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PlasticsEurope favorevole all'obbligo di riciclato negli imballaggi

 










Secondo l'associazione europea dei produttori di materie plastiche serviranno ingenti investimenti e non si potrà fare a meno del riciclo chimico.

PlasticsEurope accoglie con favore la 

Polistirene 100% da riciclo meccanico

Ineos Styrolution introduce nella regione EMEA la nuova serie Styrolution PS ECO 440 anche per applicazioni di imballaggio alimentare.















Ineos Styrolution ha introdotto il primo grado di polistirene rigenerato al 100%, ottenuto da riciclo meccanico grazie ad un avanzato impianto di selezione di rifiuti plastici con sensori al vicino infrarosso (NIR) forniti da Tomra, in grado di garantire una purezza del 99,9%.

Il grado Styrolution PS ECO 440 MR100, dove MR100 indica la percentuale di riciclato (100%), è disponibile nei colori bianco e grigio chiaro. É indicato per numerose applicazioni, anche nel packaging alimentare (strato interno di vaschette XPS con all'esterno polimero vergine) e, a fine vita, può essere riciclato.

Ineos Styrolution prevede di produrre inizialmente, per la regione Emea, un migliaio di tonnellate di resine Styrolution PS ECO 440 , in linea con l'impegno di fornire in Europa materiale con in media il 30% di contenuto riciclato per applicazioni nel packaging entro il 2025.

fonte: www.polimerica.it


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In Turchia limiti all'import di rifiuti plastici

Vietato l'ingresso nel paese di rifiuti e scarti in polietilene e 'polimeri di etilene’ dopo indagine di Greenpeace su traffico illegale da Germania e Regno Unito.




In seguito ad un inchiesta di Greenpeace sull'esportazione di rifiuti plastici da Germania e Regno Unito verso la Turchia, dove vengono abbandonati nell'ambiente o smaltiti illegalmente (“Trashed: how the UK is still dumping plastic waste on the rest of the world”), il governo di Ankara ha deciso di introdurre limiti più severi all'importazione.

Una circolare del Ministero del Commercio (QUI l'originale) proibisce infatti, dal prossimo 2 luglio, l'importazione nel paese di rifiuti e scarti di polietilene e, più in generale, dei 'polimeri di etilene’ con codice doganale 3915.10.00.00.00.
La Turchia aveva già vietato da gennaio l'ingresso nel paese di rifiuti di plastiche miste.

Sul tema è intervenuta anche PlasticsEurope, associazione dei produttori europei di materie plastiche, condannando le pratiche di traffico e smaltimento illegale di rifiuti plastici e chiedendo alle autorità europee controlli più severi sulle spedizioni in uscita dal continente.

fonte: www.polimerica.it

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Una flotta contro il marine litter

Il Ministero dell'Ambiente affida al Consorzio Castalia un nuovo servizio antinquinamento che prevede anche la mappatura e raccolta di rifiuti galleggianti.











Poco prima di Natale, il Ministero dell'Ambiente ha affidato al Consorzio Castalia un nuovo servizio antinquinamento marino basato su una flotta di 32 unità navali a noleggio specializzate nel contenimento e recupero di idrocarburi, sostanze derivate, olii minerali e rifiuti plastici galleggianti lungo le coste italiane.
In particolare, la raccolta di rifiuti marini galleggianti avverrà sia nelle aree marine protette che in quelle antistanti le foci dei fiumi.

Il contratto, della durata di due anni - affidato a seguito di gara comunitaria - consentirà di mappare la presenza, la quantità e la qualità dei rifiuti marini galleggianti e della plastica raccolti in mare, anche al fine di valutare idonee iniziative di contrasto in linea con gli impegni internazionali assunti dal nostro Paese (convenzione di Barcellona, strategia marina, ecc.).

In questa attività, il ministero è affiancato dal consorzio Corepla con il quale è stato sottoscritto l’estate scorsa un accordo per un progetto sperimentale di riciclo del materiale plastico recuperato dalla flotta di imbarcazioni.

fonte: www.polimerica.it


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Plastica, flacone vecchio 50 anni ripescato ad Ancona

Plastica, ripescato ad Ancona un flacone di detergente risalente a 50 anni fa: il prodotto è infatti uscito dal commercio negli anni '70.








Un flacone di plastica risalente agli anni ’70 è stato ripescato nel porto di Ancona, completamente intatto. È questa l’ultima dimostrazione dei danni ambientali che può causare questo materiale, noto per la sua estrema durata. La plastica più comune può richiedere infatti anche 500 anni per potersi degradare in Natura.

L’oggetto in questione veniva utilizzato per la distribuzione di un detergente domestico, famoso dagli anni ’50 agli anni ’70, quando poi la sua produzione è stata interrotta.

Plastica eterna nei mari

Il flacone in questione è stato rinvenuto nelle acque del porto di Ancona, così come già accennato. Il contenitore è stato intercettato da Pelikan, l’imbarcazione di Garbage Group pensata per la raccolta della plastica in mare, e ha destato subito allarme e curiosità.

Si tratta infatti di una confezione del Polivetro Sidol, un detergente a uso domestico uscito dal mercato negli anni ’70. Datare il flacone non è semplice, poiché questo prodotto è rimasto in commercio più di 20 anni, di conseguenza potrebbe essere addirittura più vecchio. In ogni caso, si presume siano almeno 50 anni che questo oggetto si trova abbandonato in mare.

Paolo Baldoni, CEO di Garbage Group, ha così commentato il rinvenimento:

La plastica è anche “capsula del tempo”, probabilmente la peggiore e più pericolosa di sempre proprio a causa della sua particolarissima durabilità. Ritrovare un flacone come questo può sembrare assurdo, ma la cosa ancora più grave è che un prodotto di questo genere può resistere tra i 400 e 500 anni in mare.

Baldoni, così come riferisce l’agenzia di stampa ANSA, ha anche rimarcato come l’inquinamento da plastica sia quasi sempre dovuto al comportamento non adeguato dei cittadini. Questi materiali possono essere infatti correttamente smaltiti e riciclati, purtroppo vengono invece spesso abbandonati nell’ambiente, per poi accumularsi nei mari e negli oceani. Una volta nelle acque, questo materiale minaccia la sopravvivenza di numerose specie marine, poiché scambiato per prede e ingerito per errore. Ancora, i frammenti di plastica – le cosiddette microplastiche – sono oggi il contaminante più diffuso, tanto da aver raggiunto le vette dell’Everest e le profondità della Fossa delle Marianne.


Fonte: ANSA

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Di' la tua sulla riduzione dei rifiuti di imballaggio

La Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica sulla revisione delle norme europee in tema di rifiuti da imballaggio.



C'è tempo fino al 6 gennaio 2021 per esprimere un parere sulla revisione delle norme europee in tema di riduzione dei rifiuti da imballaggio, partecipando alla consultazione pubblica lanciata nei mesi scorsi dalla Commissione europea (clicca QUI).

Scopo dell'iniziativa è coinvolgere cittadini e portatori d'interesse (produttori di materiali e imballaggi, converter, progettisti, utilizzatori, distributori e riciclatori) raccogliendo opinioni e suggerimenti sulle possibili misure di revisione della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. La Consultazione pubblica, in forma di questionario online, mira a migliorare la progettazione degli imballaggi per poterli riciclare e riutilizzare in modo economicamente efficiente e per ridurre la produzione di rifiuti di imballaggio.



Sebbene negli ultimi trent'anni si sia diffusa la tendenza ad alleggerire un'ampia gamma di formati di imballaggio, si è registrato un aumento globale dei relativi rifiuti - sostengono i promotori della Consultazione -. Inoltre, la progettazione degli imballaggi non tiene sufficientemente conto delle difficoltà e dei costi del trattamento di questo tipo di rifiuti (compresa la raccolta e la selezione), aumentando così il costo del riciclo.
I rifiuti di imballaggio non riciclati sono conferiti in discarica o inceneriti con conseguenze negative per l'ambiente, tra cui l'inquinamento atmosferico e le emissioni di gas a effetto serra.

Per partecipare: Riduzione dei rifiuti di imballaggio - revisione delle norme

fonte: www.polimerica.it


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Una piattaforma dati per tracciare i rifiuti plastici nell’ambiente

IBM entra a far parte di Alliance to End Plastic Waste; la collaborazione include lo sviluppo di una piattaforma dati per aiutare tutte le parti interessate lungo la value chain della plastica ad affrontare la sfida globale dei rifiuti










IBM e The Alliance to End Plastic Waste hanno annunciato che IBM entrerà a far parte di Alliance come Membro Sostenitore.

Alliance è un’organizzazione no-profit nata per riunire in un’unica comunità tutti i membri della value chain dei beni di consumo e della plastica per combattere la sfida globale relativa ai rifiuti. IBM collaborerà con Alliance per progettare una nuova piattaforma dati ospitata su IBM Cloud con l’obiettivo di tracciare i rifiuti plastici e contribuire al loro recupero a livello globale.

Chiamata Plastics Recovery Insight and Steering Model (“PRISM”) la piattaforma servirà come unica fonte di dati coerenti che forniranno informazioni sulle azioni intraprese da ONG, membri della value chain, comunità, autorità di regolamentazione e altre organizzazioni per migliorare le decisioni e i programmi di gestione dei rifiuti.

La piattaforma sarà progettata per consentire alle parti interessate di far confluire e unire vari set di dati in modo utili a collaborare e affrontare la sfida dei rifiuti plastici. Le principali aree di intervento comprendono: il consumo e la raccolta della plastica, i rifiuti plastici generati e dispersi nell’ambiente, la gestione dei rifiuti e le soluzioni di riciclo in atto. Ulteriori set di dati verranno inclusi man mano che lo strumento verrà ampliato.

“Un ostacolo molto significativo che dobbiamo affrontare nel combattere la sfida dello spreco di plastica è come riunire la moltitudine di dati esistenti in modo verificabile, flessibile e operativo”, ha detto Nick Kolesch, Vice Presidente per i Progetti, Alliance to End Plastic Waste. “IBM Cloud offre la flessibilità a tutti gli stakeholder e i partecipanti di contribuire in modo sicuro fornendo i propri dati, attraverso un percorso facile per la migrazione, l’hosting e l’accesso. Siamo lieti che IBM si sia unita ai nostri sforzi e siamo emozionati per il contributo in termini di soluzioni, tecnologie avanzate e capacità che IBM potrà apportare nel perseguimento della nostra missione”.

“La plastica gioca un ruolo essenziale nella nostra economia globale, dal semplice imballaggio per la spedizione, ai materiali critici e salvavita per gli ospedali e gli operatori sanitari”, ha detto Manish Chawla, Global Industry Managing Director, Energy, Resources, and Manufacturing di IBM. “Sfruttando la potenza del cloud e dell’intelligenza artificiale possiamo riunire dati preziosi e disparati in un ambiente sicuro e flessibile dove tutti, dai membri dell’Alleanza ai governi e alle autorità di regolamentazione, possono collaborare per affrontare questa sfida globale”.

La piattaforma sarà progettata per consentire agli utenti di integrare e scalare facilmente set di dati diversi senza compromettere la loro sicurezza. Il progetto è già in fase di sviluppo con il supporto di IBM Garage – un luogo in cui le organizzazioni possono lavorare con IBM per accelerare l’innovazione e i risultati attesi combinando tecnologia, design e strategia aziendale.

La collaborazione con l’Alleanza si basa sulla lunga esperienza di IBM nell’aiutare le aziende ad operare in modo più sostenibile. Le tecnologie IBM, tra cui cloud, AI e blockchain, sono utilizzate dai clienti per sostenere i loro obiettivi ambientali.

L’impegno di IBM per l’ambiente risale al 1971, quando pubblicò la sua prima dichiarazione di politica ambientale. Oggi, IBM continua ad impegnarsi per una buona gestione delle risorse del pianeta e ha compiuto notevoli progressi nella gestione dei rifiuti, nella conservazione dell’energia, nell’utilizzo di fonti rinnovabili e nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Il rapporto annuale IBM sull’ambiente descrive nel dettaglio come IBM smaltisce i prodotti e come si adopera per fare in modo che oltre il 95% (in peso) degli scarti venga riutilizzato, rivenduto o riciclato.

L’Alleanza è stata costituita nel gennaio 2019 e comprende più di 50 aziende associate, partner di progetto, alleati e sostenitori con l’impegno di contribuire a porre fine alla dispersione dei rifiuti plastici nell’ambiente. L’obiettivo dell’Alleanza è investire 1,5 miliardi di dollari in cinque anni per finanziare e incubare progetti e programmi pilota che creino valore dai rifiuti di plastica e, in ultima analisi, sostengano la realizzazione di progetti di economia circolare. Ad oggi, l’Alleanza ha attivato 14 programmi e iniziative globali e prevede di raddoppiare questo numero nel prossimo futuro.

fonte: www.rinnovabili.it


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Cinque falsi miti sul monouso

Una ricercatrice americana sfata alcuni dei più diffusi pregiudizi sulla plastica: consumare meno vale più di riciclare tutto.







In un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology ("Five Misperceptions Surrounding the Environmental Impacts of Single-Use Plastic"), la ricercatrice americana Shelie Miller, professore associato di Ingegneria ambientale presso l’Università del Michigan, individua e smonta cinque falsi pregiudizi sull'impatto ambientale delle plastiche monouso, in particolare degli imballaggi. Con affermazioni che sfiorano la provocazione anche se - afferma - si basano tutte su fondamenti scientifici, in particolare su analisi LCA dei diversi impatti ambientali lungo tutta la vita di un prodotto confezionato (e non solo dell'imballaggio).

La ricercatrice parte dall'assunto che per molti prodotti di largo consumo l'impatto ambientale sia legato più al contenuto che al contenitore. "I consumatori tendono a concentrarsi sull'impatto dell'imballaggio, piuttosto che del prodotto - sostiene Miller, professore associato presso la School for Environment and Sustainability e direttrice del programma U-M in the Environment -. Ma un consumo consapevole, che riduce i consumi ed elimina gli sprechi, è molto più efficace nel ridurre l'impatto ambientale complessivo rispetto al riciclo". "Tuttavia - aggiunge -, è molto più facile per i consumatori riciclare l'imballaggio che ridurre volontariamente i consumi, il che è probabilmente uno dei motivi per cui gli sforzi nel riciclo sono così apprezzati dal grande pubblico".

"Sebbene l'uso di plastica monouso abbia creato problemi ambientali che devono essere affrontati - aggiunge la Miller -, ci sono anche numerose conseguenze legate alla società dei consumi che non spariranno anche se i rifiuti di plastica venissero drasticamente ridotti". “Le fasi di estrazione, trasformazione e utilizzo delle risorse sono dominanti sugli impatti ambientali della maggior parte dei prodotti. Pertanto, la riduzione del consumo di materiali è sempre preferibile al riciclo, poiché viene eliminata la necessità di una produzione aggiuntiva".


L'idea che il packaging in plastica sia la causa principale dell’impatto ambientale di un prodotto è il primo dei cinque miti che la ricercatrice vuole sfatare. Il secondo, forse più importante, è che la plastica ha un impatto superiore a qualsiasi altro materiale per imballaggio, mentre - per quanto concerne i monouso - le confezioni in vetro e metallo sono meno sostenibili nella maggior parte delle categorie di impatto ambientale.

Il terzo pregiudizio - meno intuibile dei due precedenti - riguarda l'idea che gli articoli in plastica riutilizzabili siano sempre preferibili a quelli monouso. Secondo la ricercatrice americana, ciò è vero solo se i primi si possono impiegare un numero di volte sufficiente per compensare l'energia e la materia prima utilizzata per produrli.

Il quarto mito è che il riciclo e compostaggio siano una priorità assoluta, mentre al primo posto andrebbe posta la riduzione dei consumi, se l'obiettivo è quello di minimizzare l'impatto ambientale complessivo. E lo stesso vale per il quinto pregiudizio, che riguarda l'azzeramento dei rifiuti monouso in discarica (“Zero waste”), che anche in questo caso andrebbe subordinato ad un minor consumo di prodotti e di rifiuti, e ad un consumo più consapevole e intelligente per evitare gli sprechi.

"Gli sforzi per ridurre l'uso della plastica monouso e per aumentare il riciclaggio possono distrarre l'attenzione da impatti ambientali meno visibili e spesso più dannosi associati all'uso di energia, alla produzione e all'estrazione di di materie prime - conclude la Miller -. Dobbiamo adottare una visione molto più olistica che tenga conto di aspetti ambientali più ampi".


fonte: www.polimerica.it


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Gli Usa hanno prodotto la maggior parte dei rifiuti di plastica e ne sono il terzo esportatore al mondo

Smentite le conclusioni di un precedente studio che dava la colpa dell’inquinamento marino da plastica ai grandi fiumi asiatici



Lo studio “The United States’ contribution of plastic waste to land and ocean SEA Research Professor of Oceanography Kara Lavender Law”, pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori statunitensi, rivela che l’esportazione di rifiuti di plastica all’estero ha nascosto il vero contributo degli Usa alla crisi dell’inquinamento da plastica e che gli Stati Uniti sono in realtà una delle principali fonti di plastica. inquinamento negli ambienti costieri: il terzo Paese del mondo

Il nuovo studio smentisce la diffusa convinzione che gli Usa stiano “gestendo” adeguatamente – cioè raccogliendo, collocando in discarica, riciclando o contenendo – i loro rifiuti di plastica. Infatti, uno studio del 2015, “Plastic waste inputs from land into the ocean”, pubblicato nel 2015 su Science da ricercatori statunitensi e australiani, e che utilizzava dati del 2010 che non tenevano conto delle esportazioni di rifiuti di plastica, aveva classificato gli Usa al 20esimo posto al mondo per il loro contributo all’inquinamento da plastica degli oceani causato da rifiuti mal gestiti.

Greenpeace Usa denuncia che «Lo studio del 2015 è stato ingannevolmente utilizzato dall’industria e dai governi per affermare che una manciata di fiumi in Asia sono i principali responsabili della crisi dell’inquinamento da plastica, nonostante il fatto che molte compagnie statunitensi vendano prodotti di plastica all’estero e che il Nord del mondo invii molti dei suoi rifiuti di plastica a questi Paesi».

Utilizzando i dati sulla produzione di rifiuti di plastica del 2016 – gli ultimi numeri disponibili – scienziati di Sea Education Association, DSM Environmental Services, università della Georgia e Ocean Conservancy hanno calcolato che «Più della metà di tutta la plastica raccolta per il riciclaggio (1,99 milioni di tonnellate metriche delle 3,91 milioni tonnellate metriche raccolte) negli Stati Uniti sono state spedite all’estero. Di questo, l’88% delle esportazioni è andato in Paesi che faticano a gestire, riciclare o smaltire efficacemente la plastica e tra il 15 e il 25% era di scarso valore o contaminato, il che significa che, in realtà, era non riciclabile».

Tenendo conto di questi fattori, i ricercatori hanno stimato che fino a 1 milione di tonnellate di rifiuti di plastica prodotte negli Stati Uniti hanno finito per inquinare l’ambiente all’estero.

La principale autrice dello studio, Kara Lavender Law, che insegna ricerca oceanografica alla Sea Education Association, sottolinea che «Per anni, gran parte della plastica che abbiamo messo nel bidone blu è stata esportata per il riciclaggio in Paesi che lottano per gestire i propri rifiuti, per non parlare delle grandi quantità consegnate dagli Stati Uniti. E se si considera quanti dei nostri rifiuti di plastica non sono effettivamente riciclabili perché sono di scarso valore, contaminati o difficili da trattare, non sorprende che molti finiscano per inquinare l’ambiente».

Lo studio ha anche stimato che nel 2016 il 2 – 3% di tutti i rifiuti di plastica prodotti negli Usa – tra 0,91 e 1,25 milioni di tonnellate – è stato disseminato o scaricato illegalmente nell’ambiente statunitense e i ricercatori ec videnziano che «In combinazione con le esportazioni di rifiuti, ciò significa che gli Stati Uniti hanno contribuito fino a 2,25 milioni di tonnellate di plastica finite nell’ambiente. Di queste, fino a 1,5 milioni di tonnellate di plastica sono finite negli ambienti costieri (entro 50 km da una costa), dove la vicinanza alla costa aumenta la probabilità che la plastica entri nell’oceano portata dal vento o attraverso i corsi d’acqua. Questo classifica gli Stati Uniti al terzo posto a livello mondiale per il contributo all’inquinamento da plastica costiera».

Uno degli autori dello studio, Nick Mallos, direttore senior del programma Trash Free Seas® di Ocean Conservancy, ricorda che «Gli Stati Uniti producono la maggior parte dei rifiuti di plastica di qualsiasi altro Paese al mondo, ma invece di guardare il problema in faccia, li abbiamo esternalizzati ai Paesi in via di sviluppo e siamo diventati uno dei principali contributori alla crisi della plastica oceanica. La soluzione deve iniziare a casa. Dobbiamo crearne meno, eliminando le plastiche monouso non necessarie; dobbiamo produrre meglio, sviluppando nuovi modi innovativi per imballare e consegnare le merci e, dove la plastica è inevitabile, dobbiamo migliorare drasticamente i nostri tassi di riciclaggio».

Lo studio ha rilevato che sebbene gli Stati Uniti rappresentino solo il 4% della popolazione mondiale, nel 2016, hanno prodotto il 17% di tutti i rifiuti di plastica del mondo. In media, gli americani hanno prodotto pro capite quasi il doppio dei rifiuti di plastica di un cittadino dell’Unione europea.

Un’altra autrice dello studio, Jenna Jambeck, del College of Engineering dell’università della Georgia, evidenzia che «La ricerca precedente ha fornito valori globali per l’input della plastica nell’ambiente e nelle aree costiere, ma analisi dettagliate come questa sono importanti per i singoli Paesi, per valutare ulteriormente i loro contributi. Nel caso degli Stati Uniti, è di fondamentale importanza esaminare il nostro giardino di casa e assumerci la responsabilità della nostra impronta plastica globale».

Una co-autrice, Natalie Starr, a capo del DSM Environmental Services, fa notare che «Per un po’ di tempo, per gli Stati Uniti è stato più economico spedire i propri materiali riciclabili all’estero piuttosto che lavorarli qui a casa, ma ciò ha comportato un grande costo per il nostro ambiente. Per affrontare la sfida attuale, dobbiamo fare conti diversi, investendo nelle tecnologie di riciclaggio e nei programmi di raccolta, oltre ad accelerare la ricerca e lo sviluppo per migliorare le prestazioni e ridurre i costi delle materie plastiche più sostenibili e delle alternative di imballaggio».

Graham Forbes, leader del progetto Global Plastics di Greenpeace USA, ha commentato: «Per anni, corporation e governi del Nord del mondo hanno fatto fare da capro espiatorio ai Paesi asiatici per la crisi dell’inquinamento da plastica. Ora, questo studio completo ora rivela che gli Stati Uniti hanno prodotto più rifiuti di plastica di qualsiasi altro Paese e un’enorme quantità di questi sta finendo nel nostro ambiente. Questo dimostra che l’argomento delle infrastrutture di riciclaggio, così come lo vediamo portato avanti dall’industria, è uno stratagemma. I produttori di plastica e le grandi compagnie di beni di consumo hanno affermato che se costruiamo semplicemente infrastrutture di riciclaggio in Africa e in Asia, possiamo continuare a sfornare plastica monouso. Gli Stati Uniti hanno un’infrastruttura per i rifiuti relativamente robusta, ma si stima che nel 2016 negli oceani l’inquinamento da plastica sia 5 volte superiore rispetto al 2010. Gli Stati Uniti devono smetterla di incolpare gli altri Paesi per un loro problema e rinunciare alla loro dipendenza dalla plastica monouso. Gli Stati Uniti sono il secondo esportatore mondiale (lo studio in realtà dice il terzi, ndr) di rifiuti di plastica. Questa analisi punta i riflettori sulla quantità di rifiuti probabilmente scartati che spediamo in Paesi che non possono gestirli. Anche se molti americani hanno accesso alla raccolta della plastica, gran parte di essa non viene rielaborata in nuovi materiali. Gran parte di questa plastica alla fine finisce per inquinare il nostro ambiente, ma almeno negli Usa è fuori dalla vista e lontano dalla mente degli amministratori pubblici e delle corporation che vogliono disperatamente che l’industria della plastica distrugga le nostre comunità, oceani e corsi d’acqua. L’idea che possiamo semplicemente continuare a sostenere il riciclaggio per affrontare la crisi dell’inquinamento è una fantasia portata avanti dalle aziende sin dagli anni ’70. Questa analisi dimostra che, solo dal 2010 al 2016, la produzione di plastica è cresciuta del 26% e la crisi dell’inquinamento sta solo peggiorando a causa della pandemia. I ricercatori sono chiari nella loro valutazione che il modo migliore per ridurre la plastica nell’ambiente è produrne meno. Per affrontare l’aggravarsi della crisi dell’inquinamento, i governi e le corporation negli Stati Uniti e nel mondo devono smetterla di ingannare le persone che amministrano e servono e impegnarsi seriamente a porre fine alla nostra dipendenza dalla plastica usa e getta».

fonte: www.greenreport.it


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Ridurre la produzione di rifiuti plastici

Il rapporto EEA evidenzia come la produzione di plastica abbia un costo ambientale; nel 2012, il contributo all’inquinamento atmosferico conseguente alla produzione di plastica e al suo incenerimento è stato pari a 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari alle emissioni prodotte dalla Polonia nello stesso anno





Quest’anno, complice la Pandemia, non si parla molto di rifiuti plastici, sembra essere andata in secondo piano la questione della presenza delle plastiche, nano e micro, nei nostri mari e lo stesso si può dire per le campagne di sensibilizzazione all’utilizzo di prodotti alternativi alla plastica usa e getta, un esempio per tutti le borracce al posto delle bottigliette monouso d’acqua.



Secondo i dati riportati nel report “ Preventing plastic waste”, elaborato dall’Agenzia Europea per l’ambiente (di seguito EEA), la richiesta di plastica sta aumentando nel mondo e in Europa, nel 2017 la richiesta di plastica si fermava a quasi 52 milioni di tonnellate, contro le 46 tonnellate del 2010, il trend di crescita negli ultimi anni è risultato sempre costante.

La produzione di plastica ha raggiunto le 348 milioni di tonnellate nel 2017, con una maggiorazione di 13 milioni di tonnellate negli ultimi anni, l’aumento della richiesta è dovuto soprattutto al fatto che la plastica ha un basso costo e risulta versatile, si adatta a diversi impieghi non solo nel settore degli imballaggi ma anche nel comparto delle costruzioni, delle autovetture e in quello dell’elettronica.

Le diverse applicazioni della plastica incidono sullo smaltimento, se usiamo questo materiale in un imballaggio usa e getta, diventerà un rifiuto in poco tempo ma se lo utilizziamo nell’edilizia, invece, si trasformerà in un rifiuto non prima di 50 anni.

Questo incide anche sulle politiche di prevenzione che devono essere attuate, e che necessitano di essere suddivise in base alla tipologia di plastica e al suo diverso uso in differenti tipi di prodotti.


Il consumo di plastica si riflette inevitabilmente sulla produzione di rifiuti plastici che è anch’essa in aumento, mentre la quota di riciclaggio per questa tipologia di rifiuti si attesta intorno al 30%. Nel 2016 una buona quantità di rifiuti plastici prodotti in Europa sono stati destinati a paesi extra-europei mentre solo il 6% si stima che sia stato riciclato in paesi dell’UE.

Naturalmente i quantitativi di rifiuti plastici prodotti nei diversi paesi europei sono alquanto diversi, come sono differenti le politiche di prevenzione messe in atto. Questo report EEA cerca di indagare quali politiche di prevenzione stiano attuando i diversi paesi UE e quali siano le buone pratiche realizzate. Analizzando i singoli programmi di prevenzione rifiuti dei paesi membri UE, sono emerse 173 misure di prevenzione il 60% di queste riguardano la fase di produzione mentre la restante parte quella del consumo. 

In sintesi possiamo dire che le misure di prevenzione fanno capo ad alcune aree:

la progettazione ecocompatibile dei prodotti, cd ecodesign,
le misure di riduzione della presenza di sostanze pericolose nei prodotti di plastica
gli accordi volontari
l'attività di informazione
gli strumenti di mercato
le misure di tipo normativo.


La stragrande maggioranza delle misure riguardano la riduzione del quantitativo di rifiuti plastici prodotti mentre minoritarie risultano quelle riguardanti l’eco-design e le misure per limitare e/o eliminare la presenza di sostanze pericolose nei prodotti.

Molte delle azioni previste dai singoli paesi sono da considerarsi “soft”, ovvero prevedono delle campagne di informazione e comunicazione e degli accordi su base volontaria, ma ci sono anche alcune misure che incidono sul mercato, tra queste, quelle che hanno ottenuto maggiore successo sono quelle che hanno inciso sull’uso quotidiano di buste usa e getta per la spesa.



Dal quadro predisposto, emerge che nella metà dei paesi esaminati, il problema della sovraproduzione di rifiuti in plastica è tenuto in debita considerazione, in particolare 14 paesi e 5 regioni lo ritengono tra i principali problemi ambientali, mentre gli altri non hanno un capitolo dedicato a questa tematica; non è da escludere, però, che abbiamo una normativa specifica, a livello nazionale o regionale, che si occupi di questa problematica, come nel caso dell'Italia.

Nel programma di prevenzione italiano non si parla di rifiuti plastici e di come prevenirli, ma a livello nazionale esiste una normativa per la riduzione dell'uso di sacchetti in plastica usa e getta, che ha dato buoni risultati e una normativa che vieta l'uso di microplastiche nei prodotti per la pulizia e l'igiene personale, entrata in vigore agli inizi di quest'anno.

Al contempo, alcune regioni, come la nostra, hanno legiferato sul tema, in questa direzione, infatti, va la legge regionale n. 37 (pubblicata sul BURT n. 31 del 28 giugno 2019) che contiene "Misure per la riduzione dell’incidenza della plastica sull’ambiente" con cui si prevede che, in Toscana, si limiti l'uso di prodotti in plastica usa e getta in
manifestazioni fieristiche, sagre, fiere mercato, anche di comunicazione, organizzate o finanziate, anche in parte, dalla Regione, enti locali, enti e aziende soggette alla vigilanza degli stessi parchi, aree protette, lidi e spiagge del demanio marittimo.

Nel primo caso il divieto riguarda contenitori, mescolatori per bevande, aste a sostegno di palloncini, cannucce e stoviglie quali posate, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette e piatti in plastica monouso. Nel secondo caso, invece, è vietato l'utilizzo, ai fini della somministrazione di cibi e bevande, di contenitori, mescolatori per bevande, cannucce e stoviglie quali posate, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette e piatti in plastica monouso.


La normativa regionale aveva portato diverse enti locali della costa toscana (qualcuno, in realtà, anche prima dell'entrata in vigore della norma della Regione Toscana) a predisporre atti amministrativi per limitare l'uso di prodotti usa e getta di plastica sulle spiagge. Tra queste, ma l'elenco non è da intendersi esaustivo, c'erano le seguenti amministrazioni:

Comune Provincia

Massa Massa
Viareggio Lucca
Forte dei Marmi Lucca
Pietrasanta Lucca
Pisa Pisa
Campo nell'Elba Livorno
Capoliveri Livorno
Capraia Livorno
Castagneto Carducci Livorno
Cecina Livorno
Livorno Livorno
Marciana Livorno
Marciana Marina Livorno
Piombino Livorno
Porto Azzurro Livorno
Rio Livorno
Rosignano Marittimo Livorno
Scarlino Livorno
Follonica Grosseto
Castiglione della Pescaia Grosseto
Orbetello Grosseto


Il rapporto EEA mette in evidenza che la maggior parte delle misure di prevenzione stabilite dai paesi si occupano di prevenzione quantitativa, mentre sono state evidenziate solo 14 misure di tipo qualitativo ovvero che riguardano l'eco-design, mentre per quanto riguarda la riduzione delle sostanze pericolose nei prodotti in plastica, solo cinque misure menzionano esplicitamente questo obiettivo.

È chiaro che i paesi membri considerano i volumi prodotti come l'elemento più importante nell'ambito della prevenzione dei rifiuti, pertanto, le misure di prevenzione sono ancora prevalentemente quantitative; va comunque detto che i singoli paesi potrebbero avere adottato misure che affrontano l'eco-design o la presenza di sostanze pericolose in altri atti legislativi, come leggi per la gestione dei rifiuti pericolosi.

Nel complesso, i paesi membri UE mostrano di puntare molto sugli strumenti informativi (42% di tutte le misure) ma fanno riferimento anche agli strumenti normativi e di mercato più rigorosi e vincolanti al fine di dare attuazione alla volontà chiaramente espressa dai responsabili politici di affrontare efficacemente la questione dei rifiuti in plastica nei mari e negli oceani così come sulla terraferma.

Il report mette in evidenza anche il principale limite delle politiche di prevenzione attuali, ovvero il fatto che ancora non sono diffuse, in Europa, misure specifiche suddivise per target di prodotti plastici, che invece risulterebbe le più efficaci. Nel futuro è auspicabile che le misure per la prevenzione dei rifiuti in plastica divengano più stringenti, e soprattutto siano “targhettizzate”, ovvero tengano conto di specifiche tipologie di plastiche o specifici usi, in particolare, bisognerà puntare l’attenzione soprattutto sui prodotti in plastica usa e getta e sulle plastiche non riciclabili.

Risulta altresì necessario affiancare altri elementi, quali la responsabilità del produttore, gli acquisti verdi, la consapevolezza da parte dei cittadini, l’ecodesign ed alcuni strumenti finanziari, come indicato anche nella strategia europea sulla plastica monouso e l’economia circolare, che ornirà uno stimolo ad inserire nei propri programmi nazionali di prevenzione dei rifiuti aspetti più specifici come quello della riduzione dei rifiuti plastici


Il report ci ricorda che la produzione di plastica ha un costo ambientale, nel 2012, il contributo all’inquinamento atmosferico, conseguente alla produzione di plastica e al suo incenerimento, è stato pari a 400 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, pari alle emissioni prodotte dalla Polonia nello stesso anno. Proprio per questo l’EEA ha raccolto una serie di migliori pratiche adottate dai singoli paesi membri UE per contenere questo problema.

A questo si aggiunge l'inquinamento dei fiumi e dei mari, dove son sempre più presenti sia rifiuti plastici che frammenti, che creano grossi problemi alla biodiversità marina. Questo problema molto sentito lo scorso anno, quest'anno è un pò meno al centro dell'attenzione, anche se non mancano le iniziative, come il film, "68.415", ideato da Antonella Sabatino e Stefano Blasi, due giovani registi e filmmaker, che ci ricordano di fare la raccolta differenziata e non abbandonare mai prodotti plastici soprattutto usa e getta in plastica, se vogliamo dire addio, una volta per tutte, alla plastica monouso.

Approfondisci: Preventing plastic waste


fonte: www.arpat.toscana.it


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Belgio: un’aspirapolvere gigante contro i rifiuti in plastica

Si chiama Nul-O-Plastic, la super aspirapolvere che entro fine mese completerà il periodo di prova nella riserva belga di Galgeschoor.




Le riserve naturali del Belgio hanno un nuovo alleato contro i rifiuti di plastica. Non si tratta di regolamenti più stringenti o una nuova legge, ma di un aspirapolvere gigante. Bizzarro ma efficace, assicurano gli ingegneri belgi che lo hanno progettato e assemblato. Con una missione chiara fin dal nome: Nul-O-Plastic.

La prova generale è sembra essere un successo. Siamo ad Anversa, una delle città portuali più importanti del Nord Europa. L’area del porto si trova a ridosso di Galgeschoor, una riserva naturale famosa per le sue paludi salate. Ma anche per l’inquinamento da rifiuti di plastica portati fin lì dal fiume Schelda e dalle maree, in particolare pellet di materie plastiche per uso industriale. Spesso sono pezzetti di plastica troppo piccoli per essere raccolti a mano efficacemente.

L’autorità che gestisce il porto di Anversa lotta da tempo contro questa situazione. Ogni anno lancia una competizione per ripulire Galgeschoor. Solo nel 2019, 400 volontari avevano rastrellato l’intera riserva raccogliendo in totale 8 tonnellate di rifiuti. Ma non hanno potuto far nulla per le microplastiche, parti più piccole di 5 millimetri.

Da qui l’idea di fare un salto di qualità con l’edizione 2020. E lanciare una competizione per trovare l’idea giusta. Nasce così Nul-O-Plastic, pensato appositamente dai tecnici della Envisan, la divisione ambientale della compagnia di infrastrutture marittime Jan De Nul Group, per riuscire a risucchiare le microplastiche senza danneggiare la flora. Le ruote di gomma del mezzo, al quale è attaccata la speciale “proboscide” di Nul-O-Plastic, sono studiate per limitare al massimo l’impatto sul suolo.Dal dopoguerra ad oggi, la quantità di plastica prodotta ogni anno è cresciuta esponenzialmente. Si è passati dai 2 milioni di tonnellate nel 1950, ai 348 milioni di tonnellate nel 2017. Ma le previsioni più accreditate sostengono che questo numero possa addirittura raddoppiare entro il 2040.

fonte: www.rinnovabili.it


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Emilia-Romagna, come ridurre i rifiuti di plastica

 










L’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci) dell’Emilia-Romagna ha realizzato un vademecum per supportare i Comuni nella definizione e implementazione di strategie locali di riduzione dei rifiuti derivanti dall’utilizzo di prodotti in plastica monouso.

Scarica il vademecum versione estesa

Scarica il vademecum versione sintetica

fonte: https://www.snpambiente.it

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Rapporto Interpol segnala un forte aumento dei crimini sui rifiuti di plastica

Un nuovo rapporto Interpol sulla gestione globale dei rifiuti di plastica ha rilevato un aumento allarmante del commercio illegale e di inquinamento da plastica in tutto il mondo dal 2018




Il rapporto, intitolato Analisi strategica dell’INTERPOL sulle tendenze criminali emergenti nel mercato globale dei rifiuti di plastica dal gennaio 2018, indica che c’è stato un aumento considerevole negli ultimi due anni nelle spedizioni illegali di rifiuti, principalmente dirottate verso il Sud-est asiatico attraverso più paesi di transito per camuffare l’origine della spedizione dei rifiuti.

Altri risultati chiave includono un aumento degli incendi di rifiuti illegali e delle discariche in Europa e in Asia, un aumento significativo dell’uso di documenti contraffatti e registrazioni fraudolente di rifiuti, con studi di casi di ciascuno dei paesi contributori che illustrano l’entità e la complessità del problema.


Basato su fonti aperte e di intelligence criminale di 40 paesi, il rapporto fornisce un quadro globale completo delle rotte emergenti del traffico e delle minacce di criminalità nel mercato dei rifiuti di plastica e raccomanda risposte mirate per l’applicazione delle norme.

Il rapporto sottolinea il legame tra le reti criminali e le attività legittime di gestione dell’inquinamento che vengono utilizzate come copertura per operazioni illegali, con i criminali che spesso ricorrono alla criminalità finanziaria e alla falsificazione di documenti per svolgere le loro operazioni globali.

Uno dei casi di studio del rapporto descrive come il sindaco di una piccola città francese è stato assassinato per aver tentato di impedire lo scarico illegale di rifiuti nella sua zona, mostrando la posta in gioco e indicando il tipo di violenza solitamente associato alla criminalità organizzata.


Le difficoltà nel trattamento e nel monitoraggio del surplus di rifiuti di plastica hanno aperto le porte alla criminalità nel settore dei rifiuti di plastica, sia nel commercio illegale che nel trattamento illegale dei rifiuti.

Lo scorso maggio, le autorità malesi hanno avviato il processo di restituzione di quasi 4.000 tonnellate di rifiuti di plastica in 13 paesi, segno della determinazione del paese ad affrontare il commercio illegale di rifiuti di plastica.

Questo caso di studio evidenzia un’ondata di rifiuti di plastica inviati in Malesia, principalmente dall’Europa e dal Nord America, dal 2018, quando la Cina ha chiuso i battenti al riciclaggio delle importazioni nel tentativo di proteggere il proprio ambiente dall’inquinamento da plastica.

“Il governo cinese è impegnato nella lotta alla criminalità relativa ai rifiuti di plastica. Negli ultimi anni abbiamo modificato la legislazione per affrontarla, stabilendo procedure amministrative più rigorose e lanciando campagne nazionali per affrontarla, in particolare per quanto riguarda il contrabbando transfrontaliero”, ha affermato Daqi Duan, Capo dell’ufficio centrale nazionale (BCN) dell’INTERPOL e vicedirettore generale del dipartimento per la cooperazione internazionale (ministero della pubblica sicurezza). 


“Chiediamo alla comunità globale di lavorare insieme oltre i confini e di sfruttare al meglio le piattaforme internazionali come INTERPOL nell’affrontare le nostre responsabilità collettive e raggiungere il nostro obiettivo comune di lasciare un pianeta pulito e bello alle spalle per le generazioni future”, ha aggiunto il capo della BCN Pechino.

Una cattiva gestione dei rifiuti di plastica danneggia l’ambiente, lasciando depositi di plastica e microplastiche sulla terra, nei fiumi e negli oceani di tutto il mondo. La plastica contribuisce anche al cambiamento climatico attraverso le emissioni di gas serra dalla produzione alla gestione dei rifiuti.

“L’inquinamento globale da plastica è una delle minacce ambientali più pervasive per il pianeta oggi e la sua corretta regolamentazione e gestione è di fondamentale importanza per la sicurezza ambientale globale”, ha affermato il presidente del comitato consultivo per la conformità e l’applicazione dell’ambiente di INTERPOL, Calum MacDonald, che è anche il direttore esecutivo della Scottish Environment Protection Agency (SEPA).

“Il rapporto dell’INTERPOL sottolinea l’urgente necessità di identificare e valutare in che modo i criminali stanno sfruttando le vulnerabilità del mercato nuove e preesistenti, con un invito a rafforzare l’azione delle forze dell’ordine sia a livello di esportazione che di importazione”, ha aggiunto MacDonald.

“La criminalità relativa ai rifiuti è una minaccia crescente con radici in un problema più fondamentale: l’incapacità di gestire il nostro uso e la nostra produzione di plastica. Conosciamo gli impatti dell’inquinamento da plastica sugli ecosistemimarini; i potenziali collegamenti con la salute umana e ora, le sue implicazioni penali “, ha affermato Eirik Lindebjerg, responsabile delle politiche globali sulla plastica del Fondo mondiale per la natura.

Il team di tutela dell’inquinamento globale di INTERPOL lavora con agenzie di esperti in 194 paesi per rilevare e interrompere il crimine di inquinamento e smantellare i gruppi dietro di esso. Le operazioni, la formazione e il rafforzamento delle capacità guidati da INTERPOL aiutano le forze dell’ordine a ridurre gli inquinatori criminali.

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2020/09/INTERPOL-Report-_criminal-trends-plastic-waste.pdf

Per approfondimenti leggi il rapporto Emerging criminal trendsin the global plastic waste market since January 2018                                                                                                                                                                                                                                                      fonte: https://www.snpambiente.it/                                                                                                




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Taranto, ipotesi di impianto da 100mila tonnellate annue di Plasmix: tutti i dubbi di Zero Waste Puglia

Rifiuti plastici non riciclabili che diventerebbero SRA (Secondary Reducing Agent) da usare negli altoforni Ilva o C.S.S. da bruciare nei cementifici: "Proposta in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche"




Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa di Zero Waste Puglia che accende i riflettori sul progetto della milanese Unità di Misura, una proposta che secondo l'associazione "andrebbe rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali".

Un impianto per il trattamento di 100.000 tonnellate/anno di rifiuti plastici non riciclabili, cosiddetto plasmix, che opportunamente preparati diventano SRA (Secondary Reducing Agent) per utilizzo negli altoforni in sostituzione del carbone per la produzione di acciaio e/o C.S.S. (Combustibile Solido Secondario) da bruciare nei cementifici.


Secondo l’istanza presenta alla Provincia di Taranto da Unità di Misura S.r.l. di Milano per l’ottenimento del Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale (PAUR), l’impianto avrà sede nell’area di sviluppo industriale di Taranto, in località Pantano sulla S.S. Jonica 106. Avrà una capacità di trattamento per tre volte la produzione di plasmix dell’intera regione Puglia e più di un quarto di tutta la plastica avviata a recupero energetico nel 2018 in Italia.

Il Proponente presenta come qualificante la tecnologia BEST che da una breve ricerca si è rilevata come precaria e senza precedenti operativi (vedi rif. https://bit.ly/2EANAwu, https://bit.ly/2D07Ozr ). In definitiva tale referenza non depone a favore della qualifica tecnico-organizzativa della società Proponente.

La tecnologia di preparazione dello SRA è sicuramente matura, ma in tutti gli esempi internazionalmente noti la sua messa a punto specifica ha visto la compartecipazione attiva dell'utilizzatore finale (l'acciaieria per intenderci). Prima di tutto l'alimentazione dello SRA comporta delle modifiche strutturali all'altoforno, incluso l'impianto di stoccaggio e alimentazione dello SRA. La composizione e la granulometria dello SRA sono decisivi nella validazione del suo uso nello specifico altoforno. Non siamo riusciti a determinare se ILVA ha già esperienza di uso dello SRA e se ha emesso delle specifiche tecniche cui i vari fornitori si devono conformare. Senza tale indicazione e garanzia, la fornitura di SRA a destinazione ex-ILVA o altra acciaieria è del tutto aleatoria. Facciamo notare che il prodotto finale dell'impianto proposto è definito dal Proponente come SRA oppure CSS (Relazione tecnica - pag.10). Chiunque noterebbe l'assurdità dell'investimento se fallisse la fornitura di SRA all’impianto ex-ILVA o altra acciaieria. Mentre il Proponente accenna a un accordo con COREPLA per la fornitura dei rifiuti in ingresso, non si accenna neanche minimamente ad accordi o sperimentazioni fatte con Arcelor Mittal o altra acciaieria relativamente all'utilizzo dello SRA prodotto negli altoforni.

Non abbiamo trovato traccia delle condizioni economiche di fornitura dello SRA, essenziale per valutare il piano finanziario su cui si regge l'iniziativa proposta. A nostro parere questo resta un'incognita decisiva da risolvere prima di qualsiasi validazione del progetto.

Nella Relazione Tecnica si cita la norma UNI10667-17 come standard tecnico per lo SRA. Ma non si afferma esplicitamente che tale normativa sarà seguita e garantita dal Proponente in fase operativa. Né si descrivono le procedure di controllo di conformità a tale normativa dello SRA prodotto.


Il Proponente definisce la produzione di SRA come un processo di "riciclo chimico". Abbiamo forti dubbi che l’Agente Riducente Secondario (SRA) sia considerato come riciclo dalle norme europee, visto che distrugge materia. Diventa però essenziale la garanzia che il prodotto finale sia destinato a SRA e non a CSS per cementifici. Nel secondo caso infatti NON potrebbe essere classificato come "riciclo" e tra l'altro penalizzerebbe l'obiettivo obbligatorio relativo alle quantità di plastica riciclata da raggiungere in accordo alle recenti normative UE. Da notare altresì che i recenti accordi fra Stati membri hanno incluso una nuova tassa sulla plastica non riciclata. Che - per la quota parte di prodotto destinata a CSS - sarebbe a carico dello Stato e non del Proponente.

Il Proponente elenca i codici CER relativi alle materie prime usate nell'impianto. A nostro parere sono inammissibili due di essi:

- 150102/rifiuti da imballaggi in plastica da RD. Non trattandosi di scarti della selezione, si rischierebbe una competizione negativa con le piattaforme di selezione meccanica della plastica da RD, da avviare al riciclo come nuovi imballaggi;

- 191219/CDR o CSS. Trattandosi di un materiale già trattato e destinato a recupero energetico non si capisce l'utilità di trattarlo ulteriormente per fargli fare la stessa fine.

La stima di riduzione delle emissioni di CO2 è basata sull'utilizzo dello SRA in sostituzione del 6-13% di coke negli altoforni. Tale beneficio verrebbe completamente meno se l'impianto producesse CSS invece di SRA.

Alcune osservazioni minori e formali sulla Relazione Tecnica:

- a pag. 7 si indica al 26% l'obiettivo di riciclo degli imballaggi in plastica, mentre le recenti Direttive UE impongono l'obiettivo del 50% al 2025. Questa osservazione rileva in quanto l'impianto proposto contribuirebbe al raggiungimento dell'obiettivo solo nella misura in cui producesse effettivamente SRA da utilizzare in acciaieria. Ragione per cui l'ottenimento della garanzia dell'utilizzo finale dello SRA dovrebbe far parte della procedura di rilascio dell'autorizzazione alla sua realizzazione ed esercizio;

- alle pag. 59 e 72 della Relazione Tecnica la terza colonna delle Tabelle 5-4, 5-5 e 9-2 deve essere corretta indicando (m3) e non (ton).

In conclusione a nostro parere sono eccessivi i dubbi sulla proposta e le evidenze ad essa contrarie. La proposta andrebbe dunque rigettata in quanto in contraddizione con l’agenda UE su rifiuti e plastiche in corso di trasposizione nelle norme nazionali.

fonte: www.ecodallecitta.it


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Contro la "Plastica Connection" urge una cooperazione globale















L'enorme quantità di rifiuti di plastica generata dal mondo ha aperto le porte alle reti criminali. Un nuovo rapporto INTERPOL rivela, infatti, l'aumento della criminalità nella gestione globale dei rifiuti di plastica: si tratta di commercio illegale e trattamento illegale dei rifiuti.
Il Rapporto di Analisi Strategica sulle "Tendenze criminali emergenti nel mercato globale dei rifiuti di plastica da gennaio 2018" ha rivelato l’esistenza di spedizioni illegali lungo rotte commerciali di rifiuti di plastica transregionali e intraregionali e l’allarme è tale per cui il WWF chiede con urgenza che sia messa in campo un'azione globale da parte di governi, forze dell'ordine, imprese e consumatori.

L'INTERPOL ha evidenziato l'infiltrazione di reti criminali nel commercio dei rifiuti di plastica, una vera e propria 'Plastica connection’ che ha agito sia dirottando illegalmente le spedizioni sia gestendo in modo non autorizzato i rifiuti stessi. La dimensione di questa gestione illegale di rifiuti di plastica è molto ampia e coinvolge almeno 52 delle 257 rotte commerciali analizzate dall'INTERPOL.

“La presenza di attività criminali relative ai rifiuti è una minaccia crescente che getta le sue radici in un problema più profondo: l'incapacità di gestire sia l’utilizzo che la nostra produzione di plastica – ha dichiarato Isabella Pratesi, direttore conservazione di WWF Italia -. A fianco del crescente e pervasivo inquinamento da plastica sugli ecosistemi marini e gli studi che dimostrano l’esposizione degli organismi viventi, compresi noi umani, a nano e microplastiche che pervadono ogni angolo del pianeta, ora assistiamo anche alle sue implicazioni criminali. L’unica soluzione per affrontare questa crisi che ormai trascende i confini nazionali è un cambiamento dell’intero sistema e una maggiore responsabilità. Dobbiamo essere consapevoli che i rifiuti di plastica sono un vero e proprio business criminale, che mette a rischio la salute del pianeta, partendo da quella del mare. Il WWF chiede ai leader mondiali di unirsi per un trattato globale che affronti l'inquinamento marino da plastica”.

Per decenni, la Cina ha rappresentato una soluzione ‘facile’, ricevendo la metà dei rifiuti di plastica del mondo, Europa compresa. Nel 2018, a seguito della sua azione per limitare le importazioni di rifiuti di plastica, il traffico è stato reindirizzato e ha travolto paesi alternativi aprendo così le porte alla criminalità opportunistica.
Nel mirino dei trafficanti ci sono i paesi asiatici in via di sviluppo, in particolare quelli con capacità limitate di gestione e applicazione delle normative sui rifiuti.
Nel maggio 2020, la Malesia ha avviato il costoso e vasto processo di “rimpatrio” di 3.737 tonnellate di rifiuti di plastica verso 13 diversi paesi da dove provenivano, equivalenti a 150 container.
Dal 2021 si dovrebbero adottare a livello mondiale misure internazionali sul commercio internazionale di rifiuti di plastica, secondo la Convenzione di Basilea. Tuttavia, l’INTERPOL ha evidenziato la necessità di aumentare il controllo sull’applicazioni delle leggi sui rifiuti visto che i criminali hanno mostrato negli ultimi due anni di essere in molto in grado di sfruttare la situazione a proprio vantaggio.

"L'inquinamento globale da plastica è oggi una delle minacce ambientali più pervasive per il pianeta e la sua corretta regolamentazione e gestione è di fondamentale importanza per la sicurezza ambientale globale", ha affermato il presidente del Comitato consultivo per la conformità e l'applicazione dell'ambiente di INTERPOL, Calum MacDonald, anche direttore esecutivo della Scottish Environmental Protection Agency (SEPA).

A seguito della richiesta di INTERPOL per una maggiore cooperazione internazionale e tra le forze dell'ordine, il WWF ha delineato una serie di ulteriori raccomandazioni richieste per una risposta internazionale da parte dei governi.

a) Accelerare i negoziati per un accordo globale legalmente vincolante con piani d'azione e regolamenti nazionali chiari, compreso il supporto per la gestione dei rifiuti nei paesi a basso reddito.
b) Rafforzare i meccanismi esistenti come l'eliminazione graduale della plastica monouso, il miglioramento della capacità di riciclaggio domestico nei mercati sviluppati e la risoluzione delle lacune nella gestione dei rifiuti nelle economie in via di sviluppo.
c) Innovare e ampliare le alternative alla plastica rispettose dell'ambiente.
d) Investire nella ricerca e nello sviluppo di capacità per migliorare il monitoraggio e l'applicazione delle norme sui rifiuti di plastica.

Intanto sta crescendo la spinta per un quadro globale completo che affronti l'inquinamento da plastica alla fonte. Circa 2 milioni di persone in tutto il mondo hanno firmato una petizione del WWF che esorta i propri governi a stabilire un trattato globale legalmente vincolante per affrontare l'inquinamento marino da plastica e 133 paesi hanno già espresso il loro sostegno ad esplorare l'opzione di un accordo globale.
In Italia, nell’ambito della Campagna GenerAzioneMare, il WWF ha promosso ad agosto una nuova community “Con WWF per un mondo Plastic Free”, che in pochi giorni ha raggiunto oltre 1.000 iscritti da tutta Italia, molti dei quali hanno risposto anche all’appello svolgendo la propria azione di pulizia dei litorali in un inedito “Self Tour Plastic Free”. A settembre verranno resi noti i risultati del Tour e le curiosità di questa iniziativa.

fonte: www.wwf.it



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