Il documento, oltre a riesumare una soluzione, quella della creazione di un nuovo inceneritore, del tutto obsoleta e anacronistica, mette addirittura in discussione l’unico modello di raccolta dei rifiuti che consente di intercettare elevati quantitativi di frazioni differenziate, di ottima qualità merceologica: il porta a porta spinto.
Tant’è che nella proposta formulata scompare l’estensione del metodo di raccolta porta a porta su tutto il territorio regionale (presente nel vigente piano regionale del 2009), mentre si indicano tra le migliori pratiche italiane, i casi dell’area romagnola, gestiti dalla Società Hera e caratterizzati da un modello di raccolta di tipo stradale che l’Umbria giustamente sta da tempo, progressivamente, abbandonando, cosi come la stessa parte emiliana di quella regione.
Secondo quanto riportato dal CTS, il recupero di materia ottenuto nel contesto territoriale preso a riferimento, gestito dalla Società Hera, raggiungerebbe valori superiori al 95% di quanto raccolto, per tutti i materiali. Una tale affermazione, che ci appare del tutto sfornita di prova, potrebbe essere suffragata solamente dalle analisi merceologiche eseguite, atte a certificare la predetta affermazione. Quindi, quale atto dovuto, ci aspettiamo che il CTS pubblichi i predetti dati e certificazioni perché noi abbiamo ampie, ampissime evidenze del contrario. Il sistema è intrinsecamente incline a generare impurità a due cifre dei vari materiali raccolti, e questo viene amplificato dalle operazioni di selezione che, massimamente nel caso dell’organico (ma non solo),assieme alle impurità scartano anche molto materiale riciclabile o compostabile.
L’architrave di tutta la pianificazione regionale, che emerge dal documento prodotto dal CTS, è molto debole e assolutamente discutibile, in quanto, come ci aspettavamo, ruota tutta intorno all’obiettivo europeo del 10% della produzione totale di rifiuti, quale percentuale massima conferibile in discarica, da raggiungere entro il 2035. Al CTS pertanto appaiono sfuggire gli obiettivi intermedi e il fatto che il predetto obiettivo non è a tutt’oggi definitivo, essendo oggetto di discussione a livello europeo, e di ben due votazioni già avvenute nel parlamento europeo; votazioni e richieste incluse ella Commissione UE che fanno presagire la revisione od addirittura la abolizione (nell’ambito della “mid term revision” del Pacchetto Economia Circolare) che avverrà nei prossimi 2 anni, del Landfill Cap del 10% e una sua possibile sostituzione con un “residual waste cap” o sua espressione non più in percentuale, ma in kg/ab.
A fronte di questo,affrettarsi a impostare le valutazioni strategiche su un obiettivo al 2035, quando tale obiettivo potrebbe essere rivisto prima ha tutto il sapore di “voler sfruttare l’argomento finché possibile” . Un approccio, con ogni evidenza, irricevibile.
Ma l’aspetto che suscita maggiore perplessità, in termini di conoscenza approfondita del settore, è la formula fallace posta alla base della proposta: fatto 100 il totale del rifiuto, tolto il 65%, che rappresenta la percentuale minima di riciclo prevista dall’Unione Europea per il 2035, sottratto il 10% ovvero il limite di conferimento in discarica, rimane un 25% di rifiuto residuo, che, secondo tale costruzione, rappresenterebbe la percentuale da inviare ad incenerimento. Non per caso, tutti e tre gli scenari individuati nel documento hanno alla base la medesima formula fallace.
Fallace in quanto, il 65% di percentuale di riciclo netto rappresenta di fatto l’obiettivo minimo e certamente, con una raccolta porta a porta, spinta e di qualità, di qui al 2035 l’Umbria ha tutte le capacità per arrivare ad una drastica riduzione di quel 25% di rifiuti/scarti che vorrebbero destinare ad incenerimento, ponendosi di fatto in totale controtendenza con tutte le realtà virtuose e con gli altri Paesi europei, anche quelli con maggiore presenza di inceneritori, che tanta materia sottraggono all’economia circolare, i quali stanno pertanto rivedendo le loro strategie, eliminando progressivamente tale pratica dannosa e ormai obsoleta con moratorie e/o piani di “decommissing” progressivi della capacità esistente.
Va anche ribadito che l’incenerimento e il co-incenerimento non sono certamente le uniche opzioni di trattamento del RUR, né le uniche opzioni che consentono di ridurne l’avvio a discarica. Esistono ad esempio impianti di trattamento meccanico biologico evoluti, comunemente denominati fabbriche di materiali, e sistemi di selezione del RUR che riescono a recuperare i materiali riciclabili che sono presenti nell’indifferenziato, garantendo, inoltre, una elasticità del sistema, riuscendo a trattare sia il rifiuto residuo che la raccolta differenziata.
Dopo il lavoro del CTS, che certamente non ci dà lustro in materia, ci ha messo lo zampino anche la Regione, la quale, tra gli scenari individuati dal Comitato, guarda caso, è andata ad individuare proprio il peggiore ovvero quello che prevede la realizzazione di un nuovo inceneritore; una idea ormai da anni abbondonata, anche perché antieconomica e non certamente utile, né tanto meno necessaria all’Umbria.
Peraltro, rispetto all’ipotesi del quantitativo di 130 mila tonnellate da incenerire, anche chi poco conosce della produzione dei rifiuti in Umbria, immediatamente, comprende che non è certamente legata alle reali esigenze di smaltimento della nostra Regione, ma rappresenta la taglia minima atta a consentire la sostenibilità tecnica ed economica dell’inceneritore e del suo gestore, con il rischio concreto di ricevere rifiuti da fuori regione e azzerare le buone pratiche finora messe in atto!
Un tale scenario, come facilmente si intuisce ed evince anche dai numeri/dati riportati nel documento del CTS, va a compromettere tutte le politiche di riduzione e prevenzione della produzione di rifiuti, in violazione peraltro della ben nota gerarchia dei rifiuti, che CTS e Regione appaiono disattendere, oltre che certamente compromettere la qualità e quantità della raccolta differenziata, con concreto pericolo di abbandono del sistema di raccolta migliore che esiste che è il porta a porta spinto.
Alla fine, una triste certezza l’avranno i cittadini che vivono in prossimità delle discariche e le associazioni che fin qui si sono battute per far chiudere questi impianti dannosi e insalubri, sempre dichiarati “residuali”. Un ulteriore milione di mc di spazzatura, o un milione 400mila mc! solo per arrivare alla messa in funzione dell’inceneritore nel 2030,garantendo a tale data il”flusso minimo vitale” per fare funzionare l’inceneritore, quando da subito si potrebbe spingere su raccolta domiciliare e strategie di riduzione e riuso, con effetti ben più veloci rispetto all’attesa della “salvifica ciminiera”.
Poi già dicono che già dal 2029/2030 occorreranno “nuovi volumi di discarica, necessari al soddisfacimento dei futuri fabbisogni, che – seppur limitati – permarranno nel sistema a regime”. Questo perché , ad onta della narrazione, l’incenerimento non elimina la discarica: anzi, la raddoppia, richiedendo discariche sia per rifiuti non pericolosi (le ceneri pesanti o “scorie”) che per rifiuti pericolosi (le ceneri volanti).
Gli esperti regionali calcolano circa 30/35mila mc all’anno ma non dicono certo dove verranno conferiti!
Chi l’ha detto che, oltre le aree vocate a vigneti o a uliveti o a tabacco…, ci debbano essere anche i distretti dell’immondezza? Solo in Umbria, una discarica è per sempre!
Altro argomento affrontato nel documento del CTS riguarda il recupero energetico, previsto nell’ambito dei diversi scenari proposti, e che a parole si considera limitato alla sola frazione residuale non riciclabile. Tuttavia, quanto affermato è subito smentito dai grafici che sintetizzano le tre differenti ipotesi. Infatti, il primo scenario contempla 130.000 tonnellate da incenerire, il terzo invece poco più di 45.000 tonnellate, dimostrando, così che l’inceneritore viene alimentato soprattutto con rifiuti che potrebbero essere avviati a recupero di materia.
Nulla di più fuori luogo poi l’affermazione, anch’essa denotante una scarsa cultura sul tema, di chi, compreso l’Assessore regionale all’ambiente, porta la Danimarca quale esempio da imitate per l’Umbria, facendo così un grande torto alla nostra regione.
La Danimarca, infatti,è caratterizzata dalla più alta produzione pro capite di rifiuti in Europa (880 kg/ab.anno contro una media UE nazionale di circa 500 kg/ab.anno), ha una raccolta differenziata che non supera il 50% e circa 450 kg/ab. Anno vanno ad incenerimento il che risulta in circa 110 kg/ab.anno di scorie e ceneri.
Peraltro, il governo danese, in una ottica di perseguimento della nuova strategia di economia circolare, completamente sfuggita al CTS regionale,e per rispettare gli impegni di decarbonizzazione – messi in crisi dalla elevatissima “climate footprint” dell’incenerimento, ben più elevata di quella del mix energetico nazionale e locale (ci domandiamo se gli “esperti” queste valutazione le hanno sviluppate) ha appena annunciato un piano nazionale di riduzione del 30% delle capacità di incenerimento; un sistema, evidentemente, non più sostenibile e non certamente da imitare, soprattutto, in questo momento storico.
L’incenerimento, proprio come la discarica, rappresenta una perdita di materia e di risorse, tanto che, e non a caso, la costruzione di inceneritori e tale modalità di gestione non possono essere finanziate con i fondi del Recovery Fund o Next Generation Eu perché soggetto al principio de DNSH “non creare un danno alla Economia circolare”, il che conferma, al di là di ogni obiezione, che non fa parte dell’Economia Circolare, ed anzi lavora contro di essa.
C’è una grande amarezza nel leggere scenari di pianificazione che l’Umbria non si merita, del tutto fuori luogo, datati e dannosi per la nostra Regione, il suo sviluppo sostenibile, la salubrità del suo ambiente e l’economia circolare, completamente disattesa.
Eppure un’alternativa ai predetti scenari esiste, come ci dimostra la realtà virtuosa e di rilievo internazionale che è la Società pubblica Contarina e il Consorzio di comuni che la guida. Paradossalmente, il CTS, pur citando Contarina tra le migliori pratiche, finisce poi per liquidare tale esperienza con una affermazione che lascia di stucco: “con i dati a disposizione non è possibile stimare se l’intera filiera del trattamento dei rifiuti nel consorzio Contarina rispetta già oggi il limite del 10% del conferimento in discarica del rifiuto residuo”. Evidentemente, non hanno ritenuto di informarsi.
Contarina gestisce 50 Comuni della provincia di Treviso e serve una popolazione di circa 550.000 abitanti.Grazie ad un sistema che si basa sul modello porta a porta spinto e sul sistema a tariffazione puntuale,la Società è riuscita a prevenire la produzione di rifiuti, tanto che nel 2019 ha un dato della produzione di rifiuti pari a sole 226.372 tonnellate, con una percentuale di raccolta differenziata dell’88%,un quantitativo di rifiuto residuo pro capite di soli 42 kg/ab/anno; valore che si propone di ridurre ulteriormente, portandolo al 10kg/ab/anno di rifiuto residuo. Inoltre, Contarina vanta una tariffa media tra le più basse d’Italia.
Facendo riferimento a questa realtà e alle numerose esperienze virtuose che abbiamo in Italia, le associazioni riunite nel Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero e i referenti umbri di Zero Waste Italy avevano presentato, nel 2020, una dettagliata proposta di piano regionale, supportata peraltro da numerosi cittadini, associazioni e Sindaci, a cui la Regione e lo stesso CTS non hanno mai dato risposta e non hanno mai inteso confrontarsi. Avevano forse già deciso a priori la strategia finale e hanno così costruito su quell’obiettivo i possibili scenari, ribaltando completamente il giusto approccio metodologico?
A noi sembra proprio così. Ma andiamo a mettere a confronto gli scenari del CTS con la proposta da noi presentata.
Lo scenario che la Regione vorrebbe adottare prevede un quantitativo di rifiuti totali prodotti, al 2035, di 434.452 tonnellate, che, rispetto alla produzione attuale, si riduce del solo 4.5%, peraltro, non in virtù dell’attuazione di politiche di riduzione dei rifiuti, ma per una previsione di calo demografico!
Al 2035, si prevede il raggiungimento dell’obiettivo di raccolta differenziata del 74.8%, ovvero si programma di impiegare ben 14 anni per aumentare la percentuale di raccolta differenziata di soli 8 punti, rispetto all’attuale dato del 66%. Si prevede altresì che vi saranno circa 130.000 tonnellate di rifiuti da incenerire. Nonostante il massiccio ricorso all’incenerimento, lo scenario ipotizza un quantitativo annuo di rifiuti da conferire in discarica di circa 30.000 tonnellate. Ciò a dimostrazione del fatto che questa pratica obsoleta non è affatto alternativa allo smaltimento in discarica, come vorrebbero farci credere. Non è un caso che la Regione abbia deciso di ampliare la capacità delle discariche regionali.
La nostra proposta invece è pensata per creare in Umbria un modello di vera “economia circolare”, che , laddove non lo si sappia, non è e non può essere sinonimo di “gestione rifiuti” (ed infatti l’incenerimento non è incluso nei modelli originari codificati di Economia Circolare a livello internazionale, essendo per definizione lineare e rappresentando un “leakage”, una perdita netta di materiali e risorse dal sistema); un modello che abbia tra i suoi assi portanti il riuso, il riciclo, la riparazione e la riprogettazione e quindi si propone di creare un contesto che favorisca la creazione di opportunità imprenditoriali e occupazionali, dove etica e profitto possano coesistere.
Ma veniamo ai numeri più importanti che sono quelli della produzione di rifiuti, secondo lo scenario da noi proposto.
Attuando l’elaborato redatto nel 2018 dalla società Erica, su commissione dell’Auri, e prontamente messo nel cassetto, incentrato sulle politiche di prevenzione e riduzione della produzione di rifiuti, si potrebbe raggiungere un obiettivo pro capite di produzione dei rifiuti di 360kg/ab/anno, già al 2030,per un totale di circa 330.000 tonnellate prodotte e una riduzione totale di rifiuti prodotti di circa il 27%, in 8 anni. Estendendo su tutto il territorio regionale il modello porta a porta spinto con tariffazione puntuale, già al 2030, si raggiungerebbe l’85% di raccolta differenziata.
Al rifiuto residuo prodotto può essere ulteriormente sottratto un 50% della frazione secca, se si realizzasse un impianto di fabbrica dei materiali, avviando a riciclo quanto intercettato nel ciclo dell’indifferenziato.
Sulla base del predetto scenario, al 2030, prevediamo un quantitativo di rifiuti da smaltire in discarica che si aggira attorno alle 35.000 tonnellate, con il vantaggio di disporre di una progettazione impiantistica flessibile e modulare, che favorisce il miglioramento progressivo del sistema e degli obiettivi da raggiungere, tanto in termini di riduzione della produzione di rifiuti che di materiale intercettato e avviato a riciclo e, dunque, di tenersi pronti ad accogliere ulteriori innalzamenti della barra delle ambizioni, come è sempre avvenuto negli ultimi decenni in Italia ed Europa.
Auspichiamo che la Regione faccia un passo indietro e che si apra una fase vera di dibattito e di confronto su un tema fondamentale per il futuro della nostra Umbria, senza comprometterlo nell’interesse di pochi e dei loro interessi economici.
Referenti per l’Umbria di Zero Waste Italy
Associazioni e comitati del Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero
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