Viaggio nell’impianto di compost tra ammassi di verdure, pane e formaggi
Ci sono i numeri dello spreco di cibo. E fanno impressione: 5 milioni
e mezzo di tonnellate l’anno, 12 miliardi buttati al vento in Italia.
Ma il potere evocativo dei dati (fonte Politecnico di Milano con
Fondazione banco alimentare) è poca cosa di fronte a quello delle
immagini: «Lo vede? È un pezzo di formaggio ed è ancora commestibile».
Luca Rossi, direttore dell’Ipla (Istituto per le piante e per l’ambiente
del Piemonte), ha ragione: su quel pezzo di toma non c’è alcuna traccia
di muffa. Anche la crosta, a prima vista, è quasi perfetta. E non ha
l’odore di un cibo andato a male. Peccato, però, che non si possa più
mangiare.
Luca Rossi ha preso il latticino da un ammasso di rifiuti organici
provenienti dalla grande distribuzione e scaricata per terra nell’aia di
stoccaggio dell’impianto di compost gestita dalla società Territorio e
Risorse alle porte di Santhià, in provincia di Vercelli. Ci sono
baguette, pane casereccio di ogni forma e dimensione; filoni integrali e
alle noci. E poi tranci di pizza rossa e bianca («È ancora morbida, si
poteva recuperare»), formaggio stagionato, peperoni, sedani, limoni,
mele. Ottocento chili, forse una tonnellata. Osservare tutto quel cibo
scartato fa star male ed è ancora peggio quando Rossi, con occhio
esperto, si china per raccoglierne qualche campione e dimostra che è
ancora buono. Mentre il direttore di Ipla parla, il suo presidente, Igor
Boni, in una decina di
minuti, e senza scavare dentro l’ammasso,
raccoglie prodotti che avrebbero potuto essere conservati in frigo e poi
essere cucinati. «Non hanno un brutto aspetto dopo due viaggi dentro i
compattatori».
fonte: http://www.lastampa.it