Alcuni esempi di edifici con consumi
bassissimi, definiti “passivi”, si sono visti negli ultimi venti anni.
Ma il cambiamento su larga scala nel settore edilizio arriverà sulla spinta di vincoli normativi.
Ha anticipato tutti il Regno Unito decidendo nel 2006 che dal 2016
tutti i nuovi edifici residenziali avrebbero dovuto essere “carbon
neutral”, cioè con emissioni climalteranti uguali a zero. Una misura
coerente con l’impegno del paese a ridurre dell’80% la produzione di
anidride carbonica entro la metà del secolo.
A questa decisione è seguita una direttiva UE che impone che dal prossimo decennio tutti i nuovi edifici privati europei siano “nearly zero energy”
(dal 2019 per l’edilizia pubblica). Una definizione appositamente vaga
per consentire ai vari Stati membri di declinarla negli specifici
contesti climatici. Secondo la direttiva, “Il fabbisogno energetico
quasi nullo dovrebbe essere coperto in misura molto significativa da
energia da fonti rinnovabili prodotte in loco o nelle vicinanze". Un
obiettivo difficile, ma non impossibile.
Gli
ultimi quarant’anni hanno visto un progressivo miglioramento delle
prestazioni energetiche degli edifici grazie a normative sempre più
rigorose. In Germania, ad esempio, oggi i consumi specifici delle nuove
costruzioni sono inferiori di due terzi rispetto a quelli del 1977. Si
tratta quindi di accelerare un processo di innovazione già in atto.
L’ultimo
sforzo previsto dalla Direttiva è ovviamente il più difficile da
raggiungere. La stessa definizione di edificio a consumo energetico
quasi zero è al momento al centro delle discussioni di esperti nei vari
paesi. Del resto, realizzare a costi ragionevoli edifici con consumi
bassissimi e che garantiscano buone condizioni di confort termico sia
d’inverno che d’estate non è un esercizio banale. Ma si può fare,
come dimostrano alcune migliaia di edifici costruiti negli ultimi anni.
L’edilizia nel tempo ha prodotto raffinati esempi di climatizzazione
naturale: le torri del vento iraniane, gli insediamenti indiani come la
Mesa verde in Colorado, i dammusi di Pantelleria, i trulli pugliesi…
In un passato più recente, la prima “abitazione” a funzionamento passivo in realtà è stata una nave.
Si tratta della Fram, costruita nel 1883 per l’esploratore Fridtjof
Nansen, tra l’altro impegnato in attività umanitarie che gli valsero il
premio Nobel. La Fram era stata costruita appositamente per le esplorazioni polari.
Le superfici interne erano protette da uno strato di lana catramata e
altri isolanti naturali posti tra lo scafo e la pannellatura interna,
con uno spessore che raggiungeva i 40 centimetri. I lucernai erano
protetti da un triplo vetro. C’era perfino un aerogeneratore che faceva
funzionare le prime lampade elettriche. Per scaldare gli ambienti era
stata installata una stufa, che però veniva accesa solo quando la
temperatura scendeva sotto i -22 °C.
Oggi
si possono utilizzare, come vedremo, isolanti innovativi, sostanze a
cambiamento di fase, “superfinestre”, software capaci di gestire in modo
intelligente i flussi energetici. Il Padiglione Italia a Expo
2015, per esempio, è stato concepito come edificio a energia quasi
zero grazie alle prestazioni dell’involucro, al contributo del
fotovoltaico e di pompe di calore geotermiche ad elevata efficienza. I
fabbisogni di energia utile sono molto contenuti, raggiungendo nella
stagione estiva ed invernale rispettivamente 21,3 e 4,2 kWh/m3. La
superficie esterna, 9.000 m2, è costituita da pannelli di cemento con
proprietà fotocatalitiche, brevettato da Italcementi, in grado di
catturare alcuni inquinanti presenti nell’aria trasformandoli in sali
inerti e contribuendo così a ripulire l’aria dallo smog.
fonte: http://www.qualenergia.it