28% prevede di ridurre i propri acquisti in luoghi fisici in futuro.
Durante la pandemia sono state adottate molte soluzioni digitali innovative, come il coinvolgimento dei clienti attraverso i social media, le sessioni livestream in grado di trasformare i negozi fisici in palcoscenici virtuali per lo shopping. Tutto questo si è mostrato prezioso per le aziende, garantendo le vendite, talvolta aumentandole e rendendo più partecipi i clienti anche se da casa. Tuttavia, per attrarre e incentivare i clienti ad usare queste piattaforme, queste dovranno essere progettate e sviluppate tenendo conto soprattutto dei bisogni della clientela, quindi dovranno essere messi in campo investimenti per potenziare le capacità digitali del Paese oltre che delle singole imprese.
fonte: www.arpat.toscana.it
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