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Innovazione e sostenibilità nel settore del packaging alimentare

I risultati parziali del progetto europeo MyPack



MyPack “Best markets for the exploitation of innovative sustainable food packaging solutions” è un progetto quadriennale iniziato il 1 novembre 2017 e finanziato dal programma Horizon 2020 (Grant Agreement Number 774265). In virtù delle difficoltà causate dalla pandemia in corso, il progetto ha beneficiato di una proroga della scadenza, e si concluderà dopo l’estate.

L’obiettivo di MyPack è quello di sostenere l’introduzione sul mercato di imballaggi innovativi al fine di ridurre sia i rifiuti alimentari e di imballaggio che la loro influenza negativa sull’ambiente. Nei 27 paesi europei, ogni anno vengono prodotti 89 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, il che significa che gli europei buttano via il 20% del cibo che acquistano. Al progetto prende parte un partenariato composto da Istituzioni accademiche, scientifiche e partners industriali, comprese piccole e medie imprese, da 5 Paesi Europei (Francia, Germania, Italia, Grecia, e Paesi Bassi), più la Svizzera.

Le tecnologie MyPack intendono sviluppare, e sfruttare a livello industriale, applicazioni commerciali di imballaggi compostabili/biodegradabili, imballaggi da risorse rinnovabili come PLA e PEF, tecnologie di imballaggio attivo e intelligente.

L’obiettivo conclusivo delle tecnologie MyPack è quello di estendere la qualità dei prodotti alimentari, migliorando così la sicurezza alimentare, oltre a ridurre i rifiuti alimentari e l’impronta ambientale del materiale da imballaggio. Il progetto MyPack sta sviluppando alcune linee guida generali per selezionare il miglior mercato per le tecnologie innovative messe a punto nel settore del packaging e per garantire uno sviluppo commerciale, attraverso (a) una migliore efficienza ambientale (impatto diretto degli imballaggi, impatto degli scarti alimentari, riciclaggio ottimizzato mediante compostaggio dei materiali di confezionamento, salute dei consumatori), (b) migliore accettabilità da parte dei consumatori, e (c) fattibilità industriale. Una prima linea guida generale è già stata realizzata, e, dopo un’attenta revisione da parte del consorzio dei partner, è stata pubblicata sul portale del progetto, nella sezione “Deliverables”.

Tra le 7 tecnologie individuate nel progetto, la TEC4 (Microtechnologic insertion conferring breathing properties) ha finora presentato le migliori prospettive di sviluppo commerciale. La tecnologia proposta, partendo dal know-how per lo sviluppo di un brevetto per un dispositivo in grado di controllare gli scambi gassosi tra l’interno e l’esterno di una confezione per prodotti alimentari solidi o liquidi (BlowDevice), mira allo sviluppo di un innovativo film traspirante dotato di una particolare microtecnologia.

L’obiettivo finale è quello di controllare/adattare l’atmosfera gassosa all’interno della confezione regolando gli scambi gassosi nel tempo, in funzione delle caratteristiche del prodotto confezionato, sfruttando le variazioni di pressione prodotte dall’impianto di refrigerazione utilizzato per la frigoconservazione.

Le attività di ricerca e sviluppo, effettuate nel laboratorio “MacLab1” dell’Università degli Studi della Basilicata, hanno quindi consentito la caratterizzazione del comportamento del dispositivo innovativo in differenti applicazioni su prodotti ortofrutticoli (insalate pronte per il consumo, rucola, fragole, ciliegie, uva da tavola). Le prossime fasi del progetto prevedono il trasferimento tecnologico dell’innovazione alle aziende produttrici di insalate pronte e altri prodotti ortofrutticoli, che si sono già interessate all’utilizzo del brevetto e del know-how relativo al confezionamento in atmosfera modificata dei prodotti ortofrutticoli.

Inoltre, di recente, l’innovazione è stata menzionata sul portale europeo Innovation Radar, nato con l’intento di mostrare ai cittadini europei i numerosi ed eccellenti progressi tecnologici e scientifici realizzati dai ricercatori e da innovatori in tutta Europa.

fonte: www.rinnovabili.it


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Utilizzo dell'IA per ridurre al minimo la sovrapproduzione e lo spreco alimentare

 

Dei milioni di tonnellate di cibo che ogni anno finiscono nelle discariche, circa il 30% proviene dalla fase di produzione e trasformazione degli alimenti, con circa il 52% che si accumula nelle famiglie domestiche e il 18% a livello di vendita al dettaglio.


Nel progetto Resource-efficient Intelligent Foodchain ( REIF ), il Fraunhofer Institute for Casting, Composite and Processing Technology IGCV ha collaborato con 30 partner per cercare modi per ridurre lo spreco alimentare implementando l'IA nell'ecosistema di trasformazione alimentare.

L'intelligenza artificiale può essere una risorsa preziosa. Formaggio, pane, carne e altri prodotti alimentari possono essere prodotti in modo efficiente utilizzando algoritmi basati sui dati. I metodi di apprendimento automatico potrebbero essere utilizzati per ottimizzare le vendite e la pianificazione della produzione, nonché i sistemi di controllo dei processi e degli impianti.

Ridurre al minimo la sovrapproduzione ed evitare gli sprechi

Ci sono varie cause di spreco evitabile, che vanno dalla sovrapproduzione, alle fluttuazioni della qualità delle materie prime, al fatto che il cibo non soddisfi specifici requisiti estetici.

Il team REIF si è concentrato su prodotti lattiero-caseari, carne e prodotti da forno, con sprechi che si verificano principalmente su questi prodotti perché possono deteriorarsi rapidamente.

"Due aspetti sono fondamentali per ridurre in modo significativo le perdite di cibo in questi settori: ridurre al minimo la sovrapproduzione ed evitare gli sprechi", ha affermato Patrick Zimmerman, scienziato del Fraunhofer IGCV e membro del consorzio.

Zimmerman, il collega ricercatore Philipp Theumer e altri cinque colleghi hanno iniziato ad analizzare come è possibile ottimizzare i potenziali interni di un'azienda, come impianti e macchinari o pianificazione e controllo della produzione, per ridurre gli sprechi utilizzando metodi di intelligenza artificiale.

“Applichiamo l'IA all'intera catena del valore, in particolare negli impianti di produzione. Per farlo, adattiamo e selezioniamo gli algoritmi adatti alla rispettiva applicazione ", ha affermato Zimmerman.

"Guardiamo alla prevedibilità e controllabilità in tutte le aree - dalla produzione in fattoria alla vendita al supermercato - per ottimizzarne il potenziale".

"La sovrapproduzione e lo spreco possono essere evitati facendo previsioni mirate sul fabbisogno alimentare, migliorando la prevedibilità e la controllabilità dei processi di creazione di valore e riducendo la perdita di cibo legata alla qualità", ha aggiunto Theumer.

Benefici pratici

I potenziali per l'implementazione dell'IA sono molto diversi. Zimmermann spiega come esempio l'utilizzo di un mixer per carne.

“La temperatura e la durata del processo di miscelazione influenzano la data di scadenza dei prodotti a base di carne. Se utilizziamo algoritmi di intelligenza artificiale per ridurre al minimo la quantità di energia ammessa al processo di miscelazione, possiamo estendere la data di scadenza, che a sua volta ottimizza i tempi di vendita al supermercato e riduce le perdite di cibo ".

A livello di sistema, la maggior quantità di rifiuti alimentari si verifica all'accensione. Questo perché i parametri ottimali devono essere prima identificati e quindi nel frattempo si producono rifiuti.

"Ad esempio, stiamo applicando sensori intelligenti e algoritmi di intelligenza artificiale ad autoapprendimento per perfezionare il processo di schiumatura durante la produzione di basi per torta al primo tentativo", ha detto Zimmermann.

Informazioni collegate per tutte le fasi della catena alimentare

A lungo termine, i partner del progetto REIF stanno cercando di stabilire un ecosistema IT e creare un mercato virtuale.

In futuro, i ricercatori prevedono che le aziende forniranno gli algoritmi AI che hanno implementato a tutti i partecipanti su questa piattaforma. Un altro obiettivo è mettere in rete i dati di tutte le aziende coinvolte nel progetto per aumentare il valore aggiunto all'interno della complessa rete di valori dell'industria alimentare.

“L'esperienza di un'azienda può essere trasferita a un'altra organizzazione. Più dati vengono resi disponibili, migliore sarà il training del modello AI ”, ha affermato Zimmermann.

Il mercato online è il luogo in cui i partner del progetto possono scambiare i propri dati. In definitiva, le società di produzione possono controllare meglio i loro processi di produzione beneficiando delle previsioni di vendita dei dati di vendita. I dati raccolti dai supermercati saranno inclusi nelle previsioni.

Zimmermann ha affermato che se i ricercatori riuniscono una serie di fattori come il comportamento dei clienti, i livelli di inventario e le date di scadenza, potrebbero effettuare aggiustamenti dinamici dei prezzi su prodotti specifici nei supermercati.

“Il continuo aggiustamento giornaliero dei prezzi eviterà la drastica riduzione dei prezzi che siamo abituati a vedere poco prima della data di scadenza e prolungherà il tempo di vendita. Di conseguenza, è più probabile che un prodotto venga acquistato prima di passare per lo smaltimento e anche il profitto complessivo aumenta ", ha affermato Zimmermann, spiegando il principio dell'adeguamento dinamico dei prezzi.

Ciò garantisce il massimo profitto per il rivenditore riducendo gli sprechi e la sovrapproduzione. L'intera catena di distribuzione trae vantaggio dall'idea di condividere le informazioni, che includono anche dati esterni.

“Se le previsioni del tempo sono buone, i supermercati vendono molta carne alla griglia. I produttori di carne possono regolare di conseguenza il loro volume di macellazione e, viceversa, ridurre la produzione in caso di maltempo ", ha affermato Zimmermann, spiegando il concetto di ecosistema IT. E anche il cliente finale ne trarrebbe vantaggio: in caso di maltempo, il prezzo della carne alla griglia potrebbe essere ridotto in un momento precedente, risparmiandogli di stare sullo scaffale. Sistemi di previsione come questi potrebbero essere offerti anche sulla piattaforma online.

I partner del progetto sono attualmente nella fase di ideazione, con i primi test pratici che inizieranno presto nel 2021.

fonte: www.foodprocessing.com


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Biogas da rifiuti agroalimentari, norma UNI in consultazione















La futura norma è indirizzata ai gestori di impianti di biogas e biometano, con lo scopo di elaborare un documento di riferimento per prodotti ottenuti dal trattamento di rifiuti agricoli e alimentari destinati agli impianti a biodigestione anaerobica.

Il Progetto UNI1608494, dal titolo "Classificazione e specifiche dei prodotti organici ottenuti dal trattamento e recupero di rifiuti agricoli, alimentari e agro-alimentari destinati agli impianti di biodigestione anaerobica", è in consultazione pubblica preliminare a partire dall'11 settembre 2020.

La futura norma nasce dall'esigenza di elaborare un documento di riferimento a livello nazionale per prodotti organici ottenuti dal trattamento e recupero di rifiuti agricoli, alimentari e agro-alimentari (individuati da specifici codici EER) destinati, a seguito di una loro miscelazione per l’'ottenimento di un prodotto con caratteristiche costanti ed omogenee, all'utilizzo in impianti a digestione anaerobica per la produzione di biogas.

Il suo obiettivo è quello di fornire dei principi univoci e chiari per classificare i prodotti e per definirne le caratteristiche per il loro impiego come biomasse per gli impianti a biogas. La norma si rivolge a una molteplicità di realtà industriali che nel complesso gestiscono a livello nazionale un flusso di rifiuti agro-alimentari pari circa a 6 milioni di tonnellate/anno.

Inoltre, si vuole favorire l'’uso di matrici nobili al posto di colture agricole dedicate (come ad esempio mais, triticale, ecc.) e il recupero e la valorizzazione a fini energetici di rifiuti alimentari, per lo più confezionati, derivanti dalle aziende che ad oggi non trovano una facile collocazione.

La consultazione si chiude il 29 settembre 2020. I soggetti interessati possono inviare i propri commenti nella sezione "Inchieste pubbliche preliminari" del sito UNI.
Riferimenti

Banca dati UNI - Inchiesta preliminare

Gli incentivi e le agevolazioni per il biometano introdotti dal Dm 2 marzo 2018
in Nextville (Incentivi e bandi)



fonte: www.nextville.it


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La buccia della frutta aiuta a riciclare i metalli preziosi delle batterie

Un team di scienziati della NTU Singapore è riuscito a sfruttare i rifiuti alimentari per creare un innovativo sistema di riciclo delle vecchie batterie al litio



Anche esauste, le vecchie batterie al litio hanno molto da offrire. Al loro interno, infatti, si nasconde una piccola miniera di metalli preziosi da recuperare e riutilizzare. Ma la domanda è: come fare per estrarli?

Attualmente uno dei processi più comuni di riciclo prevede l’uso di alte temperature (oltre 500 ° C) per fondere i metalli. La tecnica, tuttavia, oltre ad essere particolarmente energivora, produce gas tossici. Un approccio alternativo consiste nell’affidarsi all’idrometallurgia: dopo aver triturato il rifiuto, si sfruttano soluzioni acide forti o deboli con l’aggiunta perossido di idrogeno per estrarre i metalli; anche in questo caso, però, si ottengono inquinanti secondari pericolosi per la salute e l’ambiente.

Una terza via potrebbe essere quella realizzata dalla Nanyang Technological University, Singapore (NTU Singapore). Qui un gruppo di scienziati ha sviluppato un processo che impiega la buccia della frutta per estrarre e riutilizzare i metalli preziosi. Il professor Madhavi Srinivasan, co-direttore del laboratorio NTU Scarce dell’ateneo, ha dichiarato: “Gli attuali processi di riciclaggio industriale dei rifiuti elettronici sono ad alta intensità energetica ed emettono inquinanti nocivi e rifiuti liquidi. C’è un urgente bisogno di metodi eco-compatibili per rispondere alla crescita di questi rifiuti. Il nostro team ha dimostrato che è possibile farlo con sostanze biodegradabili”.

Il team della NTU ha scoperto che la combinazione di scorza d’arancia essiccata al forno e quindi macinata, assieme all’acido citrico, può raggiungere lo stesso obiettivo dell’idrometallurgia classica.

I test hanno dimostrato che, grazie all’utilizzo della buccia della frutta, il nuovo approccio estrae con successo circa il 90% del cobalto, litio, nichel e manganese presente nelle batterie agli ioni di litio esaurite; un’efficacia paragonabile all’approccio basato sul perossido di idrogeno.

“Il segreto sta nella cellulosa che si trova nella scorza, che viene convertita in zuccheri durante il processo di estrazione”, spiegano gli scienziati. “Questi zuccheri migliorano il recupero dei metalli dai rifiuti. Gli antiossidanti naturali presenti nella buccia d’arancia, come i flavonoidi e acidi fenolici, potrebbero aver contribuito a questo miglioramento”.

L’elemento più interessante? I residui solidi generati da questo processo non sono tossici. Dai materiali recuperati, hanno quindi assemblato nuove batterie agli ioni di litio con una capacità di carica simile a quelle commerciali. Attualmente gli scienziati stanno lavorando per ottimizzare le prestazioni del ciclo di carica-scarica dei nuovi dispositivi. La ricerca è stata pubblicata su Environmental Science & Technology (testo in inglese).

fonte: www.rinnovabili.it


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Ridurre i rifiuti alimentari entro il 2030

Lo spreco alimentare è una questione etica, sociale, economica ed ambientale che si inserisce nei grandi temi della sostenibilità e della circolarità delle risorse




La consapevolezza circa l’importanza di ridurre la quantità di rifiuti alimentari sta crescendo tanto che, nel nostro Paese, per la prima volta nel 2020, le giornate dedicate alla sensibilizzazione dei cittadini al tema sono due: la prima è stata il 5 febbraio e la seconda sarà il 29 settembre. Quest’ultima data è stata voluta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha istituito la Giornata internazionale della Consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari, International Day of Awareness for Food losses and waste.



Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market / Swg, per la prima volta in dieci anni, lo spreco alimentare nelle case degli italiani fa registrare un calo di circa il 25%. Lo spreco settimanale in media costa 4,9 euro a nucleo familiare, per un totale di circa 6,5 miliardi euro e un costo complessivo di circa 10 miliardi euro.

In Europa, i costi dello spreco alimentare sono stati quantificati, nel loro complesso, intorno ai 143 bilioni di euro di cui 98 attribuibili a quello domestico, che rappresenta la parte più consistente dell’intera filiera alimentare, mentre le stime fatte sulla perdita economica del cibo gettato via si aggirano tra i 3,2 e i 6,1 euro per kg di cibo sprecato a settimana per nucleo famigliare.

Quest’anno, nel nostro Paese, il tema della riduzione dei rifiuti alimentari si sviluppa sull’asse cibo – salute, quindi sulla prevenzione dello spreco come un presidio concreto per la salute dell’ambiente e della persona, una consapevolezza, questa, che cresce, sembra, infatti, che il 66% degli italiani ritenga che vi sia una connessione precisa fra spreco alimentare, salute dell’ambiente e dell’uomo.

Il lavoro di sensibilizzazione e promozione di buone pratiche sta producendo effetti positivi fra i cittadini, dobbiamo però rimanere consapevoli che c’è ancora da fare, soprattutto nella direzione di un profondo cambiamento culturale fra i consumatori finali ed in particolare modo tra i più giovani, insegnando loro sin dai primi anni di scuola a ridare valore al cibo e sensibilizzandoli sul problema dello spreco alimentare e sulla necessità di prevenirlo e ridurlo.

Per raggiungere gli obiettivi 2030 dettati all’Agenda ONU, in particolare quelli legati al cibo, alla prevenzione dello spreco e alla lotta ai cambiamenti climatici, dobbiamo puntare al coinvolgimento di tutta la collettività, dagli enti pubblici alle imprese, alle scuole, con la definizione di obiettivi mirati e misurabili in termini di riduzione delle emissioni e diminuzione degli impatti ambientali.

L’UE ha stimato che in Europa, ogni anno, vengono gettati via 88 milioni di tonnellate di cibo, circa il 20% di tutto il cibo prodotto. Al tempo stesso, la FAO nel rapporto "The State of Food and Agriculture 2019. Moving forward on food loss and waste " stima che, lungo la catena di produzione degli alimenti, dal raccolto sino alla vendita, venga perso il 14% del cibo prodotto. Per lo spreco alimentare, particolarmente critiche appaiono le fasi della vendita e del consumo.



Considerando che sul pianeta ci sono 820 milioni di persone che non hanno cibo, gettare alimenti risulta immorale, senza considerare l’impatto ambientale di questo spreco: emissioni in atmosfera, perdita di suolo e consumo di acqua.

Le Nazioni Unite (NU) hanno inserito questo tema nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030, l’obiettivo 12.3 propone di dimezzare, entro il 2030, il quantitativo di rifiuti alimentari prodotti sia nella fase di produzione che di vendita e consumo. Lo stesso hanno deciso di fare i paesi membri dell'UE in accordo con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle NU.

Ormai è noto come lo spreco alimentare incida sul cambiamento climatico, producendo circa 186 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, a questo devono aggiungersi gli impatti legati all’acidificazione ed eutrofizzazione, che rappresentano il 15%-16% degli impatti prodotti dalla catena di produzione alimentare.



Non tutti i rifiuti alimentari producono gli stessi impatti sull’ambiente, per esempio, la carne incide molto, gli avanzi di carne costituiscono una quota che va dal 5% al 12%, ma si stima che questi contribuiscano notevolmente all’impatto sul clima, dal 25% al 55%. Il pane e gli amidi, invece, impattano meno del 10% sull'ambiente.

Vi sono alimenti che incidono ambientalmente di più anche in fase di produzione, la carne favorisce il cambiamento climatico mentre altri, come il caffè, il cacao e certi tipi di frutta hanno un impatto sulla biodiversità.

Sempre nel rapporto della FAO possiamo leggere che gli studi fatti nei diversi paesi, relativamente alla possibilità di ridurre le emissioni in atmosfera attraverso la diminuzione dei rifiuti alimentari, mostrano che si può raggiungere un range di diminuizione delle stesse che va dall’-0,8% al -4,5% di CO 2 per kg di cibo non gettato.

I dati da prendere in considerazione per valutare la produzione di rifiuti alimentari sono svariati e devono essere selezionati con molta attenzione per evitare conteggi doppi e sovrastime. Purtroppo al momento risulta ancora difficile comparare i dati relativi alla produzione di scarti alimentari nei diversi paesi anche appartenenti alla stessa UE perché vengono usate differenti metodologie di calcolo oltre che diverse definizioni tra paese a paese.

Ad oggi quindi non c’è una modalità comune in grado di monitorare i rifiuti alimentari prodotti ma in Europa vi è l’obbligo di raccogliere questi dati e pianificare la loro riduzione, introducendo nei sistemi legislativi programmi che tengano conto di tutti gli elementi correlati allo spreco alimentare, come l’incomprensibilità delle etichette, gli imballaggi inutili, le strategie di vendita che si basano sulle multi-offerte o simili opzioni.



Le politiche di prevenzione nella produzione di rifiuti anche quelli alimentari sono quindi una priorità per tutti i paesi membri dell’UE, che li contemplano nei loro programmi nazionali o regionali incentrandosi, puntando, per lo più, sulla necessità di aumentare la consapevolezza nei consumatori.

Vi sono poi una serie di manuali e linee guida sia per le amministrazioni pubbliche che per le imprese dove si danno indicazioni su come prevenire questa tipologia di rifiuti, anche gli accordi volontari che vengono firmati tra imprese e amministrazioni o associazioni non governative sono tra le misure previste in molti programmi di prevenzione dei rifiuti.

Purtroppo molti di questi programmi sono stati redatti intorno al 2013, come il piano nazionale italiano contro lo spreco alimentare, che è del 2014, e dovrebbero essere aggiornati, visto che questo tema è al centro sia delle agende locali che internazionali di sviluppo sostenibile; è anche vero che alcuni paesi hanno già introdotto nuove misure di prevenzione anche senza aggiornare i programmi nazionali, tanto che in fase di monitoraggio sono state contate ben 91 nuove misure, tra le più ricorrenti quella relativa alla costruzione di piattaforme per la distribuzione del cibo avanzato o in scadenza.

Tutti concordano sul fatto che la prevenzione è l'unico modo per ridurre gli scarti alimentari, ma questo ha un costo, rappresentato, ad esempio,
dalla necessità di avere un numero maggiore di addetti
da spese legate agli investimenti per migliorare lo stoccaggio.

Tutto questo, almeno in una prima fase, potrebbe comportare un aumento dei costi anche dei prodotti alimentari e questo potrebbe costituire un disincentivo, infatti, se un attore privato, sia un consumatore o un produttore, percepisce che il costo da sostenere è superiore al beneficio, l'incentivo a investire nella riduzione della perdita e degli sprechi alimentari potrebbe risultare più debole.

Non bisogna dimenticare nell'operazione di sensibilizzazione a questo tema che la riduzione degli scarti alimentari apporta benefici alla società nel suo insieme, in grado di giustificare anche un investimento di risorse pubbliche. Per questo è importante il ruolo che giocheranno gli interventi pubblici nell'attivare e migliorare gli incentivi privati in questo ambito.

Le strategie pubbliche per ridurre la perdita e lo spreco alimentare devono quindi essere progettate attentamente, al fine di fornire efficaci benefici pubblici, come il miglioramento
della sicurezza alimentare
della sostenibilità ambientale.

Nel mondo i Paesi avranno priorità diverse che guideranno le loro scelte e l’uso delle risorse finanziarie per implementare la riduzione dei rifiuti alimentari.


Nei paesi a basso reddito, le strategie andranno probabilmente a concentrarsi sul miglioramento della sicurezza alimentare, della nutrizione e sulla riduzione delle pressioni ambientali sulle risorse idriche e sul suolo. Questo richiede di ridurre la perdita di cibo e gli sprechi nelle prime fasi della catena di approvvigionamento alimentare, che significa anche migliorare le infrastrutture, come le strade, che possono aiutare i piccoli agricoltori ad accedere con facilità e velocità al mercato e ridurre le perdite nelle aziende agricole.

I paesi a reddito più elevato, invece, si impegneranno a rispettare gli impegni presi con l'accordo di Parigi, concentrandosi sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

L'attuazione di questa strategia richiede anche una riduzione dei rifiuti a livello di vendita al dettaglio e nel momento del consumo. In questo caso, le campagne di informazione sulla prevenzione degli sprechi alimentari e la promozione della ridistribuzione degli alimenti possono svolgere un ruolo significativo.


Avere chiaro l’obiettivo è essenziale per identificare le politiche e le azioni più appropriate per ridurre la perdita e lo spreco di cibo. Saranno imprescindibili gli investimenti pubblici in formazione, tecnologia e innovazione, si potranno poi anche prevedere incentivi per i singoli fornitori e consumatori tesi a ridurre la perdita e lo spreco di cibo a cui affiancare politiche che incidono sui prezzi dei prodotti alimentari o sui costi di gestione dei rifiuti.

Interventi efficaci richiedono informazioni migliori di quelle attualmente disponibili sia sul quanto che sul dove il cibo viene perso o sprecato, colmare questa lacuna di informazioni è quindi una priorità. Lo sviluppo delle capacità di adozione di metodi di calcolo comuni, l'elaborazione di linee guida da parte dei singoli Paesi, i partenariati tra le parti interessate sia private che pubbliche, sia nazionale che internazionale, aiuteranno a generare dati migliori e facilitare interventi strategici mirati per i singoli Paesi.

Approfondisci: Rapporto FAO - The State of Food and Agriculture 2019. Moving forward on food loss and waste reduction


fonte: http://www.arpat.toscana.it/


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Come produrre idrogeno dai rifiuti alimentari in poche mosse

Il metodo, messo a punto dagli scienziati della Purdue University, prevede la macinazione degli scarti e l’utilizzo di un bioreattore con lieviti per creare idrogeno in circa 18-24 ore





Gli italiani buttano in media 800 grammi di cibo a testa ogni settimana, per un valore complessivo di quasi 12 miliardi di euro persi a livelli nazionale ogni anno. Ridurre questi scarti richiede a monte una attenta gestione delle risorse. Allo stesso tempo necessita, a valle, di strumenti che possano ridurne l’impatto ambientale, trasformando eventuali sprechi in nuove opportunità. Uno di questi è al centro delle attenzioni della Purdue University, nell’Indiana, Stati Uniti. Qui, infatti, un gruppo di scienziati ha migliorato in maniera sostanziale la produzione di idrogeno dai rifiuti alimentari.

Fino a ieri questa modalità di generazione del vettore energetico impiegava la degradazione batterica, un processo lento e legato a complesse pre-elaborazioni fisiche, chimiche o biologiche della biomassa.

Per semplificare i passaggi e accelerare la generazione di idrogeno dai rifiuti alimentari, gli scienziati dell’ateneo statunitense hanno sostituito i batteri con i lieviti. Una modifica apparentemente piccola che ha permesso però al team di ridurre al minimo le fasi di pre-elaborazione del materiale di scarto.

“Volevamo creare un processo semplice per trasformare tutti gli sprechi alimentari in una fonte di energia pulita”, ha spiegato Robert Kramer, professore di energia e ambiente della NiSource Charitable Foundation e professore di fisica alla Purdue University Northwest. “Il nostro sistema in pratica consente a un utente di prelevare i rifiuti alimentari, macinarli, posizionarli in un reattore e utilizzare il nostro processo per creare idrogeno in circa 18-24 ore. È molto più veloce degli altri metodi impiegati sino a oggi”.

Kramer, che è anche direttore del Purdue Northwest Energy Efficiency and Reliability Center, ha convalidato la tecnologia utilizzando una varietà di ceppi di lievito. I primi test permettono di stimare un miglioramento dell’efficienza produttiva processo nell’ordine del 20-25 per cento rispetto al metodo che sfrutta la fermentazione batterica.

Secondo i ricercatori il nuovo procedimento potrebbe essere facilmente integrato con la tecnologia solare termica per creare una fonte di energia autonoma. Kramer ha anche sottolineato come il metodo Purdue non comporti alcun rischio di esplosione per l’idrogeno prodotto.

fonte: www.rinnovabili.it

Bioplastica dai rifiuti della frutta, la ricetta svedese per la sostenibilità

Gli scarti di mele e arance si trasformano in bicchieri e posate che, dopo l’utilizzo, possono essere compostati o addirittura mangiati



















Anche gli articoli usa e getta possono essere ecocompatibili. A dimostrarlo è un nuovo studio dell’Università di Borås, in Svezia, dedicato alla produzione di bioplastica dai rifiuti di frutta. La ricerca s’inserisce sulla scia dei tanti progetti nati negli ultimi anni per trovare un sostituto ecologico e funzionale alla plastica tradizionale. Perché, malgrado in molti casi esistano già alternative convenzionali su cui fare affidamento, l’uso della plastica offre vantaggi innegabili a partire dalla leggerezza e dalla resistenza. Sostituire tutte le bottiglie in PET con contenitori in vetro ad esempio, significherebbe avere prodotti più costosi, pesanti e fragili, il cui trasporto inciderebbe in maniera più pesante sull’ambiente. 

Per trovare un giusto compromesso tra sostenibilità ed efficienza, il mondo del packaging sta esplorando materiali alternativi e a basso impatto ambientale. Per Veronika Bátori, ricercatrice presso l’ateneo svedese, questo a voluto dire indagare le potenzialità dei rifiuti alimentari. Nel dettaglio, Bátori ha utilizzato gli scarti di mele e arance“Entrambi contengono molta acqua e materia organica e, se buttati in discarica, rilasciano grandi quantità di metanoSono anche difficili da bruciare a causa della percentuale acquosa e non funzionano bene come alimenti animali a causa degli alti livelli di zucchero e del basso pH”, spiega la ricercatrice.

Il progetto e tesi di dottorato ha testato due differenti metodologie di produzione della bioplastica. La prima è chiamata colata da soluzione (solution casting): una soluzione di polimero, in idoneo solvente, viene letteralmente colata in uno strato sottile su un nastro che scorre in un forno. Il film risultante potrebbe essere utilizzato per confezionare gli alimenti o diventare un sacchetto per l’umido domestico.
Con il secondo metodo, Bátori ha creato bicchieri e posate dalla massa residua organica attraverso lo stampaggio a compressione: una volta utilizzate le stoviglie possono essere trasformate in compost o addirittura mangiate. Ovviamente ci sono ancora alcuni problemi da risolvere, a partire dalla alta solubilità in acqua, ma la ricercatrice è fiduciosa che la sua bioplastica possa essere commercialmente valida entro dieci anni.

fonte: www.rinnovabili.it

Milk Brick, dalla Sardegna i mattoni ecologici realizzati con latte scaduto















La questione del riutilizzo dei prodotti alimentari scaduti è molto sentita, nel nostro settore: sono migliaia, infatti, le tonnellate di alimenti che, ogni anno, diventano spazzatura. Per fortuna, start-up e aziende innovative stanno lavorando anche in Italia al riutilizzo di alimenti non più commestibili.
Una di queste è Milk Brick, azienda innovativa con sede in Sardegna che recupera gli scarti di latte dall’industria casearia e il latte scaduto dalla grande G.D.O per creare un bio-composito isolante termico brevettato. Tale bio-composto viene usato per la produzioneindustriale di mattoni prefabbricati per l’edilizia, prodotti che risolvono il problema della dispersione termica degli edifici.
Milk Brick è un’azienda figlia dell’economia circolare: i suoi prodotti, infatti, sono eco-bio compatibili e, a fine ciclo di vita, possono essere recuperati per ricreare sempre lo stesso prodotto, attuando così un ciclo di vita continuo dei mattoni.
Per conoscere meglio la storia di Milk Brick e del processo di lavorazione degli scarti di latte che diventano mattoni, abbiamo intervistato Giangavino Muresu, CEO di Milk Brick.
Buona lettura.
      

Ciao Giangavino, Raccontaci chi sei e di cosa ti occupi.

Sono nato nel 1986 a Sassari. Dopo gli studi presso il Liceo di Architettura di Sassari, ho lavorato da subito nell’azienda di famiglia, specializzata nella coibentazione degli edifici nel settore delle costruzioni.
Negli anni mi sono evoluto e specializzato nel settore delle ristrutturazioni architettoniche.
Sono un inventore industriale in diversi settori e oggi sono alla guida di Milk Brick. La mia visione prevede di racchiudere in un unico brand tutte le aziende che producono mattoni prefabbricati a livello internazionale.
Abbiamo concepito innovativi processi produttivi che non generano scarti di lavorazione basati sui criteri dell’economia circolare. Abbiamo sviluppato prodotti innovativi che rappresentano il valore di know-how con il quale l’azienda effettuerà il trasferimento tecnologico verso i nostri partners produttivi.
La mia giornata lavorativa è scaglionata in diverse attività da svolgere: in questo momento lavoro circa 16 ore al giorno.
Per sviluppare i mattoni fatti di latte ci sono voluti 5 anni di ricerca e sviluppo. Quando sviluppo nuovi prodotti o processi produttivi, mi concentro su quelle che sono le esigenze del settore e del cliente: esco fuori dagli schemi, cerco sempre di vedere le cose per quelle che in realtà non sono, mi piace snellire e semplificare tutto. Nel lavoro come nella vita non sopporto gli arroganti e i presuntuosi, quel genere di persone che ti dicono sempre ”Lascia perdere”.
Sono molto affezionato a una famosa citazione di Albert Einstein: Chi dice che è impossibile, non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo…”

Com’è nata l’idea di creare mattoni dalle fibre del latte?

Tutto è partito da una mia intuizione: dopo aver identificato il problema dovuto alla scarsa traspirazione del polistirolo (un materiale largamente utilizzato nel mercato dell’edilizia per isolare termicamente la muratura e i solai degli edifici), nel 2011 ho iniziato un lungo lavoro di ricerca e sviluppo, durato 5 anni, con l’intento di cercare un nuovo bio-composito isolante termico che potesse rappresentare un’alternativa biologica agli isolanti termici in polistirolo.

Perché proprio il latte? Qual è il valore aggiunto che questo prezioso alimento apporta al settore edile?
Ho pensato di utilizzare il latte di scarto perché è recuperabile ovunque nel mondo, sia dall’industria casearia che dalla G.D.O: in entrambi i settori, infatti, esso rappresenta un problema di smaltimento.
Il latte di scarto rappresenta un valore aggiunto nel settore dell’industria edilizia in quanto dal suo recupero e lavorazione siamo in grado di sviluppare prodotti eco-bio innovati che andranno a competere sul mercato direttamente con quei prodotti figli della chimica del petrolio, facenti parte della vecchia economia lineare.












Fibra di latte – Foto: Milk Brick

Ci spieghi, in linea di massima, il processo di lavorazione per ottenere il vostro prodotto?
Nei nostri processi produttivi il latte recuperato non viene utilizzato direttamente in mescola al bio-composito, bensì viene prima estratta la caseina e trasformata tramite processo di estrusione in fibra di latte, una componente importantissima del nostro bio-composito isolante termico.
Milk Brick utilizza il 100% del latte recuperato senza generare scarto di produzione. Non possiamo entrare nello specifico poiché tutti i processi produttivi fanno parte del nostro know-how aziendale.

Qual è il suo migliore utilizzo?

Il latte di scarto si utilizza per creare un isolante termico biologico dal quale sviluppiamo:
  • mattoni da muratura isolanti termici;
  • rivestimenti a cappotto isolanti termici;
  • blocchi per solaio isolanti termici
  • mattoni 100% in bio composito di fibra di latte per il mercato di nicchia della Bio edilizia.

A livello tecnico, qual è la differenza fra i classici mattoni e quelli realizzati da voi con le fibre del latte?

L’utilizzo dei mattoni classici richiede una posa a stratificazione che prevede 2 strati di muratura che vanno a creare una intercapedine dove viene inserito l’isolante termico in pannelli rigidi, a rotoli o per insufflaggio.
Con i prodotti Milk Brick è possibile isolare termicamente l’abitazione con una singola posa dei prodotti, quindi si velocizzano i tempi di realizzazione e si risparmia sulla posa in opera.
I prodotti Milk Brick vengono realizzati con isolante termico biologico.
I mattoni classici, invece, vengono realizzati con isolante termico in polistirolo, che presenta il problema di non essere traspirante creando i classici problemi di condensa, umidità, muffe e proliferazione batterica nella muratura.
I prodotti Milk Brick sono eco sostenibili e si possono riciclare a costo zero, mentre i mattoni classici rappresentano un costo di smaltimento e il più delle volte rappresentano un problema ambientale.

Quali sono le caratteristiche ottimali che deve possedere il latte per la buona riuscita del prodotto finale?

Il latte va bene tutto, purché sia di scarto dell’industria casearia o rifiuto alimentare della G.D.O.

Nel settore edile, i campi della costruzione e dei materiali sono sempre oggetto di ricerche e innovazioni tecniche: come risponde il mercato italiano al vostro prodotto?

Il lancio dei prodotti sul mercato è previsto entro il 2019. Nonostante non abbiamo ancora avviato la nostra campagna di marketing, riceviamo quotidianamente importanti richieste di prodotto sia dalle rivendite edilizie sia da costruttori, ingegneri, architetti e consumatori diretti.
I prodotti interessano specialmente gli industriali del settore dei mattoni prefabbricati, ai quali affidiamo le concessioni di licenza produttiva. Stiamo organizzando tutta la rete produttiva e distributiva in Italia.

I mattoni Milk Brick hanno conquistato anche i mercati esteri? Quali?

In questo momento c’è interesse a livello internazionale: Canada, Usa, Cina, Europa, Emirati
Arabi. Nel 2020 effettueremo i primi trasferimenti tecnologici fuori dai confini nazionali.

Quali sono i progetti futuri?
Nei prossimi 2 anni l’obiettivo è quello di trasformarci in gruppo industriale, di cui faranno parte tutte quelle aziende che producono mattoni prefabbricati, attive in tutto il mondo industrializzato.
Stiamo valutando importanti partnership con le industrie delle malte pre-miscelate, per portare sul mercato nuovi prodotti innovativi in fibra di latte, che avranno prestazioni altamente traspiranti con veloce assorbimento dell’umidità e l’immediato rilascio in termoregolazione per ottenere una finitura della muratura sempre asciutta.
Inoltre, vogliamo presentare una linea di nuovi prodotti innovativi in occasione dell’EXPO 2020 di Dubai.

Italian Food Experience è un canale dell’eccellenza food Made in Italy. Il latte, tra l’altro, è uno degli alimenti che meglio rappresenta tale caratteristica: come lo utilizzate al di fuori del vostro lavoro?

Il latte e i prodotti lattiero-caseari sono parte integrante della nostra alimentazione mediterranea.
Latte/Yogurt e cereali completano la colazione del mattino, i formaggi non mancano mai nello spuntino di mezza mattina, a pranzo, a merenda e a cena.
Il latte è un alimento importantissimo per tutto il pianeta; è frutto del duro lavoro dei pastori e degli allevatori che rappresentano il pilastro portante della nostra terra. Viviamo nel mondo del consumismo dove molte volte si dimentica di dare il giusto valore ai prodotti e a chi li produce.
fonte: https://www.italianfoodexperience.it/