Oltre 1.100 impianti industriali a rischio: l’Italia delle fabbriche è una polveriera

In Italia ci sono oltre 1.100 vere e proprie bombe ecologiche pronte a esplodere. Si tratta degli impianti che trattano sostanza pericolose, a rischio incidente, sparsi su tutto il territorio e in particolare in 739 comuni. E’ quanto emerge dal Dossier “Ecosistema rischio Industrie” realizzato da Legambiente e Dipartimento della Protezione civile nell’ambito del progetto di monitoraggio, prevenzione e informazione per la mitigazione dei rischi naturali e antropici Ecosistema Rischio 2012.
Gli impianti a rischio sono soprattutto quelli chimici, petrolchimici, le raffinerie e i depositi di gpl, esplosivi e composti tossici che, in caso di incidente o di malfunzionamento, possono provocare incendi, contaminazione dei suoli e delle acque e nubi tossiche. In particolare, sulla base dell’analisi realizzata, emerge che tali impianti si trovano soprattutto in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna.
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Lo studio è stato portato avanti attraverso l’invio, a tutti i 739 Comuni, di un questionario mediante il quale si è cercato di indagare il livello di realizzazione o partecipazione dei comuni a periodiche esercitazioni, il recepimento da parte delle amministrazioni delle informazioni contenute nei Piani d’emergenza esterni redatti dalle prefetture competenti e infine la pianificazione urbanistica in base al rischio esistente. 
Solo 211 amministrazioni comunali hanno risposto: un dato che, come sottolinea il capo della Protezione civile Franco Gabrielli , denota “una mancanza di consapevolezza”.
E infatti il rapporto parla di “informazione ancora insufficiente ai cittadini sui rischi e sui comportamenti da tenere in caso di emergenza”. Come ha spiegato Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente: “ I comuni hanno il compito fondamentale di fare da raccordo tra la pianificazione urbanistica e la presenza di insediamenti a rischio; spetta loro l’informazione ai cittadini”.
Non da meno la presenza abbastanza considerevole di scuole, centri commerciali, strutture turistiche, chiese e ospedali nelle aree a maggior rischio.

fonte: www.nonsprecare.it