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Sviluppo sostenibile, “Dall'idea all'impresa green”

Si è conclusa l'ultima edizione del contest “Dall'idea all'impresa green” promosso dall'incubatore d'imprese SeedUp. Premiata Krill Design, startup milanese che trasforma gli scarti organici in oggetti di ecodesign sostenibili al 100%













Ricicla.tv


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Le polveri di un impianto a biomassa nella campagna eugubina

È una triste storia quella di S.

Lei vive a Gubbio, in campagna e verrebbe da dire che è fortunata perché vive in un posto incantato.

Ma proprio come in un bosco incantato quello che si vede può non rappresentare la realtà.



Sarà che lei è cagionevole di salute, possiamo anche metterla così, ma in realtà la sua vita e quella dei suoi figli é diventata pressoché infernale.

Mi spiega che vicino alla sua abitazione da qualche anno, sette per la precisione, è attivo un impianto a biomasse.

La biomassa dovrebbe essere lo scarto delle lavorazioni agricole e dovrebbe essere trasformata in energia a supporto dell’impresa agricola che la produce, almeno inizialmente era così.

Ma la smania di produzione di energie alternative ed ecologiche, va oltre la produzione strettamente domestica e, in questo caso, può avere un rovescio della medaglia anche spiacevole.

Si possono verificare emissioni di odori e di polveri sottili invisibili e impalpabili che possono rendere poco sereno il vivere quotidiano e che possono anche amplificare o provocare patologie a partire da quelle dell’apparato respiratorio.




S. non sta bene e, stranamente, ogni volta che l’impianto viene acceso qualcuno finisce al Pronto Soccorso per attacchi di asma e difficoltà respiratorie.

E non è neppure facile vendere l’immobile e andarsene.

La questione non riguarda solo S., viene costituito un Comitato per dare voce alle persone che abitano nelle vicinanze, a tutela del territorio e della salute.

Inizia una vera e propria vicenda giudiziaria a seguito di un esposto del Comitato.

Si chiedono adeguamenti all’impianto, che nel frattempo rimane inattivo.

Ora si chiedono al Comitato, colpevole di aver sollevato un problema di salute pubblica e di principii precauzionali, ben 400.000,00 euro di risarcimento.

E se invece si potesse accertare che gran parte delle morti, delle malattie e della spesa sanitaria fosse riconducibile alle imprese e alle istituzioni, seppure nel rispetto di norme vigenti, quale risarcimento spetterebbe ai cittadini?

Naturalmente S. sarà sostenuta da Comitati e Associazioni Ambientalisti, perché la sua voce non venga sopraffatta.

Quando si parla di ambiente è difficile che gli animi siano tranquilli, dietro ci sono cli interessi economici, ci sono gli interessi politici... che pesano e molto!


fonte: edicolaweb.tv


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OneMore: tute da sci da scarti di mele e rifiuti oceanici

È l’abbigliamento ecologico del brand altoatesino OneMore, oggi in cerca di capitali su crowdfundme per continuare a crescere





Abbigliamento sportivo e da sci in similpelle ricavato dagli scarti industriali delle mele dell’Alto Adige e da un filo di nylon rigenerato, interamente realizzato con rifiuti oceanici e di discarica; capi con imbottiture create unicamente dal riciclo di bottiglie PET (polietilene tereftalato). Sono questi i cavalli di battaglia del brand altoatesino OneMore, protagonista di una campagna di equity crowdfunding su CrowdFundMe – unica piattaforma di Crowdinvesting (Equity Crowdfunding, Real Estate Crowdfunding e Corporate Debt) quotata a Piazza Affari.

OneMore è un marchio di skiwear ecosostenibile nato nel 2018 in provincia di Bolzano, nel cuore delle Dolomiti, per volontà di una squadra con oltre 20 anni di esperienza nel settore moda e con l’intento di rappresentare un esempio internazionale di design ultracontemporaneo, unito all’innovazione di prodotto, al rigore tecnico, alla perfetta vestibilità e soprattutto a una forte vocazione alla sostenibilità. Vocazione che si traduce nella rinuncia a pellicce e piume e nella ricerca di materiali riciclati o riciclabili, comeAppleSkin, similpelle prodotta dagli scarti industriali delle mele provenienti per la maggior parte dall’Alto Adige, ed ECONYL®, un filo di nylon rigenerato dai rifiuti. A oggi questi tessuti ecologici sono utilizzati per una parte della produzione, ma l’obiettivo è diventare 100% green nei prossimi anni.

La società, che ha realizzato un raddoppio dei ricavi dal primo al secondo anno di attività, passando da 300mila euro del 2018 a circa 600.000 del 2019, attende per il 2024 un fatturato quintuplicato rispetto al 2019, con un CAGR (tasso di crescita annuo composto) del 50% e conta su una forte espansione sul mercato mondiale entro i prossimi sette anni.

Dalla sua costituzione a oggi, OneMore, marchio registrato a livello internazionale, ha sviluppato una collezione completa uomo, donna e bambino (per gli sci-club), ha raggiunto una presenza nei negozi di tendenza delle più note località sciistiche (Courchevel, Meribel, Val d’Isere, Corvara in Badia, Ortisei, Livigno, Bormio, Schladming, Kitzbühel) e in quelle asiatiche di maggiore richiamo (Chongli – Cina, Tokyo – Giappone). Nel 2020 ha servito 27 punti vendita sportivi in 13 Paesi nel mondo, 9 scuole sci, 11 sci-club e un atleta di Coppa del Mondo. Anche se la pandemia ne ha rallentato l’avanzata, l’azienda è riuscita a confermare lo scorso anno un fatturato analogo a quello del 2019, con un incremento nel mese di dicembre, in virtù del potenziamento dell’e-commerce e dell’operatività online.




Forte di questi risultati e di una previsione di crescita globale annua dell’abbigliamento sportivo del 10%, nel periodo 2019-2025, secondo le stime di GrandViewReasearch, OneMore sta pianificando, sin da ora, tre potenziali scenari di Exit, da percorrere al termine dell’attuale piano di investimenti: cessione delle quote a un competitor di dimensione maggiore, a un fondo di Private Equity/Venture Capital (sul mercato sono presenti soggetti “aggregatori” di iniziative come quella di OneMore) e quotazione in Borsa.

I capitali raccolti su CrowdFundMe, con un obiettivo minimo di 350mila euro, saranno principalmente impiegati per la crescita digitale e il rafforzamento della conoscenza del marchio, anche tramite l’ampliamento della collezione che, senza rinnegare l’elemento tecnico, abbraccerà ambiti più ampi del tempo libero, fino a strizzare l’occhio allo street style.

fonte: www.rinnovabili.it


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Progetto AweS0Me, materiali per l’edilizia dai rifiuti agricoli

Il progetto “AweS0Me” finanziato dall’Unione Europea studia come trasformare i rifiuti agricoli in materiali da costruzione ad alte prestazioni. Tre i Paesi coinvolti: Italia, Albania e Montenegro



Da rifiuti a risorsa. “AweS0Me” – “Agricultural Waste as Sustainable 0 km building Material” (Scarti agricoli come materiali edili sostenibili a km 0) è un progetto per la trasformazione dei rifiuti agricoli in materiali da costruzione ad alte prestazioni. Il progetto mira a promuovere buone pratiche e lo studio di soluzioni ecocompatibili di economia circolare per il settore edilizio di qualità.

Il progetto “AweS0Me” è finanziato dall’Unione Europea con un budget totale di 706.936,09 euro. Rientra nell’ambito del secondo bando del Programma Interreg IPA CBC Italia-Albania-Montenegro 2014-2020 – Targeted Asse 3, “Protezione dell’ambiente, gestione dei rischi strategia a basse emissioni di carbonio”.

Tre i Paesi coinvolti in “AweS0Me”, Italia, Albania e Montenegro rappresentati da istituzioni diverse: CONFIMI, l’Associazione imprenditori italiani in Albania (capofila), il Politecnico di Bari, il Centro per l’innovazione e l’imprenditorialità “Tehnopolis” del Montenegro e il GAL Molise “Verso il 2000”.

Utilizzare i rifiuti agricoli (sia le potature che gli scarti di lavorazione) per realizzare materiali termoisolanti (come ad esempio i pannelli) da utilizzare per l’efficientamento energetico degli edifici è una realizzazione pratica di economia circolare. Ma soprattutto “AweS0Me” ha l’obiettivo di diffondere la conoscenza di nuove vie per l’edilizia sostenibile e incoraggiare lo sviluppo di nuovi materiali che garantiscano ottime prestazioni termoisolanti e nello stesso tempo abbiano un basso impatto ambientale.



Il progetto “AweS0Me” ha anche un altro aspetto interessante da un punto di vista ambientale. La disponibilità di scarti agricoli a km 0 potrebbe ridurre l’impatto ambientale del trasporto dei materiali e potrebbe abbattere i costi energetici di produzione. Solitamente la gran parte dei rifiuti agricoli vengono bruciati sul campo, con conseguenti emissioni di carbonio; un ulteriore vantaggio di “AweS0Me” deriva dal fatto che il riciclo degli scarti agricoli eliminerebbe le emissioni di carbonio. Il sistema proposto da “AweS0Me” avrebbe grandi capacità di sviluppo: per dare un’idea della quantità di scarti agricoli potenzialmente disponibili, il rapporto Ispra del 2019 riporta che la frazione verde della raccolta differenziata è di circa 10.775 tonnellate solo in Puglia.

L’obiettivo finale “AweS0Me” è costituire una rete di stakeholder pubblici e privati che condividano le linee guida del progetto: promuove la sostenibilità e l’impiego degli scarti agricoli in edilizia. A tal fine, sono previsti workshop aperti al pubblico per dimostrare come le prestazioni di questi materiali siano in linea con gli standard energetici nazionali e internazionali.

fonte: www.rinnovabili.it


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Biogas da rifiuti agroalimentari, norma UNI in consultazione















La futura norma è indirizzata ai gestori di impianti di biogas e biometano, con lo scopo di elaborare un documento di riferimento per prodotti ottenuti dal trattamento di rifiuti agricoli e alimentari destinati agli impianti a biodigestione anaerobica.

Il Progetto UNI1608494, dal titolo "Classificazione e specifiche dei prodotti organici ottenuti dal trattamento e recupero di rifiuti agricoli, alimentari e agro-alimentari destinati agli impianti di biodigestione anaerobica", è in consultazione pubblica preliminare a partire dall'11 settembre 2020.

La futura norma nasce dall'esigenza di elaborare un documento di riferimento a livello nazionale per prodotti organici ottenuti dal trattamento e recupero di rifiuti agricoli, alimentari e agro-alimentari (individuati da specifici codici EER) destinati, a seguito di una loro miscelazione per l’'ottenimento di un prodotto con caratteristiche costanti ed omogenee, all'utilizzo in impianti a digestione anaerobica per la produzione di biogas.

Il suo obiettivo è quello di fornire dei principi univoci e chiari per classificare i prodotti e per definirne le caratteristiche per il loro impiego come biomasse per gli impianti a biogas. La norma si rivolge a una molteplicità di realtà industriali che nel complesso gestiscono a livello nazionale un flusso di rifiuti agro-alimentari pari circa a 6 milioni di tonnellate/anno.

Inoltre, si vuole favorire l'’uso di matrici nobili al posto di colture agricole dedicate (come ad esempio mais, triticale, ecc.) e il recupero e la valorizzazione a fini energetici di rifiuti alimentari, per lo più confezionati, derivanti dalle aziende che ad oggi non trovano una facile collocazione.

La consultazione si chiude il 29 settembre 2020. I soggetti interessati possono inviare i propri commenti nella sezione "Inchieste pubbliche preliminari" del sito UNI.
Riferimenti

Banca dati UNI - Inchiesta preliminare

Gli incentivi e le agevolazioni per il biometano introdotti dal Dm 2 marzo 2018
in Nextville (Incentivi e bandi)



fonte: www.nextville.it


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Farmaci e fitofarmaci come risultato dell’economia circolare




Laboratorio di sostanze naturali del dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (Dafne) dell'Università degli Studi della Tuscia ha messo a punto nuovi modelli di economia circolare applicata agli scarti agricoli, per i settori farmaceutico e fitofarmaceutico.

Lo studio degli scarti del settore primario per il riutilizzo nelle più svariate applicazioni è da anni al centro del programma del Laboratorio di sostanze naturali del dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (Dafne) dell'Università degli Studi della Tuscia.

Fin dall’antichità, sostanze naturali di tutti i tipi sono state impiegate a scopi farmacologici e terapeutici e, sebbene sia riconosciuto il potere curativo di alcune piante medicinali, il lavoro del Laboratorio si fonda sul dato certo che le piante sono una fonte di composti e molecole bioattive utilizzabili a diversi scopi. Tra questi composti un ruolo di rilievo è giocato dai metaboliti secondari, di cui fanno parte sostanze fenoliche derivanti proprio dagli scarti di alcune produzioni agricole.

Un esempio arriva dagli studi effettuati sulla pianta Actinidia Deliciosa, ovvero la pianta del kiwi, dai quali è emerso che l’estratto della buccia del frutto stesso è ricco di fenoli dal forte potere antinfiammatorio per una particolare linea cellulare umana. Allo stesso modo, l’estratto della buccia della melagrana è utile per la riduzione dello stress infiammatorio.

Accanto a questi elementi che, come detto, hanno proprietà tali da renderli adatti all’impiego nel settore farmaceutico, ve ne sono altri che si prestano a essere applicati in campo fitofarmaceutico. È in questi casi che si concretizza il modello ideale di economia circolare, in cui lo scarto proveniente dall’agricoltura è riutilizzato, eliminando la produzione di rifiuti, per alimentare il settore stesso.

Un esempio arriva dal progetto di ricerca Violin (Valorization of italian olive products through innovative analytical tools), finanziato dalla Fondazione Cariplo, il quale ha preso in considerazione lo studio degli scarti del settore oleario. Dalle analisi è risultato che da alcuni elementi di scarto della catena della produzione dell’olio è possibile ricavare un composto fenolico con proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antimicrobiche utili per il trattamento di alcuni patogeni batterici che colpiscono l’olivo, causando perdite di rilievo nella produzione di olive.

fonte: https://www.nonsoloambiente.it

Arrivano le sneakers fatte con gli scarti di mela, la nuova linea Vegan di Womsh

Le bucce e i torsoli della mela, gli scarti della produzione industriale, vengono valorizzati per creare delle sneaker belle, pratiche e soprattutto sostenibili. La grande novità della linea Vegan di Womsh.













Le sneakers sono un accessorio immancabile per chiunque, ma non si sente spesso parlare di “sneakers vegan italiane”. Questo nuovo tipo di calzatura sta cambiando le regole dell’industria della moda, ancora troppo impattante sull’ambiente, dall’interno. Non sono semplici scarpe, ma il simbolo di un approccio sensibile e olistico ai temi del design e della produzione che guida l’azienda Womsh sin dalla sua nascita nel 2011. Le caratteristiche sostenibili delle sneakers made in Italy sono molte – le abbiamo raccontate anche in passato – e ora è arrivata la novità che ci aveva anticipato il fondatore Gianni Dalla Mora l’anno scorso: a partire dalla collezione primavera-estate 2019, sei modelli della linea Vegan di Womsh sono realizzati con Appleskin, una similpelle vegetale, quindi cruelty-free, fatta per metà con gli scarti della lavorazione industriale delle mele, in un’ottica di economia circolare.

La linea Vegan di Womsh realizzata con gli scarti di mela

In questo modo, nello scegliere una scarpa non si è costretti a rinunciare all’eleganza e alla praticità di un materiale di alta qualità e nemmeno a un design originale e moderno se si vuole fare un acquisto consapevole, cioè secondo criteri di responsabilità sociale e ambientale. A partire dal fatto che per ridurre notevolmente l’impatto delle sue materie prime, Womsh ha scelto di appoggiarsi a Frumat leather, azienda di Bolzano che produce materiali fatti con scarti industriali biologici, come la buccia e il torsolo della mela usati per creare Appleskin. Un’innovazione così efficace da essere scelta come vincitrice del premio dedicato alla tecnologia e all’innovazione dei Green carpet awards 2018, prestigioso riconoscimento nell’ambito della moda sostenibile ideato da Eco-Age di Livia Firth in collaborazione con la Camera nazionale della moda italiana (Cnmi).
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La nuova collezione della linea Vegan di Womsh per la primavera-estate 2019. Sei modelli sono realizzati con similpelle fatta per metà dagli scarti della produzione industriale della mela © Womsh

L’impegno a favore delle foreste

Per la vendita di ogni paio di sneakers della linea Vegan, Womsh regala un albero di cacao per ogni acquisto effettuato online. Una scelta che rappresenta la continuazione naturale di un percorso già intrapreso insieme a LifeGate, attraverso il quale dal 2014 a oggi sono state compensate quasi 94 tonnellate di CO2 equivalenti prodotte dalla fabbricazione, dalla spedizione e dallo smaltimento di circa 15mila paia di scarpe, grazie all’adesione di Womsh al progetto Impatto Zero®. Questo traguardo è stato raggiunto attraverso la tutela di circa 18mila metri quadrati di foresta in Madagascar e in Italia, in media, ogni anno.
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La similpelle vegetale usata per la nuova linea Vegan di Womsh si chiama Appleskin, prodotta dall’azienda Frumat leather, ed è fatta per metà dagli scarti della produzione industriale delle mele © Womsh

Ma non solo. A partire dal 21 marzo 2018, in occasione della Giornata internazionale delle foreste, è stata lanciata l’iniziativa One Womsh, One forest: per ogni paio di sneakers vendute vengono tutelati 10 metri quadri di Amazzonia brasiliana attraverso il progetto Foreste in piedi di LifeGate. L’acquisto di un semplice paio di scarpe diventa dunque una piccola ma significativa azione a favore della salvaguardia dei polmoni verdi del Pianeta e quindi della lotta ai cambiamenti climatici. Non a caso, l’azienda ha deciso di adottare fonti di energia rinnovabile per il 90 per cento delle sue operazioni.

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Womsh ha reso a Impatto Zero circa 15mila paia di scarpe, tutelando quasi 18mila metri quadri di foresta all’anno, un’estensione pari a 69 campi da tennis © Womsh

Sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale

L’etica di Womsh non è solo radicata nel rispetto per l’ambiente, è forte anche per le sue caratteristiche sociali. Il fatto che le scarpe vengono prodotte interamente in Italia non è dovuto solo alla qualità dei materiali e della manifattura nostrana, ma al desiderio di monitorare da vicino le condizioni di lavoro – un fatto molto rilevante perché l’esportazione della manifattura può limitare il controllo che i marchi esercitano nel garantire che i diritti dei lavoratori vengano rispettati.
Inoltre, le scarpe Womsh non sono solo create in maniera responsabile, sono anche smaltite in modo socialmente utile perché la loro gomma viene riutilizzata per realizzare i pavimenti anticaduta dei parchi giochi per bambini grazie al progetto Il giardino di Betty, sostenuto da Esosport. Solo nel 2018, sono state riciclate 1.500 paia di sneakers.

Womsh sostiene la Design Week raccontata da LifeGate

A conferma dell’attenzione di Womsh ai temi della sostenibilità, l’azienda ha deciso di sostenere LifeGate nella realizzazione dei contenuti editoriali per raccontare la Design Week 2019 di Milano dal punto di vista della responsabilità ambientale e sociale. Ovvero i progetti e le proposte che si pongono di far fronte alle grandi sfide internazionali, come la lotta al riscaldamento globale, l’adozione di un modello di economica circolare e la progettazione di smart city in tutto il mondo, per influire sul design del futuro, perché diventi sempre più sostenibile e resiliente. E proprio Womsh, una scarpa pensata in modo intelligente e consapevole, dimostra che questo futuro è già alle porte – anzi, ai piedi.
fonte: www.lifegate.it

Bioplastiche: cosa sono e come si producono

Le bioplastiche sono le soluzioni all’utilizzo di plastiche monouso.


Polimeri di plastica










Le bioplastiche possono sostituire la plastica monouso che prolifera ed inquina i mari. Prima d’iniziare questa breve rassegna Ambient&Ambienti ha interpellato Carlo Santulli, scienziato, esperto in materiali sostenibili, biomimetica e controlli non distruttivi alla Scuola di Architettura e Design dell’Università di Camerino. Santulli, laureato in ingegneria chimica, in lettere e PhD in materials science and engineering, si definisce “cervello di rientro” dal Regno Unito nel 2006. Lo studioso, impegnato da tempo nello studio dei materiali, ha curato diversi lavori di ricerca, fra cui “Utilizzo di scarti agricoli per la produzione di bioplastiche e biocompositi” e “Materiali ecosostenibili, innovativi e bioispirati”.

Il Prof. Santulli spiega cosa sono le bioplastiche


Il Prof. Carlo Santulli spiega la possibilità di produrre bioplastiche da scarti vegetali ed animali.













“Le bioplastiche sono normalmente formati da derivati degli zuccheri, cioè polisaccaridi, di origine vegetale, come amido o cellulosa, oppure animale, come la chitina. I polisaccaridi di origine vegetale si riducono chimicamente fino ad ottenere la molecola del glucosio, da cui si parte da cui poi si parte con una nuova polimerizzazione per ottenere molecole, come l’acido lattico. I polisaccaridi, come l’amido, si possono anche plasticizzare con sostanze adatte, come il il glicerolo. Se si considera questo secondo percorso, è possibile lo sfruttamento di scarti vegetali ed animali per la produzione delle bioplastiche con una maggiore sostenibilità. Le bioplastiche sono biodegradabili e possono essere anche compostabili ed entrare nel concime contribuendo al processo di crescita delle specie vegetali. Aumenta, quindi, il numero degli scarti vegetali ed in qualche caso anche animali, i cui rifiuti a base di polisaccaridi sono estratti per la produzione delle bioplastiche” ha spiegato Carlo Santulli, che ha aggiunto “devo notare anche che il termine bioplastiche è spesso esteso in modo improprio ad altri materiali bio, come quelli estratti dalle proteine animali, per esempio del latte, che formano materiali promettenti ma non presentano normalmente caratteristiche di plasticità e termoplasticità. Invece, questi materiali, come il legno, tendono a carbonizzarsi oltre una certa temperatura. Ciò non toglie che anche questi materiali, basati su proteine o su altri polisaccaridi più resistenti all’acqua, come la lignina nel caso del legno, hanno un loro interesse nel liberarci dalla schiavitù del petrolio e consentono di riutilizzare gli scarti che produciamo in quantità eccessive”.

Bioplastiche, l’agricoltura è ottimo “alleato”

L’itinerario, quindi, non può che iniziare dall’agricoltura, un ottimo “alleato” nella produzione delle bioplastiche. La crusca, residuo della molitura del grano, si presta alla produzione di stoviglie monouso. Il loro inventore, Jerzy Wysocki, è nato da una famiglia di mugnai nei primi decenni del XX secolo. L’invenzione ha permesso la produzione di una gamma completa di piatti completamente biodegradabili e posate a base di crusca di frumento e plastica di origine vegetale. “La maggior parte delle fibre vegetali, se sottoposta a processi industriali, può trasformarsi in bioplastiche. Gli scarti delle produzioni agricole sono una grande ricchezza per la produzione di biolplastiche. Sono necessarie le tecnologie, come per esempio le stampanti 3D, e devono cambiare i modelli di produzione e consumo, così come stabilito dall’obiettivo 12 dell’Agenda dell’Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile. Il processo produttivo di biolpastiche s’inserisce anche nell’economia circolare” ha detto Elvira Tarsitano, presidente dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi (ABAP). Un momento di riflessione sull’importanza dell’agricoltura, in tal senso, è il convegno “Agricoltura + bioedilizia” che si terrà il 27 aprile nell’ambito della Fiera di San Giorgio a Gravina in Puglia.

Bioplastiche, la polpa di cellulosa è completamente naturale e compostabile

La rassegna sui materiali di produzione di biolpastiche continua con la polpa di cellulosa che si ricava dalle fibre residue della lavorazione di alcune piante, in particolare bambù e canna da zucchero. La cellulosa è uno dei più importanti polisaccaridi. La polpa di cellulosa è un materiale completamente naturale e compostabile secondo le normative europee e possiede innumerevoli pregi, tra cui la resistenza ad alte temperature. Si presta, quindi, ad essere utilizzata per bevande o piatti caldi. E’ particolarmente indicata per l’inserimento nel forno a microonde.

Dalla bioplastica può nascere il bio packaging

Un’altra possibilità è l’accoppiamento di carta con bioplastica. Si ottiene così un foglio con proprietà anti unto, idoneo al contatto alimentare. Nato per la vendita del formaggio in pozioni, si presta alla produzione di bio packaging attraverso lavorazioni di termosaldatura. La soluzione è circolare: carta, bioplastica e residui organici sono tutti conferibili nell’umido e produrranno energia e compost. Gli agricoltori, quindi, completeranno il ciclo, da cui era iniziata la produzione senza inquinare o consumare territorio con nuove discariche.

Bioplastiche, è necessario “rimodulare” il ciclo produttivo

La rassegna giunge al termine. A questo punto sarebbe il caso di riflettere sull’importanza delle bioplastiche che consentono di ottimizzare la raccolta e gestione dei rifiuti e ridurre l’impatto ambientale. In questo modo si apportano vantaggi al ciclo produzione-consumo-smaltimento dei rifiuti. Sarà necessario, quindi, “rimodulare” l’intero ciclo produttivo per ridurre l’utilizzo di plastica monouso che dovrà essere sostituita da contenitori e attrezzi in cellulosa biodegradabile.
fonte: https://www.ambienteambienti.com

Dai piatti nascono fiori. Vassoi e posate dagli scarti dell'ananas da piantare invece di buttare

Piatti che una volta usati invece di essere gettati via possono essere piantati come i semi tradizionali. E’ l’idea di Life Pack, la società colombiana che ha creato Papelyco, un piatto 100% biodegradabile e compostabile.




















La guerra alla plastica è iniziata da un pezzo perché sappiamo che il futuro del nostro Pianeta dipende anche dalle scelte che facciamo ogni giorno. I piatti usa e getta, anche se differenziabili, rappresentano un enorme spreco, basti pensare quanto poco li utilizziamo prima che diventino rifiuti. E quante volte vengono abbandonati per strada?
Una bella idea salva ambiente viene da questa azienda colombiana che usa lo slogan:Trasforma il tuo piatto in una bella pianta. Papelyco offre appunto una soluzione alternativa e sostenibile ai piatti monouso che spesso finiscono nei nostri mari uccidendo gli animali marini.
Questi piatti, ma anche vassoi e posate sono realizzati con semi di mais e bucce di ananas,sottoprodotti di rifiuti agricoli. Il risultato è un prodotto che riduce l’inquinamento e le emissioni di gas serra. Gli ideatori sono Claudia Isabel Barona e Andres Benavides, le loro stoviglie sono riciclabili perché al loro interno sono inseriti anche dei semi che permettono di piantarli dopo l’uso.









Esistono già in commercio tantissimi oggetti che si possono piantare quando non ci servono più, ad esempio troviamo matite, tazze, biglietti di auguri, partecipazioni, cartoline e addirittura libri per bambini pensati appositamente per fare nascere nuovi alberi piantando la loro copertina.
Questo significa che il piatto troverà una nuova vita magari sul terrazzo o sul balcone, mentre per chi non ha uno spiccato pollice verde, c’è sempre la possibilità di smaltirlo nell’organico con la sicurezza che in sole tre settimane si decompone del tutto.
Accanto all’aspetto ambientale c’è anche quello sociale perché dietro la realizzazione di questi piatti, c’è un folto gruppo di persone in difficoltà: padri e madri single, donne a rischio, ex tossicodipendenti e via dicendo. La società è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite per uguaglianza di genere.









Come piantare un piatto

Oltre ai patti esistono anche tanti imballaggi che possono essere piantati come tazze e scatole. Dopo l’uso possono diventare pomodori, erbe aromatiche, fragole o fiori. Ci sono delle accortezze da seguire: i piatti non vanno inseriti nel microonde per evitare di uccidere i semi.


Per piantarlo:
Una volta finito con il piatto, ecco cosa fare:
Riempi un vaso con un primo strato di terra;
Rimuovere il primo strato dal piatto 
Piantalo e aggiungi della terra (non più di 3 mm)
Annaffia frequentemente ma con poca acqua, ed esponi alla luce e all’aria
E voilà in una-tre settimana avrai una pianta!







https://www.greenme.it

Sostituire la plastica con nuovi materiali etici e sostenibili. Arriva la bioplastica biodegradabile derivata dalla cassava amara


















La corsa a materiali alternativi per sostituire la plastica tradizionale è partita da anni ma negli ultimi tempi ha subito una forte accelerazione. L’accordo raggiunto tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione sul testo della direttiva che limita l’utilizzo di alcuni prodotti monouso non lascia spazio ad interpretazioni sul futuro della plastica. Per questo motivo le aziende legate direttamente o indirettamente alla produzione di rifiuti plastici si vedono costrette a cambiare le proprie strategie.
La complessità che circonda l’individuazione di nuovi materiali è presto compresa se si considerano le caratteristiche pressoché uniche della plastica: leggera, versatile, con un’ottima resistenza chimica e fisica e ottime proprietà barriera ai gas.
Una delle migliori alternative, simile in termini di prestazioni, è stata individuata nelle bioplastiche biodegradabili ricavate da materie prime vegetali rinnovabili. Tra i vantaggi, il tempo di decomposizione di qualche mese in compostaggio rispetto ai mille anni richiesti dalle materie plastiche sintetiche derivate dal petrolio.
Ma le accuse da parte dei detrattori del materiale non sono tardate ad arrivare. Quanto può considerarsi sostenibile un materiale che toglie risorse ed entra in competizione con la filiera alimentare? Le materie prime impiegate, come la canna o la barbabietola da zucchero, il mais e altri cereali, potrebbero infatti impattare sulla disponibilità di derrate alimentari.
Hot food in foam box on wood table
Continua la ricerca di nuovi materiali per sostituire la plastica monouso
Sebbene la tesi sia debole – il terreno utilizzato per coltivare le materie prime rinnovabili per la produzione di bioplastiche nel 2017 ammontava a meno dello 0,02% della superficie agricola globale (il 97% della quale utilizzato per pascoli e per produrre mangimi ed alimenti) ed è stimato che per i prossimi 5 anni non ci saranno aumenti rispetto a questo valore –, le ricerche più interessanti si stanno concentrando sull’impiego di scarti vegetali per produrre bioplastica. Ed è così che sono arrivati prodotti come il Pla (acido polilattico) etico e sostenibile, come quello derivato dalla radice non commestibile della cassava amara, un tubero selvatico che cresce in Africa e Thailandia.
Attraverso procedimenti coperti da brevetto, si è riusciti ad ottenere un materiale che, oltre ad avere caratteristiche comparabili con la plastica tradizionale (bassa permeabilità a ossigeno e vapore acqueo), può essere impiegato in ambito alimentare per la realizzazione di bottiglie ed imballaggi. Questo biopolimero vanterebbe caratteristiche di resistenza alle alte temperature e alle pressioni tali da poter essere impiegato addirittura nella realizzazione di capsule per il caffè!
fonte: www.ilfattoalimentare.it