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End of waste, tra luci e ombre


















I decreti end of waste servono a stabilire quando, al termine di un processo di trasformazione, i rifiuti diventano nuova materia prima, o meglio materia prima secondaria, pronta per essere reimmessa nei cicli produttivi in sostituzione dei materiali vergini. Sono in sostanza la veste giuridica del riciclo, un’attestazione della qualità dei processi di recupero. Ma a che punto è la disciplina italiana sulla cessazione della qualifica di rifiuto? E basta il solo end of waste a tenere in piedi le filiere italiane del riciclo?






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End Of Waste, La Strada Verso La Semplificazione















Con una controversa sentenza della scorsa primavera, il Consiglio di Stato ha stabilito che solo il Ministero dell'Ambiente e l'Unione Europea hanno il potere di definire criteri di cessazione della qualifica di rifiuto. Ovvero i cosiddetti criteri "end of waste", quelli che servono per stabilire se, al termine di un trattamento, i rifiuti sono stati effettivamente riciclati, cioè trasformati in nuovi prodotti pronti per essere immessi sul mercato. Se prima della sentenza questi criteri potevano essere stabiliti "caso per caso" anche da enti come provincie e regioni all'atto del rilascio delle autorizzazioni agli impianti, oggi invece questo non è più possibile. Tanto che il mondo del riciclo in Italia è di fatto paralizzato, nessuna nuova autorizzazione viene rilasciata mentre è a rischio il rinnovo di quelle già in essere e in via di scadenza. 




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