Plastica e riciclo: l’Italia tra ambizione e realtà

 


L’Italia si presenta spesso come un’eccellenza nella gestione del riciclo degli imballaggi in plastica, ma un’analisi più approfondita rivela una realtà meno brillante. Mentre la narrativa politica esalta i risultati del sistema italiano, l’indagine “Plastica, Italia campione del riciclo?” condotta dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia mette in discussione la trasparenza dei dati e l’effettiva sostenibilità delle pratiche adottate.

I numeri ufficiali indicano che tra il 2021 e il 2023 il Consorzio Corepla ha avviato al riciclo circa 700.000 tonnellate di imballaggi in plastica ogni anno. Tuttavia, la produzione di scarti si è attestata intorno a 500.000 tonnellate nello stesso periodo, scarti destinati principalmente alla combustione in cementifici esteri o, in misura minore, alla discarica. Questo dato non solo evidenzia un significativo divario tra la plastica raccolta e quella effettivamente riciclata, ma pone l’Italia al di sotto degli standard europei, che richiedono un riciclo effettivo del 50% entro il 2025 e del 55% entro il 2030.

Il problema principale riguarda il modo in cui vengono calcolati i tassi di riciclo. Fino ad oggi, l’Italia ha utilizzato come riferimento il materiale “avviato a riciclo”, una metrica che comprende anche scarti e materiali non recuperabili estratti durante il processo. Secondo i nuovi standard comunitari, il riciclo effettivo – che considera solo il materiale effettivamente trasformato in nuovi prodotti – si attesta al 48% per il 2023, inferiore ai dati ufficiali di Corepla e ben lontano dall’eccellenza vantata. La mancanza di trasparenza nel sistema è aggravata dal fatto che i documenti necessari per effettuare questi calcoli non sono pubblici, e i pochi audit disponibili, come quelli inclusi nel Rapporto di Sostenibilità 2023 di Conai, non risultano sufficientemente rappresentativi.

Anche la gestione del plasmix, le plastiche miste difficili da riciclare, solleva interrogativi. Questo materiale costituisce una parte consistente della raccolta differenziata italiana ed è in gran parte destinato all’estero per essere bruciato come combustibile o, in misura minore, smaltito in discarica. Greenpeace ha messo in luce che il crescente export di questi rifiuti potrebbe alimentare attività illecite, tra cui incendi o sotterramenti, nei Paesi di destinazione.

Questa opacità si riflette anche a livello internazionale. L’attuale governo ha spesso utilizzato i risultati dichiarati dal sistema di riciclo nazionale per opporsi a misure che ridurrebbero l’uso di plastica monouso o promuoverebbero sistemi di riuso. Tuttavia, come sottolinea Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, «credere nell’eccellenza del sistema che gestisce i nostri imballaggi in plastica assomiglia più a un atto di fede».

L’incontro a Busan per il trattato globale sulla plastica, svoltosi a novembre 2024, non ha portato ai risultati sperati. Nonostante l’urgenza evidenziata dalla crescente produzione di plastica, che potrebbe raddoppiare entro il 2040, le negoziazioni si sono arenate a causa delle profonde divisioni tra i partecipanti. Da una parte, la “Coalizione dalle Alte Ambizioni”, composta da molti stati africani, europei e asiatici, ha sostenuto un trattato vincolante che abbracciasse l’intero ciclo di vita della plastica, puntando su riduzioni obbligatorie della produzione e una riprogettazione dei materiali. Dall’altra, i grandi produttori di petrolio, come Arabia Saudita, Russia e Iran, hanno promosso un approccio più limitato, focalizzato solo sul riciclo e la gestione dei rifiuti senza ridurre la produzione stessa.

La presenza di oltre 200 lobbisti dell’industria chimica e fossile ha ulteriormente complicato il quadro, influenzando il processo negoziale e opponendosi a misure più stringenti. Alla fine, i leader non sono riusciti a superare lo stallo, lasciando il trattato in uno stato di incertezza. Nonostante alcuni progressi nella formulazione di proposte più concise, come la bozza di 17 pagine proposta per semplificare il dibattito, non è stato raggiunto un consenso su obiettivi vincolanti o misure concrete per ridurre l’inquinamento da plastica.

Greenpeace e altre organizzazioni hanno denunciato il risultato come un’occasione mancata, sottolineando che ritardare interventi decisi rischia di aggravare ulteriormente la crisi ambientale, compromettendo non solo l’ecosistema ma anche la salute umana su scala globale. Questo insuccesso rappresenta un ulteriore richiamo all’urgenza di un’azione coordinata e determinata nei prossimi incontri internazionali per affrontare in modo efficace l’inquinamento da plastica e il suo impatto devastante.

Se l’Italia vuole realmente posizionarsi come leader nella gestione sostenibile della plastica, sarà necessario un cambio di paradigma. Questo richiede non solo una maggiore trasparenza nei dati, ma anche un impegno concreto a ridurre il consumo di plastica e a investire in sistemi di riuso che garantiscano una reale sostenibilità ambientale. Solo così sarà possibile andare oltre la retorica e costruire un sistema davvero virtuoso.

Esper/Greenpeace Italia

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