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Negozio Leggero, dove fare la spesa alla spina per un nuovo commercio di vicinato

Negozi dove poter acquistare prodotti alimentari, per la casa e per la persona, alla spina o con il vuoto a rendere. Una delle prime esperienze in Italia è il Negozio Leggero, nato a Torino dall’idea di cinque ragazzi e ragazze impegnati da lungo tempo nell’ambito della riduzione dei rifiuti e che in questi anni sono riusciti ad avviare numerosi progetti “leggeri” per ripensare collettivamente il nostro modo di fare la spesa.














Torino - Di negozi sfusi, alla spina e zero waste ne sentiamo sempre più parlare in questi anni: sono diventati per molte persone un nuovo modo di acquistare generi alimentari, una filosofia di vita per un consumo più consapevole e quando si comincia a frequentarli, diventa molto difficile tornare indietro. Sì, perché attraverso un gesto quotidiano come fare la spesa, diventiamo tutti parte di quel cambiamento più urgente che mai, non solo individuale ma soprattutto collettivo. I negozi sfusi diventano quindi un punto di partenza per ripensare ai nostri stili di vita partendo dalle piccole cose quotidiane come ciò che mangiamo e beviamo, i detersivi che utilizziamo, i cosmetici che acquistiamo, quanta plastica produciamo.

L’articolo di oggi è dedicato a uno tra i primi negozi sfusi in Italia, che in questi anni, per il successo che ha avuto, si è diffuso in sempre più città uscendo perfino dai confini nazionali, come nel caso della Francia e della Svizzera: stiamo parlando del Negozio Leggero. Molti di voi lo conosceranno già, ma per chi fosse la prima volta, è questa l’occasione per scoprirne 
 di più.

 

Possiamo considerare il Negozio Leggero un precursore in Italia in fatto di negozi alla spina. La prima attività ha infatti aperto a Torino nell’aprile del 2009, anno in cui in Europa ancora non esistevano progetti simili, che condividessero la volontà di creare una rete diffusa sul territorio. Come scritto sul sito, “è stato il primo negozio al mondo in cui acquistare prodotti senza imballi o con vuoto a rendere”. La parola d’ordine è zero waste: attraverso il negozio fisico e online, la vendita alla spina permette di acquistare prodotti di qualità a filiera controllata senza imballaggio, alleggerendo la produzione dei rifiuti domestici e la spesa. Non solo: acquistando prodotti sfusi si minimizzano anche gli sprechi perché, come ben sappiamo, si compra solo ciò di cui si ha realmente bisogno.

«Abbiamo dato a Negozio Leggero la forma del franchising – spiegano i fondatori – perché volevamo far arrivare il progetto in più territori e volevamo farlo con persone che ci assomigliano, che hanno voglia di fare impresa e allo stesso tempo dare il proprio contributo al cambiamento». I negozi leggeri sono infatti pensati per essere facilmente replicabili e per questo nascono come punti vendita di piccole e medie dimensioni che possono essere avviati ovunque, diventando parte di un commercio di prossimità che offre un’alternativa diversa e sostenibile.

Ideatore del progetto è l’ente di ricerca ambientale Ecologos che negli anni è riuscito a disimballare oltre 1.500 prodotti di qualità, a filiera controllata e provenienti da produttori medio-piccoli che garantiscono condizioni di lavoro eque. La rete in franchising è invece gestita dalla società Rinova, costituita da giovani imprenditori e impegnata nello sviluppo di tecnologie e sistemi volti alla riduzione dei rifiuti: insieme, queste due realtà lavorano in modo coordinato per portare una virtuosità “circolare” nel commercio locale e fare in modo che il cambiamento di un singolo individuo porti al cambiamento della collettività verso uno stile di vita più sano ed etico.

Come ha raccontato Cinzia Vaccaneo, founder di Negozio Leggero, «scegliere sfuso non è solo semplice e sostenibile, ma anche conveniente: chi acquista risparmia in media dal 30% al 70% rispetto all’equivalente confezionato e riduce notevolmente la produzione di rifiuti. Abbiamo calcolato che una famiglia di quattro persone che fa la spesa abitualmente al Negozio Leggero arriva a risparmiare in un anno oltre 200 chili di rifiuti».

In negozio è possibile portare i propri recipienti da casa e riempirli con la quantità desiderata di prodotto, altrimenti sono presenti diverse soluzioni come contenitori riutilizzabili, principalmente in vetro, da acquistare solo la prima volta e da riutilizzare quelle seguenti. Ovviamente non ci sono delle quantità definite per l’acquisto minimo e si possono comprare dai pochi grammi a qualche chilo, in base alle esigenze di ciascuno, così 
da ridurre gli scarti alimentari.


Il team di Negozio Leggero

Al suo interno si trova poi tutta la gamma di prodotti cosmetici e per alcuni generi alimentari è stato utilizzato il sistema di vuoto a rendere che permette di avere prodotti sigillati in imballaggi di vetro che, una volta riportati in negozio, vengono opportunamente igienizzati e riutilizzati nel circuito. «La parola d’ordine per la cosmetica è sicuramente “plastic free” e i prodotti per la cura della persona a marchio Negozio Leggero, oltre ad essere senza parabeni, EDTA, siliconi, oli minerali e derivati animali, sono tra i pochissimi, e per alcuni prodotti, gli unici, ad essere confezionati nel vetro, materiale nobile che ci permette di riutilizzare i contenitori innumerevoli volte».

Oltre alla rete del Negozio Leggero, negli anni sono stati sviluppati altri progetti per una sostenibilità a 360°: l’ultimo nato è Liberi dalla plastica, il primo “giornale di bordo” nato su Instagram che raccoglie dati, promuove soluzioni all’uso indiscriminato della plastica monouso, e dialoga con le esperienze reali degli utenti.

«Il nostro lavoro di ricerca ci permette inoltre di monitorare costantemente quanto incide a livello ambientale la mancata produzione di imballaggi: ad esempio, in un anno l’eliminazione delle confezioni sulle sole vendite di vino e detersivo porta un risparmio complessivo di risorse pari a 104.290 kWh di energia, 34 tonnellate di CO2 non emessa in atmosfera e oltre 9,8 milioni di litri di acqua che non sono stati utilizzati per la produzione e lo smaltimento del packaging in eccesso».



Da anni la diffusione dei negozi leggeri è in crescita. Il più recente progetto è il Negozio Leggero di Rivoli (TO), avviato da Sara Forlani e Stefano Premoli. Due giovani che contribuiscono a diffondere la rivoluzione zero waste: Sara lavora da sempre a contatto con il pubblico e partecipa attivamente in campagne di sensibilizzazione ambientale mentre Stefano, economista ed editore, negli ultimi anni ha deciso di dedicarsi a scelte imprenditoriali nel campo della sostenibilità ambientale. Insieme si sono lanciati in questa nuova avventura, per fare la propria parte verso un consumo più sano, etico e circolare che ci auguriamo diventi sempre più un’abitudine condivisa.

fonte: www.italiachecambia.org


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Il cartoccio tutto italiano realizzato con le bucce di patate per dire addio alla plastica nello street food

Un nuovo uso alle bucce di patate! Peel Saver, il packaging ecologico per patatine fritte costituito da componenti 100% naturali


Negli ultimi anni fortunatamente le innovazioni vanno a braccetto con l’ambiente e spesso sono legate ai nostri “rifiuti”. Questa volta a confermare questo trend verso un’economia circolare sono Paolo Stefano Gentile, Simone Caronni e Pietro Gaeli, tre giovani designer che con il loro progetto Peel Saver, recuperano le bucce di patata per trasformarle in un packaging 100% biodegradabile adatto per lo street food. 

“Può sembrare banale ma ci siamo ispirati alla natura. Infatti la buccia esiste per proteggere il suo contenuto proprio come un packaging dovrebbe fare”, ci racconta Paolo in un’intervista.

La buccia di patata è costituita da amidi e componenti di fibre che, dopo la macerazione e l’essiccazione naturale, acquisiscono la capacità di legarsi tra loro e di indurirsi, dando vita così ad un nuovo materiale sostenibile. Non solo, dopo l’utilizzo, l’imballaggio può essere tranquillamente reinserito nel ciclo biologico diventando cibo per gli animali o concime per le piante. Non è ancora stata scartata l’idea di renderlo commestibile, ma perché questo avvenga si dovrà tenere conto di alcune importanti valutazioni tra cui il sapore.


I tre designer si sono conosciuti mentre studiavano alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, ed è precisamente lì che è nato Peel Saver. Con gli anni sono riusciti a perfezionare il loro progetto e ora sono in una fase di sperimentazione per un’eventuale commercializzazione.

“Il progetto, in questi 3 anni, grazie a premi ed esposizioni ha fatto parlare di sé ponendo l’attenzione su quello che per noi è il vero problema: la plastica monouso. Siamo felici, con Peel Saver, di aver proposto un’alternativa a ciò che il mercato oggi propone”, dichiara Paolo.

Il tradizionale packaging per lo street food ha un tempo di utilizzo molto breve e, sebbene in commercio ora molti siano realizzati in carta, una volta unti di grassi non possono essere più riciclati. Con questa soluzione zero waste, le patate vengono servite all’interno dello stesso guscio che originariamente le proteggeva.




Questi giovani designer italiani hanno trovato una soluzione innovativa e sostenibile. Peel Saver è un progetto che si ispira alla natura, un ritorno alla semplicità e non vediamo l’ora di vederlo in commercio.

fonte: www.greenme.it


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La seconda vita dei rifiuti salva lavoro e ambiente. Ma manca il decreto attuativo

 

Prendiamo spunto anche dalla recentissima interrogazione avanzata dalla parlamentare del MoVimento 5 Stelle Ilaria Fontana che ha il merito di portare all’attenzione dei decisori politici interventi normativi di facile attuazione, in linea con il buon senso attraverso i quali si può “ottenere il massimo con il minimo sforzo” (legge basilare dell’economia). Ma evidentemente nel nostro Paese i “facile diventa difficile se non impossibile” specialmente quando si parla di provvedimenti non sostenuti dai soliti “oligarchi”.


Ebbene, ripercorrere la vergogna della mancata attuazione del Dlgs 205/2010 indigna, visto che essa sarebbe dovuta intervenire appena 6 mesi dopo il decreto approvato. Eppure altrettanta pigrizia non c’è stata per attuare ad intermittenza provvedimenti che hanno sottratto dalla “nozione di rifiuto” il Combustibile Solido Secondario (Css) per essere bruciato nei cementifici, oppure per declassare a “materia prima seconda” i terreni e le rocce di scavo.

Certo, lì ci sono interessi milionari in ballo (si pensi ai fanghi di scavo per l’alta velocità: se vanno smaltiti come rifiuti hanno costi elevatissimi, comunque non certo equiparabili se, invece, “derubricati” a “materiali”).



Eppure, normare la “preparazione per il riutilizzo” significherebbe trattare per esempio elettrodomestici vari, computer, smartphone, biciclette, mobili, oggetti, materassi non come generici materiali al massimo da inviare a riciclo, ma come prodotti da riparare e da riutilizzare, dando loro una seconda vita senza complesse pastoie burocratiche che intervengono sempre quando si ha a che fare con i rifiuti. Basterebbe definire con rigore “semplici procedure” per garantire e standardizzare i processi di riparazione insieme ai prodotti riconquistati a seconda vita.

Ciò ridurrebbe non solo i rifiuti attraverso la realizzazione di centri di riparazione e riuso ma l’intera impronta ecologica necessaria, specialmente se comparata con la necessità di prelievi ed emissioni correlati all’acquisto di nuovi prodotti. Senza sottovalutare, poi, che quest’approccio darebbe impulso a piattaforme di smontaggio e montaggio, di riparazione e di commercializzazione in grado di fornire possibilità di piccole imprese (falegnamerie, sartorie, officine meccaniche, commercio di vintage e di prodotti usati) e quindi di posti di lavoro.

È lo stesso Ministero dell’Ambiente che nel 2015 ha affermato (in base ad uno studio svolto insieme al Centro di Ricerca “Occhio del Riciclone”) che il settore dell’usato, pur senza disporre di nessun aiuto pubblico, già allora “valeva” oltre 80.000 posti di lavoro a livello nazionale. Favorendolo con agevolazioni e semplificazioni crediamo che sia ragionevole prevederne il raddoppio nel giro di appena tre anni. D’altronde, in uno studio svolto nel 2007 da un centro studi negli Usa e riferito ai rifiuti prodotti dalla città di Los Angeles, si è “scoperto” che i rifiuti ingombranti che lì rappresentavano appena il 2% del totale rifiuti della città avevano un valore potenziale del 39% del valore economico dell’insieme di tutti i rifiuti.

In altre parole recuperare elettrodomestici, mobili, biciclette ecc. a livello economico è di gran lunga più remunerabile del riciclo e della vendita di carta, vetro, metalli, polimeri ecc. Ci si accorge così come i “bulky item” (gli ingombranti) siano un’altra di quelle “miniere di valore” indicate dalla stessa Ue per attivare in concreto l’economia circolare.



Ecco perché ancora richiamiamo l’opportunità del Recovery Plan non solo quale opportunità di finanziamento per questo settore (anche la digitalizzazione è funzionale al reperimento, allo scambio e/o vendita di tali prodotti dando sviluppo ad apposite app) ma anche quale necessità di opportune “riforme normative” tra l’altro a costo zero. Così, oltre al decreto attuativo di cui sopra, questa attenzione all’importanza dell’allungamento del ciclo di vita dei prodotti chiediamo che divenga occasione anche per l’approvazione di una legge sul modello di ciò che è avvenuto in Svezia, dove dal 2017 vengono forniti sgravi fiscali dal 25 al 12% per coloro che dimostrano di aver fatto riparare scarpe, biciclette, elettrodomestici, computer ecc.

Ma in Italia i decisori politici sono ancora affascinati dalle “rottamazioni” e dai Black Friday. Ecco perché ho ancora più apprezzato la sollecitazione della parlamentare Ilaria Fontana! Grazie dal Movimento Zero Waste!

fonte: www.ilfattoquotidiano.it


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Taranto, ipotesi di impianto da 100mila tonnellate annue di Plasmix: tutti i dubbi di Zero Waste Puglia

Rifiuti plastici non riciclabili che diventerebbero SRA (Secondary Reducing Agent) da usare negli altoforni Ilva o C.S.S. da bruciare nei cementifici: "Proposta in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche"




Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa di Zero Waste Puglia che accende i riflettori sul progetto della milanese Unità di Misura, una proposta che secondo l'associazione "andrebbe rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali".

Un impianto per il trattamento di 100.000 tonnellate/anno di rifiuti plastici non riciclabili, cosiddetto plasmix, che opportunamente preparati diventano SRA (Secondary Reducing Agent) per utilizzo negli altoforni in sostituzione del carbone per la produzione di acciaio e/o C.S.S. (Combustibile Solido Secondario) da bruciare nei cementifici.


Secondo l’istanza presenta alla Provincia di Taranto da Unità di Misura S.r.l. di Milano per l’ottenimento del Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale (PAUR), l’impianto avrà sede nell’area di sviluppo industriale di Taranto, in località Pantano sulla S.S. Jonica 106. Avrà una capacità di trattamento per tre volte la produzione di plasmix dell’intera regione Puglia e più di un quarto di tutta la plastica avviata a recupero energetico nel 2018 in Italia.

Il Proponente presenta come qualificante la tecnologia BEST che da una breve ricerca si è rilevata come precaria e senza precedenti operativi (vedi rif. https://bit.ly/2EANAwu, https://bit.ly/2D07Ozr ). In definitiva tale referenza non depone a favore della qualifica tecnico-organizzativa della società Proponente.

La tecnologia di preparazione dello SRA è sicuramente matura, ma in tutti gli esempi internazionalmente noti la sua messa a punto specifica ha visto la compartecipazione attiva dell'utilizzatore finale (l'acciaieria per intenderci). Prima di tutto l'alimentazione dello SRA comporta delle modifiche strutturali all'altoforno, incluso l'impianto di stoccaggio e alimentazione dello SRA. La composizione e la granulometria dello SRA sono decisivi nella validazione del suo uso nello specifico altoforno. Non siamo riusciti a determinare se ILVA ha già esperienza di uso dello SRA e se ha emesso delle specifiche tecniche cui i vari fornitori si devono conformare. Senza tale indicazione e garanzia, la fornitura di SRA a destinazione ex-ILVA o altra acciaieria è del tutto aleatoria. Facciamo notare che il prodotto finale dell'impianto proposto è definito dal Proponente come SRA oppure CSS (Relazione tecnica - pag.10). Chiunque noterebbe l'assurdità dell'investimento se fallisse la fornitura di SRA all’impianto ex-ILVA o altra acciaieria. Mentre il Proponente accenna a un accordo con COREPLA per la fornitura dei rifiuti in ingresso, non si accenna neanche minimamente ad accordi o sperimentazioni fatte con Arcelor Mittal o altra acciaieria relativamente all'utilizzo dello SRA prodotto negli altoforni.

Non abbiamo trovato traccia delle condizioni economiche di fornitura dello SRA, essenziale per valutare il piano finanziario su cui si regge l'iniziativa proposta. A nostro parere questo resta un'incognita decisiva da risolvere prima di qualsiasi validazione del progetto.

Nella Relazione Tecnica si cita la norma UNI10667-17 come standard tecnico per lo SRA. Ma non si afferma esplicitamente che tale normativa sarà seguita e garantita dal Proponente in fase operativa. Né si descrivono le procedure di controllo di conformità a tale normativa dello SRA prodotto.


Il Proponente definisce la produzione di SRA come un processo di "riciclo chimico". Abbiamo forti dubbi che l’Agente Riducente Secondario (SRA) sia considerato come riciclo dalle norme europee, visto che distrugge materia. Diventa però essenziale la garanzia che il prodotto finale sia destinato a SRA e non a CSS per cementifici. Nel secondo caso infatti NON potrebbe essere classificato come "riciclo" e tra l'altro penalizzerebbe l'obiettivo obbligatorio relativo alle quantità di plastica riciclata da raggiungere in accordo alle recenti normative UE. Da notare altresì che i recenti accordi fra Stati membri hanno incluso una nuova tassa sulla plastica non riciclata. Che - per la quota parte di prodotto destinata a CSS - sarebbe a carico dello Stato e non del Proponente.

Il Proponente elenca i codici CER relativi alle materie prime usate nell'impianto. A nostro parere sono inammissibili due di essi:

- 150102/rifiuti da imballaggi in plastica da RD. Non trattandosi di scarti della selezione, si rischierebbe una competizione negativa con le piattaforme di selezione meccanica della plastica da RD, da avviare al riciclo come nuovi imballaggi;

- 191219/CDR o CSS. Trattandosi di un materiale già trattato e destinato a recupero energetico non si capisce l'utilità di trattarlo ulteriormente per fargli fare la stessa fine.

La stima di riduzione delle emissioni di CO2 è basata sull'utilizzo dello SRA in sostituzione del 6-13% di coke negli altoforni. Tale beneficio verrebbe completamente meno se l'impianto producesse CSS invece di SRA.

Alcune osservazioni minori e formali sulla Relazione Tecnica:

- a pag. 7 si indica al 26% l'obiettivo di riciclo degli imballaggi in plastica, mentre le recenti Direttive UE impongono l'obiettivo del 50% al 2025. Questa osservazione rileva in quanto l'impianto proposto contribuirebbe al raggiungimento dell'obiettivo solo nella misura in cui producesse effettivamente SRA da utilizzare in acciaieria. Ragione per cui l'ottenimento della garanzia dell'utilizzo finale dello SRA dovrebbe far parte della procedura di rilascio dell'autorizzazione alla sua realizzazione ed esercizio;

- alle pag. 59 e 72 della Relazione Tecnica la terza colonna delle Tabelle 5-4, 5-5 e 9-2 deve essere corretta indicando (m3) e non (ton).

In conclusione a nostro parere sono eccessivi i dubbi sulla proposta e le evidenze ad essa contrarie. La proposta andrebbe dunque rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali.

fonte: www.ecodallecitta.it


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La spesa sfusa a domicilio, senza imballi e vuoti a rendere per ridurre il consumo di plastica


















ZeroWaste è la parola d’ordine del momento non solo dei più convinti ambientalisti. Anche di Tom Dean e Caterina Rossi Cairo fondatori di portaNatura che hanno come obiettivo di risparmiare oltre 11mila confezioni di plastica e 5.500 confezioni di uova all’anno. E non solo. La loro azienda fondata nel 2009 a Novi Ligure, sulle verdi colline del Gavi, in Piemonte, che consegna spesa sfusa biologica davanti alla porta di casa con meno imballaggio possibile si impegna a riutilizzare le scatole di cartone con cui avviene il trasporto fino a cinque volte. Un servizio nuovo in Italia che vuole diminuire sempre di più l’uso di packaging e plastica e un impegno a favore della sostenibilità raddoppiato a partire da gennaio 2020.
Alla base la conversione all’agricoltura biologica e biodinamica
Alla base della loro scelta di vita la conversione della fattoria Cascina del Melo all’agricoltura biologica e biodinamica. Stesso destino anche per La Raia, l’azienda agricola della famiglia di Caterina. Ma qual è di preciso l’attività della realtà piemontese e come si differenzia dagli altri? Tramite e-commerce, dal sito portaNatura, nella sezione “ZeroWaste” (https://portanatura.it/category/zero-waste-products/)si scelgono i prodotti sfusi che verranno consegnati a Milano, Torino, Genova, Alessandria, Novi Ligure in speciali barattoli di vetro che contribuiscono a conservare al meglio le qualità del prodotto. Alla successiva spesa il cliente riconsegna i barattoli vuoti e riceve quelli pieni. Ogni barattolo viene igienizzato e preparato per una nuova “missione”, senza sprechi e rifiuti. E quali ‘articoli’ si possono avere? Lo sfuso biologico di portaNatura riguarda per ora 70 generi alimentari, che si aggiungono agli oltre 100 tipi di frutta e verdura biologica da sempre consegnati sfusi, senza vaschette di plastica o cellophane. Da diverse qualità di pasta e riso, ai legumi, alle lenticchie, alla quinoa, frutta secca, zucchero, muesli, avena, succo di mele, zuppe miste, uova, farine.
L’offerta è costituita da riso, pasta, legumi, uova, cereali
L’offerta iniziale di 70 prodotti, destinata ad aumentare nel tempo, comprende: riso Baldo, riso Basmati, riso Rosa Marchetti, molti tipi di pasta, farro, miglio, avena, diverse tipologie di farina, lenticchie, piselli, fagioli, ceci, semi misti, brodo, frutta secca, zucchero, muesli, quinoa, succo di mele, uova e zuppe mix. E da dove arrivano le ‘materie prime’ di portaNatura? Provengono dai produttori e contadini attivi nelle zone limitrofe che collaborano a inviare le loro coltivazioni biologiche certificate. Alcuni nomi: le Cascine Belvedere di Bianzé(VC), le Cascine Orsine, fondate da Giulia Maria Crespi, ex presidente FAI e pioniera dell’agricoltura biodinamica, da Claudio Olivero di Monasterolo di Savigliano(CN) che alleva con cereali, semi di lino e canapa le sue galline, dalla cooperativa Iris Bio di Calvatore(CR), da Paola e Carlo Del Cerreto di Pisa, agriturismo e azienda agricola. In futuro l’azienda, che ha un fatturato in crescita, intende allargare le collaborazioni ad altri produttori locali.
Un passo concreto per contribuire alla strategia europea per la lotta all’inquinamento da plastica
La proposta Zero Waste di portaNatura vuole essere un nuovo passo concreto e quotidiano per praticare concretamente la strategia europea per la lotta all’inquinamento da plastica.Secondo il Rapporto 2019 dell’Agenzia europea per l’ambiente la domanda di plastica sta infatti continuando a crescere rapidamente in tutto il mondo: il consumo di plastica nel 2017 si è attestato a 53 milioni di tonnellate nei 28 Stati membri dell’Ue(ultimi dati disponibili), mentre nel 2010 era di 46 milioni di tonnellate; la produzione mondiale di plastica nel 2017 è cresciuta di 13 milioni di tonnellate aggiuntive rispetto all’anno precedente, arrivando a 348 milioni di tonnellate; solo il 31% dei rifiuti plastici viene recuperato e riciclato in Europa, e solo il 6% della domanda di plastica è coperta da materiale ottenuto dal riciclo. Fortunatamente anche il movimento Zero Waste sta crescendo, in Italia e nel mondo, in particolare tra le generazione Millennials, stimolato anche dai Fridays for Future del 2019. Zero Waste è l’arte di vivere senza creare spazzatura. L’obiettivo è non inviare niente alla discarica, riducendo ciò di cui si ha bisogno, riutilizzando il più possibile, riciclando e compostando il poco che resta.

fonte: https://www.corriere.it

Prima bottiglia in plastica 100% riciclata, perchè in Francia è possibile e in Italia no

In Italia non è possibile commercializzare bottiglie realizzate totalmente in plastica riciclata perchè una norma del 2010, il Dm salute n. 113, consente di utilizzare al massimo il 50% di plastica riciclata per motivi di tutela della salute che però non trovano riscontro nelle norme comunitarie
















In Francia, da novembre 2019, è possibile acquistare nei supermercati acqua minerale in bottiglie realizzate in Pet 100% riciclato ottenuto da altre bottiglie. L'azienda produttrice è la Vittel, di proprietà di Nestlè Water. Il lancio della prima bottiglia è stato accompagnato da una campagna di comunicazione sulle tv francesi con lo slogan: “Le bottiglie non diventano mai rifiuti ma nuove risorse”.
Nestlé Water ha collocato la commercializzazione del nuovo prodotto nella propria tabella di marcia redatta in seguito al Patto nazionale per ridurre gli imballaggi, promosso dal Ministero della Transizione Ecologica e siglato a febbraio 2019. Si legge nel testo che le aziende firmatarie utilizzeranno entro il 2025 in media il 30% di plastica riciclata negli imballaggi, rendendo pubblici i loro obiettivi. Ma con la firma del Patto le stesse aziende sono altresì invitate a impegnarsi “a concepire ecologicamente gli imballaggi per renderli riutilizzabili, riciclabili al 100% da qui al 2025”.
Tra le associazioni che hanno aderito c’è il WWF Francia, mentre tra quelle più scettiche c’è Zero Waste, che nel giorno in cui il Patto è stato firmato ha chiesto al governo “di adottare con urgenza misure obbligatorie perché un patto volontario non sarà sufficiente per combattere l’inquinamento da plastica”.
In Italia il legislatore frena la tecnologia per motivi di “salute”
In Italia invece non è possibile commercializzare bottiglie realizzate totalmente in plastica riciclata. Una norma del 2010, il Dm salute n. 113, consente infatti di produrre bottiglie destinate al contatto con sostanze alimentari utilizzando al massimo il 50% di plastica riciclata. Rispetto al divieto assoluto di utilizzare Pet riciclato negli imballaggi per alimenti, fissato dall’articolo 13 del Dm del 1973, la deroga del 50% introdotta nel 2010, che vale per bottiglie e vaschette, ha di certo rappresentato un notevole passo avanti. Ma la normativa italiana è comunque in ritardo a fronte della realtà tecnologica, che oggi per esempio permette di produrre preforme per bottiglie per uso alimentare con plastica 100% riciclata, come “xtreme renew” sviluppata da Sipa (Zoppas Industries), un prodotto che “riduce del 30% il consumo energetico rispetto ai processi tradizionali e taglia le emissioni di Co2 dell’80% circa”. Lo hanno dichiarato i vertici aziendali ricevendo il premio della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in occasione di Ecomondo 2019, a Rimini. Il riconoscimento, assegnato per la categoria “Circular economy”, non è l’unico che l’azienda ha ricevuto; a maggio era infatti arrivato il premio “World star packaging award” che ogni anno seleziona le migliori soluzioni per l’imballaggio e premia per il design o - come in questo caso - l’innovazione tecnologica applicata.
Normativa italiana/europea
Di fatto il legislatore italiano, a differenza di quello francese, vieta la commercializzazione di imballaggi per uso alimentare che contengano più della metà di plastica riciclata per motivazioni legate alla tutela della salute. Motivazioni che però non sempre trovano adeguato riscontro nella normativa dell'Unione Europea.
Per esempio il citato Dm del ’73 con l’articolo 13-ter ha la deroga del 50% di pet riciclato, ma consente la produzione di bottiglie in polietilentereftalato solo a condizione che le bottiglie di recupero siano costituite da pet originariamente destinato al contatto con gli alimentiInoltre i produttori devono dimostrare, con apposita documentazione, la conformità del prodotto finale all’articolo 3 del Regolamento comunitario 1935/2004. Quest’ultimo richiede il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione per evitare che l’imballaggio trasferisca ai prodotti alimentari componenti in quantità tali da costituire un pericolo per la salute umana o da modificare e deteriorare i prodotti alimentari imballati.
Un altro Regolamento CE, 282/2008, consente di utilizzare plastica riciclata (proveniente da raccolta differenziata) per produrre imballaggi destinati al contatto alimentare purché siano conformi alle norme comunitarie.

Sono norme che coinvolgono anche la Francia ovviamente, ma ciò non  ha impedito al paese di permettere la commercializzazione di bottiglie in pet 100% riciclato. E' evidente che le disposizioni comunitarie sono state recepite dagli Stati membri con alcune differenze sulla valutazione della sicurezza e sulle autorizzazioni di processi di riciclo; differenze che per la Commissione andrebbero eliminate anche per evitare ostacoli alla libera circolazione di questi materiali.

La Sardegna si libera dalla plastica: appunti da un viaggio “zero waste”

È davvero possibile una vacanza “plastic free”? Pur partendo ben attrezzati, è facile incontrare degli ostacoli. Un racconto dall’isola che ha la maggiore estensione regionale di coste d’Italia. “Per ridurre l’inquinamento è necessaria la cooperazione tra istituzioni, aziende, associazioni e cittadini”, dice Legambiente Sardegna

Una foto tratta dalla mostra “Pesce fuor d'acqua”, il progetto fotografico di Carla de Gioannis e Gaetano Mura @Carla de Gioannis


Nascosto dietro a un sasso nella sabbia bianca, un insetto nero dalle lunghe antenne mi guarda dal basso verso l’alto. Ci metto qualche secondo a realizzare che è di plastica. Siamo partiti per la Sardegna attrezzati per un campeggio zero waste: nello zaino borraccia, ciotole, bicchieri infrangibili, posate di metallo, tovaglioli, sacchetti di cotone- proprio come suggerisce Elisa Nicoli nelle pagine di “Plastica addio” dedicate ai “viaggi sostenibili”. Ma è davvero possibile, nell’agosto 2019, fare una vacanza plastic free?
Alcune plastiche sono state per noi inevitabili: così, abbiamo deciso di raccoglierle tutte e riportarle a casa. Abbiamo pensato, come palliativo, che un sacchetto di due settimane di rifiuti di plastica potesse essere, se non altro, spunto per una riflessione sui nostri consumi. Contiene: quattro bottiglie d’acqua, tre pellicole che ricoprivano delle riviste, una confezione che conteneva degli auricolari, la confezione di uno spazzolino (più lo spazzolino), sei confezioni di altrettanti ghiaccioli, quattro confezioni di crackers, due vasetti di yogurt, un cucchiaino, una cannuccia e due bicchierini del caffè. Oltre a una formina rosa fluo e l’insetto nero a pois che abbiamo trovato sulle spiagge.

Dannate bottigliette a parte -purtroppo non sempre è stato possibile riempire le borracce, avere l’acqua in bicchiere o in bottiglie di vetro-, la nostra principale fonte di rifiuti sono stati i gelati. Ne abbiamo consumati di due marche: Motta (del gruppo Nestlé) e Algida (Unilever). Curioso, perché entrambi questi colossi hanno da poco annunciato grandi cambiamenti nella gestione degli imballaggi. Ma con calma, la “rivoluzione” non si vedrà prima del 2025. Stiamo parlando di altri sei anni: non è poco tempo, di questi tempi.
Lo scorso gennaio, Nestlé ha definito la propria “visione per un futuro senza rifiuti”, annunciando una serie di azioni specifiche per riuscire a rendere entro il 2025 il 100% dei propri imballaggi riciclabili o riutilizzabili, entro il 2025. Nestlé si è anche dichiarata consapevole che “la riciclabilità al 100% non è sufficiente per affrontare con successo il problema dei rifiuti di plastica” ed è allo studio su altri “materiali riciclabili e compostabili a base di carta e polimeri biodegradabili” (come questi che stanno già sperimentando in Giappone per il KitKat). D’altra parte, la multinazionale è al lavoro con l’azienda Loop “per sviluppare imballaggi riutilizzabili”, con cui Nestlé stima di eliminare oltre 40mila tonnellate di plastica già nel 2019. I primi esperimenti con i gelati (a oggi solo negli Usa) sono stati i contenitori riutilizzabili in acciaio a doppia parete, per i prodotti a marchio Häagen-Dazs.
Mentre scartavamo un altro gelato Algida, invece, la multinazionale del gruppo Unilever era in tour (l’“Algida time”) con WWF Italia attraverso 400 stabilimenti balneari “per imparare, in modo divertente, quali sono i comportamenti più sostenibili da tenere in spiaggia per far sì che mare e coste siano sempre belli e puliti anche grazie a piccoli gesti”, come si legge nella presentazione dell’evento. Un altro marchio Unilever, il gelato Carte d’Or, aveva già collaborato con WWF lanciando sul mercato, lo scorso aprile, una nuova confezione “compostabile e riciclabile che potrà essere smaltita sia nel contenitore della carta, sia nella raccolta differenziata dei rifiuti organici”, a seconda delle norme comunali. È infatti realizzata in carta certificata PEFC, accoppiata con uno strato di PLA (acido polilattico, una bioplastica derivata dal mais). Il risultato è l’eliminazione di 520 tonnellate di plastica in un anno, per 11 milioni di vaschette “ripensate” in chiave ecologica.
Con la sua strategia internazionale, anche Unilever sta provando a ridurre la quantità di plastica prodotta, ad esempio proponendo ai supermercati i nuovi Solero nella confezione senza involucro di plastica. “Entro il 2020 l’impatto dei rifiuti sarà dimezzato -dichiara la multinazionale-; entro il 2025 tutti i packaging dei prodotti Unilever presenti nel mondo saranno completamente riutilizzabili, riciclabili o compostabili e sarà convertito il 25% degli imballaggi in plastica in materiali riciclati o in PCR (la reazione a catena della polimerasi, ndr)”.
Ma se ci si trova in Sardegna, per chi ne ha la possibilità, la scelta migliore è andare nella pasticceria i Fenu, a Cagliari (dove sta nascendo anche la food coop Mesa Noa): oltre a usare solo materie prime di stagione, i premiati Fabrizio e Maurizia hanno eliminato il polistirolo e le coppette di plastica in favore di materiali biodegradabili.
Nella settimana di ferragosto un’alternativa era aderire all’iniziativa dell’azienda di gelati sardi Bolmea che, in cambio di un secchiello colmo di rifiuti raccolti sulle spiagge di Valledoria (SS), Trinità d’Agultu e Vignola (SS), Porto Rotondo (OT) e Porto Istana (OT) -nel Nord dell’isola- e Tortolì (OG), a Est, offriva la “coppetta del riciclo”, preparata con ingredienti 100% sardi.

Ma sono anche altre le sorprese dalla Sardegna libera dalla plastica. Scendendo a Sud, ad esempio, la sindaca di Pula (CA), Carla Medau, -prendendo a modello la Regione Abruzzo- ha concretizzato un percorso partecipativo per ridurre il consumo di plastica. Lo scorso luglio è stato firmato il protocollo d’intesa “Pula insieme per l’ambiente”, con l’intento di “passare dall’imposizione di un obbligo stabilito da un’ordinanza (che era stata fatta in precedenza per vietare le plastiche monouso e ridurre il consumo di plastica, ndr), alla condivisione partecipata, dove tutti sono protagonisti attivi e consapevoli della tutela del proprio territorio”, ha spiegato Medau. Il protocollo, primo in Sardegna, è il risultato di un percorso condiviso da cittadini, commercianti, associazioni e istituzioni locali per eliminare la plastica monouso non solo dalle spiagge, dai locali e dalle manifestazioni pubbliche, ma anche dalle mense scolastiche e dalle strutture socio-sanitarie del Comune.

Anche Legambiente Sardegna ha aderito al protocollo d’intesa di Pula, confermando il proprio impegno a favore della riduzione della plastica e dei rifiuti. “Quest’anno l’associazione è stata partner dell’azienda sarda produttrice di birra, l’Ichnusa (gruppo Heineken), per la campagna #ilnostroimpegno durante la quale -insieme anche a Cagliari Calcio e Dinamo Sassari- abbiamo raccolto in varie tappe rifiuti abbandonati sull’isola”, spiega Annalisa Colombu, la presidente sarda di Legambiente.
Ichnusa è un’azienda sensibile alla tutela del territorio: tra le sue ultime iniziative c’è il “Vuoto a buon rendere”. Si nota per il tappo verde con il disegno della Sardegna sulle bottiglie, che saranno recuperate dall’azienda riducendo così di oltre un terzo le emissioni di gas effetto serra.
Oltre che con le aziende, Legambiente sta collaborando con diverse istituzioni regionali -tra cui l’Arpas con la sua marine strategy per la tutela delle acque, il Cnr di Oristano, l’Università di Cagliari e le cooperative di pescatori- per ridurre l’impatto ambientale sull’isola. “Siamo inoltre vicini ai Comuni che vogliono essere plastic free –dice Colombu-. Il primo nel 2018 è stato Domus de Maria (CA), a cui ora se ne sono uniti molti altri. Non sono solo Comuni costieri e i più piccoli si sono organizzati in Unioni e Comunità per raggiungere insieme l’obiettivo”.
Con l’indagine “Beach Litter” 2019, Legambiente Sardegna ha confermato che i rifiuti in plastica (in particolare usa e getta) continuano a invadere i litorali. Nelle cinque spiagge sarde monitorate, su circa 9mila metri quadrati, sono stati trovati in media 1.237 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia: il 94% era plastica (dato significativamente maggiore rispetto all’81% della media nazionale). “Non dimentichiamo che la nostra è la Regione italiana con la maggiore estensione di coste: essere operativi per ridurre l’inquinamento da rifiuti sarebbe un vantaggio per tutti. Ma per farlo è necessaria la cooperazione tra istituzioni, aziende, associazioni e cittadini”, conclude Colombu.

Altre iniziative culturali “plastic free” in Sardegna

La mostra “Pesce fuor d’acqua”, il progetto fotografico di Carla de Gioannis e Gaetano Mura. Quest’anno, l’Acquario di Cala Gonone (NU) ha incentrato la sua proposta didattica sull’inquinamento da plastica in mare, coinvolgendo oltre 4mila alunni nel laboratori di riciclo “Il riciclaquario”: recuperando i rifiuti in plastica, gli studenti hanno creato delle piccole opere d’arte.

“Basta con la plastica” è stato il primo evento organizzato in Italia, in collaborazione con il Parco Nazionale di La Maddalena ed Ecoshaker, dedicato al problema della plastica nel mare.

fonte: https://altreconomia.it/

Torna la RE BOAT RACE – Trofeo EUROMA 2

Torna a settembre la X SPECIAL EDITION della REGATA RICICLATA – RE BOAT NATIONAL RACE 2019, la regata di imbarcazioni realizzate con oggetti di recupero.

Re Boat National Race – Già attivi tre diversi CONTEST!














A Settembre torna la Re Boat Race – Trofeo Euroma 2, la prima regata in Italia d’imbarcazioni costruite con materiali di riciclo. Un evento green – definito da tutti il più folle e colorato di fine estate – che accoglie chiunque abbia voglia di porsi in gioco in una divertente avventura e sperimentare, sul campo, le proprie capacità tecnico/creative.


I 3 CONTEST


Tuttavia la novità di questa stagione sono i 3 contest che hanno preso il via con il propedeutico progetto FAI LA DIFFERENZA, C’E’… CONTEST-AZIONI, parte integrante del programma EUREKA 2019 – ROMA CAPITALE:
– il RE BOAT NATIONAL CONTEST, che, omaggiando Leonardo Da Vinci, nei 500 anni dalla sua morte, nasce per dare più qualità alle recycled boat attraverso la progettazione!
CONTESTECO, oggi Premio METRO 2019 – L’esposizione e il concorso d’arte e design + eco del web
FAI LA DIFFERENZA… RECUPERA E RIUSA IN CUCINA! senza sprecare né acqua, né cibo! per raccontare attraverso le ricette della tradizione il recupero e riuso di quello che sembrano pietanze di scarto e non lo sono.






LUGLIO 2019: PROGETTAZIONE E COSTRUZIONE DI UNA RECYCLED BOAT CON I TUTOR DELLA REGATA RICICLATA


In questa edizione, lo Staff propone ai diversi Green Team che lo richiederanno, un incontro propedeutico alla progettazione e alla costruzione delle recycled boat, dal titolo “DA VENTI A TRENTA-NON SOLO REGATA RICICLATA…”


Un incontro ludico\tecnico di circa 2 ore per comprendere meglio non solo la regata, ma soprattutto per condividere e sensibilizzare bambini e ragazzi sugli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile del pianeta, che sarà il contenuto principale della X edizione della RE BOAT NATIONAL RACE. Tutto sotto l’egida del Re Boat National Contest e dell’obiettivo “zero Waste”: come disse Leonardo da Vinci infatti “non esiste cosa che possa essere considerata un rifiuto“.


La REGATA RICICLATA ha un profondo spirito sportivo e un sano incentivo all’emulazione e al confronto: proprio per queste ragioni esortiamo Centri Estivi, Centri Sportivi, Stabilimenti Balneari, Associazioni Sportive e Centri Velici a partecipare alla regata, “giocando e condividendo con noi” il piacere di questa inconsueta avventura.


Partecipare vuol dire sfidare altri Green Team, quando il gioco si fa duro… ci si diverte tanto di più!






LA X SPECIAL EDITION DELLA REGATA RICICLATA


Questa stagione, d’altronde, la X Special Edition della REGATA RICICLATA proporrà oltre alle consuete iniziative dedicate alla costruzione delle imbarcazioni riciclate, incontri e laboratori, tutti gratuiti, per sensibilizzare i giovani e meno giovani alla scoperta dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (OSS) – dell’Agenda 2030: una serie d’incontri, laboratori e attività green & educational; racconti, progettazione e creatività, confronti e iniziative d’intrattenimento, per raccontare gli OSS – universali, trasformazionali e inclusivi – che descrivono le maggiori sfide dello sviluppo per l’umanità e interagiscono in modo trasversale in cinque aree strategiche declinate in obiettivi strategici nazionali: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership.


Così dal 1° al 26 settembre circa tante le iniziative ludico e sportive, green & educational che si snoderanno tra il Parco degli Scipioni, il Centro Commerciale Euroma 2 e il Parco Centrale del Lago dell’EUR, che daranno vita a un unico grande percorso di EVENTI SOSTENIBILI a ROMA.


Ritornando alla regata riciclata, chiunque può porsi in gioco nella progettazione e costruzione di una recycled boat! Dalle famiglie ai gruppi di amici, dai circoli sportivi ai centri estivi, o ancora, dalle associazioni culturali alle onlus: tutti possono creare la propria imbarcazione riciclata, ovunque. È possibile infatti costruire la propria recycled boat in qualsiasi luogo si voglia: nel giardino di casa, nel proprio garage, in un centro estivo o centro sportivo; nella propria officina o nel cortile del proprio condominio.






Oppure l’appuntamento è presso il Parco degli Scipioni nel contesto de la Città in Tasca: da Domenica 1° settembre infatti aprirà ufficialmente alle ore 17.00 il Cantiere delle Re Boat.


Per quindici giorni, fino al 18 Settembre, LA CITTÀ IN TASCA ospita un cantiere in cui progettare e costruire colorate e fantasiose recycled boat, dove i partecipanti troveranno a disposizione una “dispensa” piena di oggetti da riusare e acciaio, plastica, legno, carta e cartone. Tutti i giorni dalle ore 16.00 alle ore 20.00 il Cantiere sarà presidiato da 2 tutor che aiuteranno i Green Team, con consigli e indicazioni di natura tecnica a concludere la loro imbarcazione riciclata che Domenica 22 Settembre, al Parco Centrale del Lago dell’EUR di Roma, parteciperà alla X edizione della Re Boat National Race – Trofeo Euroma2, la regata riciclata più folle e divertente di fine estate. Per quei Green Team che vorranno completare i lavori in tempo utile, il Cantiere sarà accessibile anche senza tutor, tutti i giorni in orari da concordare.






Info per il pubblico:


www.regatariciclata.it






fonte: www.rinnovabili.it

Plastica addio

Fare a meno della plastica: istruzioni per un mondo e una vita "zero waste"di Elisa Nicoli e Chiara Spadaro





I numeri non lasciano scampo: la produzione mondiale di plastica è di circa 350 milioni di tonnellate. Ed è destinata ad aumentare ancora.

Una vita senza plastica? Si può fare!
Questo libro spiega perché fermare la plastica è un imperativo categorico e come sia possibile farne a meno.

Nei nostri mari finiscono ogni anno 8 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Da quando esistono i materiali plastici meno del 10% è stato riciclato e in natura sono dispersi 6,3 miliardi di tonnellate di plastica. La plastica costituisce il terzo materiale umano più diffuso sulla Terra dopo l’acciaio e il cemento. I sacchetti di plastica sono il prodotto di consumo più diffuso al mondo.

Il messaggio è forte e chiaro, per invertire la tendenza c’è un solo modo: smettere di usare plastica, soprattutto quella usa-e-getta, e di produrla.

La plastica è un potente simbolo della modernità ma anche delle sue contraddizioni. Le tonnellate di rifiuti che infestano gli oceani e le microplastiche che minacciano la nostra salute non sono che il riflesso di un’economia fondata sulla “crescita” illimitata.

L’unica vera soluzione – in attesa di un’economia “circolare” – è produrre meno plastica o non produrne affatto. Nel nostro piccolo tutti noi possiamo passare all’azione e liberarci dall’ingombrante plastica quotidiana. In queste pagine le autrici forniscono preziosi consigli pratici per iniziare una vita “zero waste”: dalla spesa alla cura della casa, dalla cosmesi agli abiti, dall’ufficio ai viaggi. Per iniziare, mettiamo al bando la plastica monouso e sostituiamo i “plasticoni” con oggetti belli e duraturi. Saremo più sani, più consapevoli e più felici.

In prefazione l’intervista a Paola Antonelli – senior curator del Dipartimento di architettura e design del MoMa di New York. curatrice della XXII Triennale di Milano “Broken Nature. Design Takes on Human Survival”
Gli autori
Elisa Nicoli

Regista di documentari e scrittrice, Elisa Nicoli è una grande camminatrice ed esperta di autoproduzione. È autrice tra gli altri di libri quali “L’erba del vicino”, “Pulizie creative” e della guida “L’Italia selvaggia” (Altreconomia). I suoi siti sono elisanicoli.it e autoproduco.it
Chiara Spadaro

Laureata in Antropologia culturale, da dieci anni scrive per il mensile Altreconomia, occupandosi principalmente di tematiche ambientali e socio-culturali. È autrice di numerosi libri, tutti pubblicati da Altreconomia edizioni: l'ultimo è “Canapa revolution. Tutto quello che c'è da sapere sulla cannabis” (2018). Il libro “Adesso pasta!” (Altreconomia, 2011) è stato insignito nel 2013 del premio del Museo nazionale delle paste alimentari. Nel 2015 ha vinto il premio per giovani giornalisti Massimiliano Goattin con il progetto “Cemento Arricchito”: un’inchiesta sulle grandi opere e le resistenze ambientali in Veneto. Nel 2013 ha ricevuto i premi di giornalismo Penna d'oca, Alfio Menegazzo e l'Agricoltura civica award.


fonte: https://altreconomia.it/