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Per 7 italiani su 10 i contenitori per la raccolta dei rifiuti sono troppo piccoli

Secondo quanto emerge da una ricerca condotta da OnePoll per DS Smith, il 71% degli italiani ha riempito almeno una volta al mese i contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, a causa del maggior tempo passato in casa (60%) e dell’aumento degli acquisti e-commerce (35%).










I contenitori per la raccolta differenziata sarebbero ormai diventati troppo piccoli per le abitudini di consumo degli italiani. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da OnePoll per DS Smith, azienda che opera nel settore del packaging sostenibile, secondo cui il 71% degli italiani ha riempito almeno una volta nell’ultimo mese i contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, non avendo più spazio per conferirne di nuovi.
La pandemia Covid-19 e i relativi lockdown hanno pesantemente influito su questo fattore: il 60% degli intervistati dichiara che l’aumento della produzione di rifiuti riciclabili sia stata generata dal maggior tempo passato in casa per via delle restrizioni, mentre il 35% indica tra le cause anche l’aumento degli acquisti in Rete. Un italiano su tre, invece dà anche una motivazione più “ecologica” legato all’aumento della raccolta differenziata, e cioè uno sforzo maggiore per differenziare e conferire correttamente i rifiuti per l’avvio a riciclo.
Con l’85% degli italiani che dichiara di aumentare o mantenere il livello di acquisti on-line anche al termine delle restrizioni, e l’affermarsi dello smart working come modalità di lavoro anche nella nuova normalità, questa situazione è destinata a rimanere in via permanente. Per questo, il 64% degli italiani vorrebbe poter contare su contenitori più capienti, in grado di ospitare tutti i rifiuti conferiti a livello domestico.
Avere contenitori più grandi farebbe anche bene all’ambiente: il 15% dei rispondenti ammette infatti – a contenitori pieni – di buttare i rifiuti rimanenti nell’indifferenziata, non permettendone così il corretto riciclo.
In particolare, dall’inizio della pandemia gli italiani riportano un aumento delle seguenti tipologie di rifiuti prodotte a livello domestico: imballaggi per lo shopping online (48%), imballaggi per la farina (40%), contenitori per l’asporto dai ristoranti (34%) e contenitori per il sapone per le mani (34%).
Questa situazione crea frustrazione negli intervistati, con il 58% dei rispondenti che è in imbarazzo per la quantità di rifiuti prodotti, in buona parte (40%) perché pensa di crearne troppi. Gli italiani sono anche preoccupati dell’impatto dei rifiuti sull’ambiente (92%) e sul servizio di raccolta dei rifiuti, con il 45% preoccupato per una gestione non corretta, che vanificherebbe gli sforzi condotti per differenziare i rifiuti. Infine, il 78% concorda sul bisogno di maggiori informazioni e trasparenza su ciò che può e ciò che non può essere riciclato.
"Shopping on-line e lavoro da casa erano fenomeni già diffusi prima della pandemia, ma le restrizioni dovute alla diffusione del Covid-19 hanno drammaticamente accelerato queste tendenze” ha commentato Mike Harrison, Recycling South Region Managing Director. “Molti di questi cambiamenti sono destinati a diventare permanenti, comprese le abitudini di riciclo, per cui dobbiamo assicurarci che il sistema di raccolta dei rifiuti permetta di avviare il processo di riciclo dai flussi domestici di quanto più materiale possibile”.

fonte: www.greencity.it


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Mangia il cibo, coltiva una pianta e salva il pianeta. L’idea per imballaggi del designer Michal Marko

Una ciotola per alimenti biodegradabile che può essere piantata nel terreno. Un’idea divertente e amica dell’ambiente.




I materiali di imballaggio e gli avanzi di questi pasti pronti mettono a dura prova l’ambiente poiché vengono realizzati utilizzando materiali non reciclabili.

Michal Marko, designer di Ruzemborok, in Slovacchia, ha progettato una ciotola per alimenti biodegradabile che potrebbe rivoluzionare il mondo del design del packaging alimentare.

Ha messo a punto un nuovo sistema di imballaggio per alimenti biodegradabile che si trasforma in polvere in un brevissimo periodo di tempo. In ogni pacchetto sull’etichetta c’è scritto per il consumatore cosa farne dopo l’uso. Prima ti incoraggia a goderti il ​​tuo cibo e poi ti invita a staccare l’etichetta in alto dove si nascondono dei semi. Questi possono essere piantati nella stessa ciotola nella quale è stato consumato il pasto con della ghiaia.








Dopo una settimana, innaffiando i semi, le erbe inizieranno a crescere. E dopo poco l’intera ciotola può essere piantata nel terreno, quindi il pacchetto stesso si degraderà ma le erbe fioriranno. Un’idea semplice e intelligente.

Quando Marko ha progettato l’imballaggio l’idea era di creare una ciotola per alimenti usa e getta con il minimo impatto ambientale e di insegnare alla persone un modo divertente per utilizzare i materiali biodegradabili. La semplice idea di restituire ciò che hai preso dalla natura potrebbe davvero funzionare e aiutare l’ambiente.

fonte: https://www.teleambiente.it/




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Packaging sostenibile: a cosa serve la copertura di cartoncino dei vasetti di yogurt?

















Negli ultimi anni le aziende stanno migliorando i propri packaging per ridurre l’impatto ambientale dei loro prodotti. In particolare, nel banco frigo, si trovano diversi yogurt, dessert e budini, che hanno il consueto vasetto di plastica ricoperto di cartone. Un lettore ha dei dubbi sulla sostenibilità di questa scelta. Pubblichiamo la lettera con la risposta dell’azienda Mila.
Scrivo per avere una vostra opinione in merito a una stranezza che ho osservato tra i diversi tipi di packaging sostenibile di alcuni prodotti. Acquistando al supermercato ad esempio yogurt di diverse marche, ho notato nel corso dell’ultimo anno la tendenza da parte dei produttori di dare un apparente tocco “green”, di “sostenibilità ambientale” alle proprie confezioni. Mi spiego meglio. Le confezioni non sono altro che i barattoli standard in plastica a cui viene aggiunto del cartoncino come copertura e stampigliato con l’etichetta, il marchio e tutte le informazioni necessarie.
Un esempio è il brand Skyr di Mila. Innegabilmente questa mossa dà l’impressione che si stia acquistando un barattolo sostenibile, verosimilmente di carta. Ora, capisco la necessità del marketing di cavalcare la moda “Greta” dello scorso anno, ma a mio parere queste soluzioni di sostenibile hanno ben poco: laddove prima avevo un solo scarto da smaltire (barattolo) ora mi trovo a smaltirne due (barattolo + cartoncino). Non mi sembra una grande trovata. Però vorrei sentire la vostra opinione, magari avete qualche informazione in più in merito. Grazie, Walter
Di seguito la risposta dell’azienda
Mila è stata una delle prime aziende lattiero-casearie a introdurre il cosiddetto vasetto a tre componenti (K3) per lo yogurt e lo skyr, così chiamato perché composto appunto da tre materiali – cartone, plastica e alluminio – che possono essere smaltiti in maniera differenziata. L’utilizzo del cartoncino, oltre ad essere prodotto al 100% con carta riciclata assicura stabilità alla confezione e permette di impiegare meno plastica rispetto al vasetto classico. La plastica PP del vasetto e il cartone della confezione sono riciclabili al cento per cento.
fonte: www.ilfattoalimentare.it

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Misura riparte plasticfree: nuove confezioni compostabili e in carta fsc





La plastica rappresenta un enorme fonte di inquinamento e ridurne l’utilizzo è uno dei primi passi per diminuire i costi ambientali, economici e sulla salute.

La situazione sembra invece destinata a peggiorare ulteriormente, anche a causa di mascherine e guanti usa e getta che potrebbero aggiungersi alle tonnellate di rifiuti prodotti.

Per questo, Misura ha deciso di dare un segnale forte per una ripartenza plasticfree, sostituendo parte degli imballaggi di plastica con un packaging compostabile di origine vegetale e con carta FCS.
A cosa serve la plastica negli imballaggi e perché è necessario ridurne l’uso

La plastica è un materiale ampiamente utilizzato negli imballaggi alimentari poiché consente di proteggere i cibi dagli effetti dell’ossigeno e dell’umidità, mantenendoli freschi durante il loro stoccaggio nei magazzini e sugli scaffali dei supermercati.

Si tratta dunque di un materiale di indubbia utilità che però di contro rappresenta un enorme problema dal punto di vista ambientale.

Ogni anno infatti milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’ambiente, dove permane per centinaia di anni, riducendosi via via in pezzi sempre più piccoli.

Plastica e microplastica costituiscono una minaccia per gli ambienti naturali e per la salute di tutti gli esseri viventi, incluso l’essere umano. Oltre a provocare ferite e avvelenamenti negli animali terrestri e marini, infatti, si stima che ognuno di noi ingerisca attraverso gli alimenti almeno 50mila microparticelle di plastica all’anno.

Siamo di fronte a una vera e propria emergenza che oggi che oggi, dopo il lockdown e con la necessità di utilizzare guanti di plastica e mascherine, rischia di sopraffarci.

Normalmente, secondo i dati WWF, solo nel Mediterraneo ogni anno arrivano 570 mila tonnellate di plastica abbandonata o raccolta in modo scorretto, a cui presto potrebbero aggiungersi oltre milioni di presidi sanitari.

Per ridurre l’inquinamento da plastica e i conseguenti costi ambientali, economici e per la salute, è necessario dunque ripartire in modo green, cominciando dal diminuire drasticamente l’utilizzo di plastica, soprattutto quella monouso utilizzata per gli imballaggi.
L’alternativa compostabile alla plastica di Misura


Per diminuire drasticamente l’utilizzo della plastica per gli imballaggi, Misura, noto marchio di alimenti formulati per coniugare gusto e benessere, ha deciso di introdurre un innovativo materiale di origine vegetale per confezionare i prodotti.

In questo modo sarà possibile eliminare due milioni e mezzo di confezioni di plastica, una quantità che potrebbe coprire oltre 22 volte Piazza Duomo a Milano.

Il nuovo packaging interesserà sette prodotti durante il 2020, la pasta integrale e gli snack della linea ‘Natura Ricca’, ma la plastica sarà eliminata anche da altri prodotti e sostituita con carta certificata FSC proveniente da coltivazioni forestali sostenibili e controllate.

In questo modo la riduzione di plastica sarà complessivamente pari al 52% rispetto allo scorso anno.Inoltre, tra il 2022 e il 2023, le nuove confezioni saranno estese anche ad altri prodotti, diminuendo ulteriormente le tonnellate di plastica per gli imballaggi, fino al 79%.

I nuovi incarti multistrato garantiranno l’effetto barriera nei confronti di ossigeno e umidità, così da mantenere inalterata la freschezza e la qualità dei prodotti.

Una volta raccolte e trattate, le confezioni non andranno a sommarsi alle tonnellate di rifiuti che produciamo ogni anno poiché si trasformeranno in compost per fertilizzare il suolo.

L’innovazione, presentata in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente, è nata grazie alla collaborazione tra Misura e Novamont, gruppo che ha sviluppato la bioplastica Mater-Bi, e con il contributo scientifico dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e di Slow Food.

Un percorso tra diverse realtà, tra cui anche Saes, Sacchital e TicinoPlast, durato oltre due anni che oggi consentirà una ripartenza del marchio sotto il segno della sostenibilità ambientale.

Con l’adozione dei nuovi imballi multistrato compostabili, Misura non intende solo adottare una soluzione sostenibile per confezionare i propri prodotti, ma anche essere d’esempio.

L’impegno plasticfree di Misura vuole infatti essere di ispirazione per un cambiamento nel mondo del packaging alimentare, dimostrando che è possibile ridurre sensibilmente l’utilizzo di plastica e sostituirla con materiali ugualmente in grado di conservare gli alimenti, ma con un impatto positivo sull’ambiente.

Pochi anni fa abbiamo rinunciato all’uso dei sacchetti di plastica per la spesa, sostituendoli con shopper biodegradabili: un’esperienza italiana che si è poi trasformata in legge europea.

Eliminando la plastica dagli imballaggi alimentari, Misura ha l’ambizione di fare da apripista per l’intero settore agroalimentare, nonché di lanciare un forte segnale altri Paesi perché facciano altrettanto.

fonte: www.greenme.it



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Cresce l’attenzione all’impatto ambientale del packaging sui consumatori
















Lo dicono i dati di Nomisma 2020. Se ne è parleto a “Packaging speaks green”, forum internazionale dedicato alla sostenibilità nella produzione industriale a Bologna

L’impatto ambientale del packaging influenza il 43% dei consumatori nella scelta dei prodotti alimentari, mentre il 48% ha smesso di acquistare prodotti con eccesso di imballaggi e il 41% non è disposto a pagare in più per l’eco-pack, perché considera un compito dell’industria e dei retailer produrre packaging a minor impatto ambientale. A partire da queste rilevazioni di Nomisma 2020, il 20 e 21 febbraio a Bologna si è tenuto “Packaging speaks green”, forum internazionale dedicato alla sostenibilità nella produzione industriale.

Ucima e Fondazione Fico hanno riunito per l’occasione molti brand leader a livello globale, da Amazon a Coop, Coca-Cola, Fater (Jv P&G e Angelini), Massimo Zanetti Beverages, Tim Letts, Deputy Director climate and energy di Wwf a intervenire sul nuovo progetto mondiale per sviluppare modelli sostenibili di business e la Fao con un intervento legato alla sostenibilità in rapporto agli sprechi.

Le caratteristiche che per il consumatore rendono sostenibile un prodotto sono l’essere biologico (42% dei responsabili acquisto), avere una confezione di materiali riciclati o a basso impatto ambientale (37%), derivare da un processo produttivo che usa fonti rinnovabili (31%) o con basso consumo di energia-acqua (18%), che garantisce il giusto reddito a chi lo produce (24%). Mentre per immaginare un pack sostenibile i consumatori pensano a una confezione di materiali degradabili (56%) o riutilizzabili (39%). La sostenibilità entra dunque nelle priorità degli italiani ed è plebiscitaria la consapevolezza che piccole azioni quotidiane da parte di tutti siano necessarie per salvaguardare l’ambiente: lo dichiara il 98% degli italiani. Tra le azioni praticate più spesso dagli italiani svetta la raccolta differenziata, praticata dall’83%, segue la riduzione dei consumi energetici (78%) e idrici (77%), limitare l’acquisto o l’utilizzo di bottiglie di plastica (41%), preferire trasporti sostenibili (38%). Social (34%) e programmi in tv (32%) sono un punto di riferimento per acquisire più informazioni e altrettanto importanti sono le campagne di sensibilizzazione (32%). Contano anche i testimonial internazionali, da Greta Thunberg a Leonardo Di Caprio (29%). L’ambiente è in cima alle preoccupazioni degli italiani per il 37% degli intervistati: 1 su 3 dichiara che è su questa priorità che dovrebbe concentrarsi l’azione del governo nazionale e delle istituzioni internazionali, mentre per il 67% l’ambiente diventerà preoccupazione dominante nel 2050.

fonte: esper.it

Plastica: un sistema da riformare








È una autentica crociata quella che negli ultimi anni si sta combattendo ad ogni latitudine contro la plastica. Un materiale che, da simbolo della modernità, sembra oggi diventato simbolo di un sistema di sviluppo da cambiare. Ma è davvero così, o esiste anche per la plastica, in particolare per gli imballaggi, un futuro all'insegna della sostenibilità? Quali sono gli ostacoli lungo il percorso verso gli ambiziosi obiettivi fissati dall'Ue? Abbiamo provato a capirlo parlando con chi la raccoglie, seleziona e avvia a riciclo.

«Noi abbiamo oggi un immesso a consumo di oltre 2 milioni di tonnellate l'anno di imballaggi in plastica - spiega Walter Regis, presidente di Assorimap - con un avvio al riciclo di circa 600mila tonnellate, quindi 25,6%. Se però parliamo di riciclo effettivo scendiamo al 20%. Le direttive europee sull'economia circolare ci chiedono per il 2025 il 50% di riciclo effettivo e il 55% al 2030. Sicuramente il sistema così com'è non è in grado di poter centrare questi obiettivi». 

Insomma, in Italia dicono i numeri, 8 imballaggi in plastica su 10 non vengono riciclati. Un ritardo pesantissimo rispetto agli ambiziosi target europei. Questo anche perchè c'è plastica e plastica, e non tutte quelle che finiscono nel sacchetto della raccolta differenziata poi possono essere facilmente rigenerate. Per capirlo siamo andati in uno dei più grandi impianti italiani di selezione, dove i sacchetti della differenziata vengono separati nelle singole materie che poi verranno avviate a riciclo.

fonte: https://www.ricicla.tv/

Fairphone lancia terza generazione smartphone etico

Fatti per durare,-30% Co2 e riciclo. Sostegno da Sky Mobile



















Fairphone, l'azienda olandese nata nel 2013, continua la sua battaglia per un'elettronica sostenibile e lancia la terza generazione del suo smartphone "etico, affidabile e sostenibile" con un "impatto positivo su tutta la catena di approvigionamento e produzione". "Vogliamo motivare l'intero settore ad agire in modo più responsabile poiché non possiamo realizzare questo cambiamento da soli" spiega il Ceo di Fairphone, Eva Gouwens e Sky Mobile è stata tra i primi a rispondere mettendolo tra i telefoni della sua offerta commerciale. "Dai rifiuti elettronici alle enormi emissioni di CO2, dalle condizioni di lavoro difficili alle devastanti pratiche di approvvigionamento delle materie prime, l'industria degli smartphone è responsabile enormemente per alcuni dei più gravi problemi ambientali e dei diritti umani" sottolinea una nota. Nasce così un telefono pensato "per supportare riparazioni facili; per durare più a lungo, risparmiare il 30% delle emissioni di CO2 o più e con una batteria a lunga durata". A bordo del telefono il Processore Qualcomm 632, fotocamera posteriore Dual Pixel da 12 MP e fotocamera frontale da 8 MP, 64 GB di memoria, che può essere espansa a oltre 256 GB con MicroSD. Sarà venduto con imballaggi sostenibili e riutilizzabili e dotato di un paraurti protettivo per una protezione extra da urti e colpi di tutti i giorni.

fonte: www.ansa.it

Verso un packaging più sostenibile, dalla riduzione degli sprechi al biodesign

Il problema del packaging in eccesso è un fenomeno enorme e globale. La ricerca per trovare soluzioni sostenibili avanza, anche grazie ad alternative sperimentali come gli imballaggi alimentari edibili e compostabili.





Amplificato dall’e-commerce diventato in tutto il mondo una modalità di acquisto sempre più diffusa, il problema di come ridurre il packaging in eccesso di milioni di prodotti e del suo smaltimento è affrontato dai consorzi di produttori e dai colossi delle vendite online secondo linee guida sostenibili. Intanto, designer e biologi lavorano insieme a ricerche innovative di biodesign, per sperimentare packaging alternativi e sostenibili che utilizzano batteri e microorganismi capaci di sostituire i materiali derivati dal petrolio.




Il raffinato packaging dei prodotti Armani Dolci con la storica azienda torinese Gobino, brand di lusso molto attenti all’utilizzo di materiali riciclabili © Armani
Packaging, perché è così importante

Il packaging è considerato dalle aziende di qualsiasi tipologia merceologica un elemento molto importante per la percezione del marchio da parte dei consumatori con un impatto positivo sul suo valore e sulla sua riconoscibilità. La sua funzione va al di là dell’aspetto puramente pratico di proteggere e trasportare il prodotto. Ha il compito di differenziarlo sullo scaffale dei negozi e, soprattutto, della grande distribuzione, dove la forma, il materiale e l’elemento grafico complessivo devono essere fortemente attrattivi.

Non si spiegherebbe altrimenti la grande attenzione che le aziende hanno sempre posto nella progettazione dei contenitori dei loro prodotti in tutti i settori, ma specialmente nel campo agro-alimentare, dei cosmetici, della moda, del superfluo e del lusso. Spesso però non preoccupandosi affatto del loro riciclo. Il packaging per molti prodotti è in certi casi un surplus non strettamente necessario, sbagliato secondo i principi della sostenibilità, eccessivo e inutile agli occhi di molti anche se valutato soltanto con il criterio del buonsenso.

La progettazione del packaging va dunque ripensata a tutti i livelli, come in parte sta già accadendo, per evitare lo spreco e l’utilizzo non necessario di materiali, seppur riciclabili. Il fenomeno è oggi di dimensioni gigantesche, ma qualcosa sta cambiando e parte anche dall’atteggiamento dei consumatori e dalla globale crescente attitudine verso la sostenibilità.



Alla vigilia della nuova era plastic free. Infografica dello studio Ipsos sull’atteggiamento dei consumatori italiani nei confronti del packaging dei prodotti © Ipsos
Packaging e sostenibilità, la tendenza dei consumatori

Secondo l’indagine condotta dalla società di ricerche di mercato americana Research and markets, una delle più grandi al mondo, la domanda dei consumatori sta progressivamente orientando le aziende verso il packaging sostenibile, il cui mercato globale raggiungerà un valore di circa 440 miliardi di dollari entro il 2025, con un tasso di crescita annuale del 7,7 per cento. L’atteggiamento critico e sempre più sensibile delle persone sugli effetti sociali e ambientali dell’intero ciclo di vita del prodotto si estende anche al packaging che spesso è il primo e più evidente elemento e si rivela fondamentale nel processo decisionale di acquisto.

Nel 2018 il sondaggio European consumer packaging perceptions, che ha coinvolto a 7mila consumatori di sette paesi europei, ha rivelato che due terzi degli italiani tra i 50 e 60 anni vorrebbe che le confezioni dei prodotti fossero più ecosostenibili. Come materiali, l’89 per cento preferisce il cartone alla plastica. Di rilievo l’attitudine dei millennials, nati tra il 1980 e il 2000: il 55 per cento dichiara di aver cambiato marca per evitare l’uso eccessivo di packaging. Un altro dato importante è che tre quarti degli italiani dichiara che le proprie decisioni d’acquisto sono influenzate, se non determinate, dagli imballaggi e dalle confezioni dei prodotti. Porzione leggermente inferiore all’81 per cento della Spagna e al 77 per cento di Germania e Polonia, ma comunque un segnale positivo.

Altri sondaggi confermano che questa tendenza è in crescita, come quelli condotti dall’istituto di ricerche di mercato Lux Research che ha stimato che gli imballaggi biodegradabili possono competere con quelli derivati dal petrolio e garantire perfino prestazioni migliori. O l’indagine a livello mondiale condotta da Tetrapak, da cui emerge che nell’ambito delle bevande c’è una crescente importanza che gli acquirenti attribuiscono al packaging eco-friendly. I due terzi dei seimila intervistati in dodici paesi hanno, infatti, affermato di scegliere prodotti che rispettano l’ambiente, anche quando costano un po’ di più. Inoltre, secondo lo studio Ipsos, Alla vigilia della nuova era plastic free, presentato a maggio 2019 al Museo della scienza e della tecnica di Milano, l’imballaggio o la confezione secondo il 41 per cento degli 
italiani è ritenuto il primo fattore di sostenibilità su cui viene valutato un marchio.

A lato della positiva attitudine dei consumatori, tuttavia, sono le scelte politiche i veri strumenti in grado di accelerare il processo, com’è stato per l’adozione dei sacchetti biodegradabili per l’ortofrutta ed è urgente la necessità di definire le regole all’interno del vasto settore produttivo di packaging e imballaggi.

fonte: www.lifegate.it

Biopack, il cartone delle uova che si pianta e produce legumi















Sembra un normale cartone per le uova eppure una volta finito il suo compito non finisce tra i rifiuti ma è in grado di germogliare e offrire nuova vita. Si chiama Biopack e di recente ha conquistato il premio Young Balkan Designers 2019.
Ideato da George Bosnas, Biopack è un cartone compatto a base di polpa di carta, farina, amido e semi biologici di leguminose. Una volta usate le uova contenute all’interno, esso non va gettato via ma innaffiato o piantato direttamente nel terreno.
In questo modo, i semi contenuti nelle sue fibre giorno dopo giorno si trasformano in piante.
“Il riciclaggio è una forma di gestione dei rifiuti che comporta la conversione di rifiuti e altri materiali usati in prodotti riutilizzabili. Ma ne vale la pena? È un processo in più fasi, che coinvolge il trasporto, lo smistamento, la lavorazione e la produzione di materiali in nuovi beni. È difficile valutare il suo consumo energetico complessivo” spiega l’ideatore sul sito ufficiale.

Secondo Bosnas, infatti ancora oggi il riciclaggio presenta numerose sfide visto che i processi attuali sono ancora complicati, costosi e non sempre totalmente ecologici. Occorre invece ripensare al concetto di monouso, anche a partite dai classici contenitori per uova, spesso fatti di plastica.












Da qui la scelta di dare nuova vita a un prodotto immediatamente invece di aumentare la quantità di rifiuti:
“Biopack è un pacchetto progettato per essere ecologico a tutti i livelli. L’obiettivo è quello di creare un prodotto veramente rispettoso dell’ambiente”.
La scatola può ospitare fino a quattro uova. Una volta svuotata, non va gettata ma piantata e innaffiata. In 30 giorni i semi germoglieranno fino a dare vita a nuove piante

Non solo la confezione sostenibile crea un sistema a ciclo completo che trasforma un prodotto in una pianta, ma secondo Bosnas, la crescita dei legumi aumenterà anche la fertilità del suolo.

Un’invenzione che probabilmente non cambierà il mondo ma offrirà un piccolo contributo per renderlo più pulito e verde.
fonte: www.greenme.it

Le cassette del pesce in polistirolo messe al bando per salvare i mari dalla plastica















I mari sono inquinati dalla plastica, ma anche il pesce pescato può inquinare. In un anno sono 14mila le tonnellate di polistirolo utilizzato per il trasporto e la vendita della merce ittica, su un totale di 20mila tonnellate di polistirolo destinate al settore alimentare italiano. Numeri da capogiro, considerando che il polistirolo è un prodotto monouso e con uno scarso valore di mercato come rifiuto riciclabile.

Eataly, con le sue sette pescherie lungo il Paese, vuole favorire la salvaguardia dell’ambiente.

A Slow Fish, iniziativa di Slow Food a Genova dal 9 al 12 maggio con a tema Il mare: bene comune, Eataly ha presentato il suo primo tassello per un mosaico del cambiamento: sostituire le casse in polistirolo con casse in polietilene riciclabili.

Il contenitore, sviluppato con il consorzio nazionale Polieco, può essere riutilizzato per cinque anni con la possibilità di essere riciclato a fine vita. Al punto vendita di Roma sarà avviata la sperimentazione in collaborazione con la cooperativa di pescatori di Civitavecchia. Solo loro producono ogni mese uno scarto di 25mila cassette di polistirolo al mese


Marcello Favagrossa, responsabile marketing e comunicazione Eataly

“Da parte di Eataly questo intervento non è un episodio singolo, ma è un’attenzione che fa parte del nostro dna”, afferma Marcello Favagrossa, responsabile marketing e comunicazione Eataly. “Da un paio di anni come operatori nell’ambito del commercio del pesce avevamo avuto la segnalazione dell’emergenza della plastica nei mari. Le nostre pescherie hanno un prodotto di altissima qualità, ma con il paradosso di produrre migliaia di tonnellate al mese di polistirolo monouso, che diventa subitorifiuto”, aggiunge. Polistirolo che, quando si riduce a dimensioni inferiori ai 5 millimetri, se gettato in mare, rientra nella catena alimentare. 

Pesce al mercato(foto di Chuttersnap su Unsplash)

Da qui l’idea di stravolgere il lavoro e la logistica delle pescherie dei punti vendita a Torino, Pinerolo, Milano, Roma e nei negozi a vocazione marinara come Genova, Bari e Venezia. Sarà proprio Genova la prima a seguire l’esempio di Roma. Le cassette, una volta che Eataly le avrà svuotate, verranno riconsegnate lavate ai fornitori che, a loro volta, provvederanno a una seconda fase di lavaggio. Si tratta di un vuoto a rendere a uso prolungato.

«Oggi continuiamo un percorso teso a ridurre al massimo il nostro impatto complessivo: abbiamo dei fornitori storici con cui c’è un’intesa forte sul tema e che sono molto ricettivi. La sensibilità è andata crescendo nel tempo. Tra settembre e ottobre Eataly dichiarerà il manifesto del packaging pulito e giusto per tutti i prodotti e i processi», chiude Favagrossa.

fonte: www.wired.it

Bioplastiche: cosa sono e come si producono

Le bioplastiche sono le soluzioni all’utilizzo di plastiche monouso.


Polimeri di plastica










Le bioplastiche possono sostituire la plastica monouso che prolifera ed inquina i mari. Prima d’iniziare questa breve rassegna Ambient&Ambienti ha interpellato Carlo Santulli, scienziato, esperto in materiali sostenibili, biomimetica e controlli non distruttivi alla Scuola di Architettura e Design dell’Università di Camerino. Santulli, laureato in ingegneria chimica, in lettere e PhD in materials science and engineering, si definisce “cervello di rientro” dal Regno Unito nel 2006. Lo studioso, impegnato da tempo nello studio dei materiali, ha curato diversi lavori di ricerca, fra cui “Utilizzo di scarti agricoli per la produzione di bioplastiche e biocompositi” e “Materiali ecosostenibili, innovativi e bioispirati”.

Il Prof. Santulli spiega cosa sono le bioplastiche


Il Prof. Carlo Santulli spiega la possibilità di produrre bioplastiche da scarti vegetali ed animali.













“Le bioplastiche sono normalmente formati da derivati degli zuccheri, cioè polisaccaridi, di origine vegetale, come amido o cellulosa, oppure animale, come la chitina. I polisaccaridi di origine vegetale si riducono chimicamente fino ad ottenere la molecola del glucosio, da cui si parte da cui poi si parte con una nuova polimerizzazione per ottenere molecole, come l’acido lattico. I polisaccaridi, come l’amido, si possono anche plasticizzare con sostanze adatte, come il il glicerolo. Se si considera questo secondo percorso, è possibile lo sfruttamento di scarti vegetali ed animali per la produzione delle bioplastiche con una maggiore sostenibilità. Le bioplastiche sono biodegradabili e possono essere anche compostabili ed entrare nel concime contribuendo al processo di crescita delle specie vegetali. Aumenta, quindi, il numero degli scarti vegetali ed in qualche caso anche animali, i cui rifiuti a base di polisaccaridi sono estratti per la produzione delle bioplastiche” ha spiegato Carlo Santulli, che ha aggiunto “devo notare anche che il termine bioplastiche è spesso esteso in modo improprio ad altri materiali bio, come quelli estratti dalle proteine animali, per esempio del latte, che formano materiali promettenti ma non presentano normalmente caratteristiche di plasticità e termoplasticità. Invece, questi materiali, come il legno, tendono a carbonizzarsi oltre una certa temperatura. Ciò non toglie che anche questi materiali, basati su proteine o su altri polisaccaridi più resistenti all’acqua, come la lignina nel caso del legno, hanno un loro interesse nel liberarci dalla schiavitù del petrolio e consentono di riutilizzare gli scarti che produciamo in quantità eccessive”.

Bioplastiche, l’agricoltura è ottimo “alleato”

L’itinerario, quindi, non può che iniziare dall’agricoltura, un ottimo “alleato” nella produzione delle bioplastiche. La crusca, residuo della molitura del grano, si presta alla produzione di stoviglie monouso. Il loro inventore, Jerzy Wysocki, è nato da una famiglia di mugnai nei primi decenni del XX secolo. L’invenzione ha permesso la produzione di una gamma completa di piatti completamente biodegradabili e posate a base di crusca di frumento e plastica di origine vegetale. “La maggior parte delle fibre vegetali, se sottoposta a processi industriali, può trasformarsi in bioplastiche. Gli scarti delle produzioni agricole sono una grande ricchezza per la produzione di biolplastiche. Sono necessarie le tecnologie, come per esempio le stampanti 3D, e devono cambiare i modelli di produzione e consumo, così come stabilito dall’obiettivo 12 dell’Agenda dell’Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile. Il processo produttivo di biolpastiche s’inserisce anche nell’economia circolare” ha detto Elvira Tarsitano, presidente dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi (ABAP). Un momento di riflessione sull’importanza dell’agricoltura, in tal senso, è il convegno “Agricoltura + bioedilizia” che si terrà il 27 aprile nell’ambito della Fiera di San Giorgio a Gravina in Puglia.

Bioplastiche, la polpa di cellulosa è completamente naturale e compostabile

La rassegna sui materiali di produzione di biolpastiche continua con la polpa di cellulosa che si ricava dalle fibre residue della lavorazione di alcune piante, in particolare bambù e canna da zucchero. La cellulosa è uno dei più importanti polisaccaridi. La polpa di cellulosa è un materiale completamente naturale e compostabile secondo le normative europee e possiede innumerevoli pregi, tra cui la resistenza ad alte temperature. Si presta, quindi, ad essere utilizzata per bevande o piatti caldi. E’ particolarmente indicata per l’inserimento nel forno a microonde.

Dalla bioplastica può nascere il bio packaging

Un’altra possibilità è l’accoppiamento di carta con bioplastica. Si ottiene così un foglio con proprietà anti unto, idoneo al contatto alimentare. Nato per la vendita del formaggio in pozioni, si presta alla produzione di bio packaging attraverso lavorazioni di termosaldatura. La soluzione è circolare: carta, bioplastica e residui organici sono tutti conferibili nell’umido e produrranno energia e compost. Gli agricoltori, quindi, completeranno il ciclo, da cui era iniziata la produzione senza inquinare o consumare territorio con nuove discariche.

Bioplastiche, è necessario “rimodulare” il ciclo produttivo

La rassegna giunge al termine. A questo punto sarebbe il caso di riflettere sull’importanza delle bioplastiche che consentono di ottimizzare la raccolta e gestione dei rifiuti e ridurre l’impatto ambientale. In questo modo si apportano vantaggi al ciclo produzione-consumo-smaltimento dei rifiuti. Sarà necessario, quindi, “rimodulare” l’intero ciclo produttivo per ridurre l’utilizzo di plastica monouso che dovrà essere sostituita da contenitori e attrezzi in cellulosa biodegradabile.
fonte: https://www.ambienteambienti.com

Bioplastiche e carta riciclata: Samsung punta sul packaging sostenibile

Carta riciclata e bioplastiche per impacchettare tv, smartphone, frigoriferi: Samsung batte la strada della sostenibilità adottando packaging biodegradabili e di recupero


Samsung ha annunciato che passerà a utilizzare materiali sostenibili invece della tradizionale plastica derivata da idrocarburi per il packaging dei propri prodotti tecnologici. Il gigante dell’elettronica avvierà la transizione a partire da metà 2019 e comincerà con impacchettare i prodotti mobile e wearable (smartphone, auricolari, smartwatch, etc.) con carta riciclata e bioplastiche derivate da amido e canna da zucchero o provenienti integralmente dalla filiera della plastica riciclata.

Entro il 2020 dovrebbe essere il turno anche di televisori, frigoriferi e altri grandi elettrodomestici prodotti da Samsung: verrà eliminata anche la finitura lucida tipica di molti prodotti tecnologici passando a una opaca che non necessiti della pellicola di protezione per il trasporto.
Manuali e istruzioni, a loro volta, verranno realizzati solo con materiali certificati dal Forest Stewardship Council, un programma che garantisce la sostenibilità dell’intera filiera di produzione, dal rispetto delle foreste in cui viene prelevata la materia prima fino al giusto compenso degli operatori di settore.

L’obiettivo dell’azienda sudcoreana è quello di riutilizzare tra il 2009 e il 2030 almeno 500 mila tonnellate di plastica riciclata e recuperare 7.500 tonnellate di prodotti tecnologici di scarto.


L’abbandono del packaging derivato da plastiche è sollecitato da recenti accordi internazionali. Nel 2017, una quarantina di grandi aziende, per lo più della filiera alimentare, hanno aderito al piano The New Plastics Economy (NPE) della Fondazione Ellen McArthur e partecipato alla stesura del Piano di azione NPE: Catalysing Action che prevedeva il passaggio a confezioni sostenibili entro il 2025.
Lo scorso aprile, anche l’Unione europea ha approvato un piano per l’economia circolare che prevede, tra le altre misure, la riduzione del 50% del volume di plastiche monouso entro il 2025 e del 55% entro il 2030.

fonte: www.rinnovabili.it