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Marsiglia, a settembre capitale della biodiversità

Il World Conservation Congress dello IUCN si terrà a Marsiglia dal 3 all’11 settembre e avrà come tema principale la tutela della biodiversità. Una sfida di importanza letteralmente vitale, da vincere prima che sia troppo tardi.

Forse non è fra i temi più seguiti dal grande pubblico, ma dovrebbe esserlo: la perdita di biodiversità. In Europa, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), quasi tutti gli indici che la riguardano sono negativi, tanto da definire la situazione catastrofica quanto il cambiamento climatico. Urge quindi correre ai ripari.



A tal proposito, dal 3 all’11 settembre 2021 si terrà a Marsiglia il Congresso della IUCN, International Union for Conservation of Nature, uno dei più importanti eventi dedicati alla tutela degli ecosistemi. L’evento, per la prima volta in forma “ibrida” (cioè sia in presenza che virtuale), ha l’obiettivo di misurare lo stato del pianeta tenendo conto dei cambiamenti climatici in atto e basandosi appunto sulla conservazione della biodiversità.

Molto incoraggiante la presenza di numerosi Capi di Stato, funzionari governativi, alti rappresentanti della Commissione e del Parlamento europeo, amministratori delegati e leader aziendali, scienziati ed accademici. Attesi fra gli ospiti Emmanuel Macron, Frans Timmermans, Christine Lagarde e molti altri. Presenti anche grandi compagnie, che collaborano attivamente con il Congresso, per le quali il 3 settembre è previsto un evento dedicato ai soli CEO.

Degna di nota è poi la partecipazione del Vertice mondiale “Our land, our nature” che, per la prima volta, unisce le voci dei popoli indigeni per denunciare le “false soluzioni contro la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici” in atto, soprattutto nel sud del mondo. Lo scopo è quello di aumentare la consapevolezza della necessità di misure più solide per proteggere i diritti delle popolazioni indigene e il loro ruolo di custodi degli ecosistemi. Anche perché, come spiega Survival International, “stiamo distruggendo i migliori custodi del mondo naturale proprio nel nome della conservazione della natura”. Questo vertice è importante per vari motivi, a partire dal riconoscere finalmente una grande dignità alle popolazioni indigene, maestre di appunto di protezione della biodiversità.
Congresso Mondiale sulla Conservazione della Natura: il programma

Il programma, molto dettagliato, rivela le tre principali aree d’azione del Congresso: quella del Forum delle idee, con numerosi interventi autorevoli e la possibilità di scambi di opinione; una sezione dedicata alla mostra delle migliori pratiche di conservazione in atto nel mondo; una dedicata al voto dei membri IUCN. Tra i vari argomenti che il forum toccherà, ci sarà anche l’importanza del settore agricolo per la tutela della biodiversità, ma anche quella dei mari e degli oceani, veri polmoni del pianeta. Basti pensare che proprio Marsiglia ospita “il polmone del Mediterraneo”: la riserva marina delle Calanques, ricca fra le altre specie di posidonia, pianta acquatica che assorbe cinque volte più CO2 di quanto non faccia in proporzione la foresta amazzonica e sette volte più delle foreste europee.

Ma il capoluogo della Provenza, quest’anno capitale globale della biodiversità, non è stata scelta per questo evento solo per le sue riserve marine. Già dal 2008 sta adottando strategie mirate a raggiungere una piena e duratura sostenibilità ambientale, economica e sociale. In realtà è l’intera “PACA” (Provence Alpes Cote d’Azure), con un tasso pari al 75% di spazi naturali, a vantare diversi primati in questo senso: contiene quattro dei dieci parchi nazionali francesi, ben diciotto riserve naturali e sette parchi naturali regionali. Dalla Camargue alla Crau, passando per le Calanques e la Sainte-Victoire, nel Dipartimento delle Bocche del Rodano – che gestisce gran parte di queste riserve, la regione offre ai suoi abitanti e visitatori una (bio)diversità eccezionale.

Il prossimo Congresso IUCN si presenta insomma con tutte le caratteristiche di un evento epocale, che possa portare a un’effettiva svolta verso la sostenibilità. Le idee ci sono, le risorse anche, le tecnologie non mancano e l’unione delle forze fra attori anche molto diversi tra loro non è cosa impossibile. Perché se non si agisce ora, in quella che alcuni già definiscono la “nuova normalità” post-pandemica, poi potrebbe essere troppo tardi.

“Il Congresso mondiale della natura della IUCN arriva in un momento in cui dobbiamo trovare soluzioni per il clima e l’ambiente”, spiega Matthias Fiechter, fra i coordinatori dell’evento: “Il post-covid offre molte opportunità a livello di tutela della natura e della biodiversità, di conservazione ecc. Ma se questa fase viene gestita male, si potrà assistere a danni anche maggiori di quelli fatti finora.”

Per maggiori informazioni sull’evento e su tutte le realtà sopra menzionate, suggeriamo di contattare direttamente la Camera di Commercio Italiana per la Francia di Marsiglia.

fonte: www.bioecogeo.com



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Transizione ecologica: il ruolo delle città europee

Le città sono i motori dell'economia europea e sono sempre più riconosciute come attori chiave nella transizione dell'Europa verso un'economia a basse emissioni di carbonio



L'Europa è un continente altamente urbanizzato: circa il 75% della popolazione vive in aree urbane e le stime prevedono che la percentuale arriverà all'80% nel 2050. Il paesaggio urbano europeo è eterogeneo e caratterizzato da una diversità di città per lo più piccole e medie: secondo una valutazione di UN-habitat, nel 2016, di queste città, solo Parigi e Londra possono infatti essere considerate vere e proprie megalopoli.

Sul piano della promozione dello sviluppo urbano sostenibile, l'Unione europea riveste un ruolo chiave ma le amministrazioni locali sono sicuramente nella posizione migliore per affrontare e risolvere le sfide ambientali, garantendo al contempo una buona qualità della vita per i propri cittadini. Tradizionalmente, le città risultano fondamentali nei settori della gestione dei rifiuti e dell'acqua, del trasporto pubblico e dell'uso efficiente del territorio, attraverso l'attuazione di una pianificazione urbana integrata. Oggi poi, le città sono anche in prima linea per quanto riguarda l'adattamento ai cambiamenti climatici e la conservazione e il ripristino degli ecosistemi.

In aggiunta a ciò, in questo anno e mezzo di pandemia abbiamo potuto constatare come le città, con le loro amministrazioni, siano state in prima linea nella gestione dell’emergenza, sopportandone spesso gli impatti peggiori. Le questioni post-pandemia che dovranno essere ancora affrontate nei prossimi mesi e negli anni a venire avranno necessariamente un effetto sulla transizione verde delle stesse città: dagli spazi verdi, alle forme di mobilità, al ruolo della tecnologia, solo per dirne alcune.

Sebbene gli sforzi attuali siano giustamente concentrati nell'affrontare le sfide immediate dell’emergenza pandemica, è però importante mettere rapidamente in atto approcci alla ripresa che siano allineati con obiettivi di sostenibilità più ampi. In questo modo le città potranno davvero diventare forze trainanti fondamentali per una transizione ecologica ed equa, a condizione però che siano attivamente coinvolte nel processo decisionale fin dall'inizio, come sostiene un recente briefing dell’Agenzia europea per l’ambiente.

Le seguenti quattro aree offrono strade particolarmente promettenti per affrontare la triplice sfida delle città - sociale, ambientale ed economica:
ripensamento della mobilità urbana e dell’uso del suolo,
riqualificazione del patrimonio edilizio urbano,
rafforzamento del ruolo delle infrastrutture verdi e delle soluzioni basate sulla natura,
trasformazione dei sistemi alimentari urbani e passaggio a modelli di consumo più circolari.

Se le città giocano un ruolo importante nella transizione ecologica, è anche vero che le città sono uniche e diverse e per questo le tabelle di marcia per la transizione devono essere adattate alle condizioni locali.

Attraverso un sondaggio e delle interviste con alcune città selezionate, l’Agenzia europea per l’ambiente è andata a valutare alcuni dei fattori trainanti e i differenti ostacoli che i centri urbani devono affrontare nell’accelerare il passaggio verso modelli più sostenibili dal punto di vista ambientale. Quello che emerge è che
la flessibilità sarà la chiave per consentire alle città di mettere in atto misure che funzionino meglio per le proprie situazioni,
la legislazione dell'UE continua a svolgere un ruolo chiave nell'accelerare il cambiamento nelle città,
i governi nazionali e sovranazionali possono facilitare, oltre che inibire, il cambiamento di sistema,
le reti di città e i partenariati mirati hanno un ruolo vitale in tali processi,
il coinvolgimento efficace del pubblico nei processi decisionali porta a risultati migliori,
la comunicazione efficace ed innovativa delle informazioni è una parte importante del coinvolgimento del pubblico,
le nuove tecnologie possono svolgere un ruolo importante, ma devono essere inclusive e adatte allo scopo,
l'accesso ai finanziamenti UE, nazionali e privati svolge un ruolo fondamentale,
i processi di approvvigionamento verde e il consumo sostenibile sono importanti motori di cambiamento.

Per valutare il ruolo delle città nella transizione ecologica, all'interno dell'ampio quadro del Green Deal europeo e dell'Agenda urbana dell'UE, l’Agenzia europea ha selezionato sei “lenti” di osservazione ed analisi:
La città resiliente, in cui le capacità di individui, comunità, istituzioni, imprese consentono loro di adattarsi e rispondere a stress cronici e shock acuti
La città verde, che fornisce alla comunità ambienti sani e sostenibili attraverso una progettazione ecologica dello sviluppo urbano
La città a basse emissioni di carbonio, che si muove verso il raggiungimento di pratiche a basse emissioni di carbonio in tutti i suoi aspetti, inclusi economia e vita quotidiana
La città inclusiva, in cui i processi di sviluppo includono un'ampia varietà di cittadini e attività e che coinvolgono l'inclusione spaziale, sociale ed economica
La città sana, che consente alle persone di svolgere tutte le funzioni della vita e di svilupparsi al massimo delle loro potenzialità
La città circolare, in cui tutti i flussi di prodotti e materiali possono diventare una risorsa per nuovi prodotti e servizi

Grazie a questi 6 modelli di lettura ed analisi, l'Agenzia europea sta portando avanti la sua valutazione sui progressi delle città europee verso una transizione ecologica ed equa.

fonte: www.arpat.toscana.it



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Cambiamenti climatici: un concorso fotografico dell'Agenzia europea per l'ambiente



"Climate Change PIX" invita i partecipanti a descrivere il cambiamento climatico e la nostra risposta ad esso

È possibile partecipare al concorso fotografico lanciato dall’Agenzia europea per l’ambiente Climate Change PIX entro il 1° agosto 2021.

Quattro le categorie di concorso:
Impatti del cambiamento climatico sulla natura: In che modo il cambiamento climatico influisce sul nostro ambiente? Riesci a rappresentare i cambiamenti nell'aria, nella terra, nell'acqua o nella fauna selvatica?
Impatti del cambiamento climatico sulla società: In che modo il cambiamento climatico influisce sul modo in cui viviamo? Puoi mostrare come influisce sulla nostra salute, stili di vita, ambiente edificato o economia?
Soluzioni sociali per il cambiamento climatico: Dalle comunità locali alle iniziative a livello europeo, stiamo riducendo le emissioni di gas serra e adattandoci ai cambiamenti climatici. Puoi mostrarlo attraverso le tue foto?
Azione individuale sul cambiamento climatico: Le persone cercano stili di vita a basse emissioni di carbonio e intraprendono azioni per far fronte a condizioni meteorologiche estreme. Cosa sta succedendo dove vivi?

Il concorso è aperto ai cittadini europei di almeno 18 anni.

I vincitori delle quattro categorie del concorso, che saranno annunciati nell'autunno 2021, riceveranno un premio in denaro di 1.000 euro ciascuno. L'Agenzia europea assegnerà anche un Premio speciale per i giovani, per la migliore foto inviata da un giovane, e un "Premio per la scelta del pubblico" che sarà selezionato tra tutti i finalisti tramite una votazione online.

Per maggiori informazioni sulle regole del concorso e su come partecipare consulta la pagina di "Climate Change PIX"

fonte: www.arpat.toscana.it


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EEA: soluzioni basate sulla natura per combattere i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità

Lavorare con la natura può aiutare a prevenire i peggiori impatti del cambiamento climatico e la perdita di biodiversità e di ecosistemi

















Il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità e dei servizi ecosistemici rappresentano una minaccia globale per la società umana. Lavorare con la natura per usare i processi naturali per ridurre il rischio di pericoli naturali legati al cambiamento del clima è la chiave per progettare e implementare un'efficiente lotta al cambiamento climatico (CCA) e la riduzione del rischio di disastri (DRR).

Le soluzioni basate sulla natura (NbS) riconoscono questo valore chiave della natura e proteggono e ripristinano in modo sostenibile gli ecosistemi per ridurre la perdita di biodiversità e la degradazione degli ecosistemi, aumentando nel contempo la resilienza della società agli agli impatti del cambiamento climatico.

La scienza e la politica hanno cominciato a riconoscere il potenziale delle soluzioni basate sulla natura e la conoscenza si sta espandendo rapidamente, identificando lacune e prospettando piani per colmarle, tuttavia, le sfide per l'implementazione di tutto ciò rimane a livello locale, come dimostrato dai casi studio riportati in questo rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi sono interdipendenti e pongono sfide significative alla nostra società in quanto minacciano la stabilità economica e sociale, la salute pubblica e il benessere.

Il Forum economico mondiale considera gli eventi estremi legati al tempo e al clima insieme alla perdita di biodiversità tra i cinque rischi globali che saremo chiamati ad affrontare nel prossimo futuro. Combattere il cambiamento climatico e prevenire il degrado degli ecosistemi e la perdita di biodiversità, che sono strettamente dipendenti l’uno dall’altro, richiede una maggiore coerenza nelle agende politiche e nelle singole azioni.

Tali soluzioni riducono le vulnerabilità sociali e ambientali e possono portare molteplici benefici come:
la mitigazione del cambiamento climatico,
il miglioramento della salute,
il benessere umano,
la creazione di posti di lavoro,
le opportunità commerciali.

Questo rapporto mostra come le soluzioni basate sulla natura siano sempre più integrate nei quadri politici globali e comunitari che sono rilevanti per la resilienza al cambiamento climatico, per la conservazione e il ripristino della biodiversità.

Nel capitolo 2, infatti, si prendono in esame proprio i quadri politici globali e quelli dell’UE, valutando se, in essi, vi siano riferimenti alle varie soluzioni basate sulla natura come strumenti per l'adattamento al cambiamento climatico (CCA) e la riduzione del rischio di disastri (DRR). In particolare vengono esaminate 7 politiche internazionali e 15 politiche dell'UE.

I quadri politici globali e dell'UE, analizzati in questo studio, mostrano vari livelli di sostegno alle soluzioni basate sulla natura per la lotta al cambiamento climatico e la riduzione del rischio di disastri.

Su scala globale, le parti che hanno aderito alla Convenzione sulla Diversità Biologica hanno adottato linee guida volontarie tesi ad adottare approcci basati sugli ecosistemi. Molto importante a livello globale è l'agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

A livello europeo, l'European Green Deal risulta fondamentale per promuovere ulteriormente le soluzioni basate sulla natura, da applicarsi in diversi settori, aree tematiche e politiche. Lo stesso si può dire per la nuova strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030, che include, tra gli obiettivi, un piano di ripristino naturale anche attraverso l’adozione di soluzioni rigenerative basate sulla natura. Inoltre, la Commissione europea ha lanciato una nuova strategia sull'adattamento al cambiamento climatico, all'inizio del 2021, dove, anche in questo caso, sono previste soluzioni basate sulla natura.

Nel capitolo 3 del rapporto, invece, si analizzano le evidenze scientifiche delle soluzioni basate sulla natura per l'adattamento al cambiamento climatico e la riduzione del rischio di catastrofi.
A questo proposito è stata realizzata una revisione della letteratura scientifica per analizzare le opzioni chiave in grado di rappresentare le migliori soluzioni, evidenziare i molteplici benefici, così come i punti di compromesso e le limitazioni per i settori rilevanti in Europa (acqua, foreste e forestali, agricoltura, aree urbane e costiere).

Questa analisi conferma che l'approccio alle soluzioni basate sulla natura costituisce un'opzione socio-economica valida ed efficace, aumentando la resilienza al cambiamento climatico e fornendo molti benefici per la società. L'ulteriore implementazione di queste soluzioni, però, deve essere accompagnata dallo sviluppo di standard tecnici, da modelli di amministrazione di tipo collaborativo, dallo sviluppo di capacità e da finanziamenti sufficienti.

Nel capitolo 4 illustra come i settori e le aree tematiche rilevanti, come la gestione delle acque, le foreste, l'agricoltura (compresa l'agrosilvicoltura), le aree urbane, le aree costiere e quelle montane, affrontano varie sfide usando soluzioni basate sulla natura per l'adattamento al cambiamento climatico e la riduzione del rischio di disastri.

Il report prende in esame quasi 100 casi europei, che hanno coinvolto 107 località, in cui sono state adottate soluzioni basate sulla natura.

Il capitolo in questione fornisce una panoramica dei metodi applicati, delle misure attuate, delle caratteristiche innovative dei progetti e delle più ampie applicazioni dei risultati e delle lezioni apprese. Emerge con chiarezza che l'efficacia delle soluzioni basate sulla natura dipende fortemente dal contesto locale, dove molta importanza ricoprono gli stakeholder (portatori di interessi) locali, che devono essere coinvolti dalla fase di pianificazione e progettazione, cruciale per assicurare l'accettazione sociale, la piena realizzazione dei benefici delle soluzioni basate sulla natura.

L'analisi mette in evidenza che la progettazione delle soluzioni basate sulla natura dovrebbe basarsi su studi lungimiranti che riguardino sia gli impatti del cambiamento climatico che quelli socio-economici, includendo valutazioni, analisi multi-criteri e soluzioni di compromesso. Come sempre, standard concordati, obiettivi quantitativi e indicatori misurabili sono la chiave per monitorare e valutare i progressi, nonché l'efficacia e il ritorno dell'investimento delle soluzioni basate sulla natura.

Il capitolo 5 introduce e discute brevemente alcuni strumenti economici, strumenti economici, finanziari e di innovazione aziendale che favoriscono l'adozione di soluzioni basate sulla natura (NbS). Questi includono
incentivi o disincentivi,
schemi ambientali negoziabili,
schemi innovativi di finanziamento del rischio,
investimenti verdi.

I servizi ecosistemici hanno un valore economico nel contesto della riduzione del rischio di catastrofi naturali e dell'adattamento ai cambiamenti climatici anche se non viene pagato un prezzo per la loro fornitura e/o mantenimento.

Il rapporto si conclude evidenziando come ci siano ampie opportunità, in tutta Europa, per integrare le soluzioni basate sulla natura in diversi settori, sostenendo il cambiamento trasformativo necessario per affrontare le sfide interdipendenti del clima e della biodiversità.

Per approfondimenti leggi il report Nature-based solutions in Europe

fonte: www.arpat.toscana.it


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Studio EEA sui vantaggi del passaggio all'elettricità rinnovabile

Secondo un briefing dell'Agenzia europea per l'ambiente (EEA), il maggiore utilizzo di elettricità rinnovabile in tutta l'Unione europea non ha solo ridotto le pressioni legate al cambiamento climatico, ma anche all'inquinamento atmosferico e idrico (formazione di particolato, eutrofizzazione e acidificazione). Azioni più mirate possono aiutare a ridurre al minimo gli effetti ambientali negativi dell'aumento della fornitura di elettricità rinnovabile




In tutta l'Unione europea (UE), l'aumento dell'elettricità da fonti rinnovabili come il solare fotovoltaico (FV), l'eolico e le biomasse, entro il 2018, ha ridotto significativamente le emissioni di gas serra.

La valutazione si basa su due report tecnici in cui EEA presenta un'analisi dettagliata del ciclo di vita dei cambiamenti globali negli impatti ambientali complessivi associati alle tendenze del mix energetico dell'UE tra il 2005 e il 2018, in particolare il passaggio a quote crescenti di elettricità prodotta da fonti rinnovabili.

Per la maggior parte delle categorie di impatto esaminate, il passaggio dai combustibili fossili alle fonti di elettricità rinnovabile negli Stati membri dell'UE ha portato a chiari miglioramenti nel 2018 rispetto al 2005. Ciò è dovuto al fatto che l'intensità dell'impatto della generazione di elettricità da combustibili fossili è significativamente maggiore di quella della energia rinnovabile. Pertanto, i potenziali di impatto del ciclo di vita sono stati inferiori per l'eutrofizzazione, la formazione di particolato e l'acidificazione nel 2018 rispetto al 2005, mentre i potenziali di impatto legati all'ecotossicità e all'occupazione del suolo sono leggermente aumentati.

Il briefing mostra anche che il monitoraggio e le azioni mirate possono aiutare a minimizzare alcuni effetti negativi di questa transizione, in particolare quelli riguardanti l'ecotossicità dell'acqua dolce e l'occupazione del suolo.

Le azioni dovrebbero concentrarsi sulla riduzione degli impatti legati all'approvvigionamento di materiali e ai processi di produzione attraverso varie catene di approvvigionamento (ad esempio per moduli solari fotovoltaici e combustibili da biomassa), insieme a miglioramenti nell'efficienza energetica e delle risorse.

Poiché i progetti di elettricità rinnovabile sono destinati a crescere, la valutazione di altri potenziali impatti, come quelli che interessano gli habitat e gli ecosistemi, sarà essenziale per contenere gli impatti futuri.

Gli ultimi dati disponibili mostrano che la quota di energia rinnovabile a livello dell'UE nel 2019 era inferiore di meno di mezzo punto percentuale rispetto all'obiettivo vincolante del 20% per il 2020.

Con il 34% di tutta la produzione di elettricità, l'elettricità rinnovabile è quasi raddoppiata dal 2005 e il carbone non fornisce più la maggior parte dell'elettricità dell'UE. Tuttavia, i combustibili fossili producono complessivamente più elettricità (38% di tutta la produzione nel 2019) rispetto alle fonti rinnovabili.

Con gli impianti basati sulla combustione che dominano il mix energetico, il settore elettrico dell'UE è responsabile di quasi un quarto di tutte le emissioni di gas serra dell'UE.

La piena attuazione dei piani nazionali per il clima e l'energia per il 2030 consentirebbe all'UE di superare i suoi attuali obiettivi per il clima e le energie rinnovabili per il 2030.

Tuttavia, tali progressi sono ancora insufficienti per raggiungere un obiettivo più elevato di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 o per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. L'energia rinnovabile dovrebbe crescere fino a oltre l'80% entro il 2050 per rispettare questi impegni.

Questo briefing si basa sui rapporti
A life cycle perspective on the benefits of renewable electricity generation
Renewable energy in Europe 2020 — recent growth and knock-on effects

Sono inoltre disponibili informazioni sulle politiche e misure nazionali in materia di energia rinnovabile in Europa e sui progressi verso il raggiungimento degli obiettivi energetici.

I dati sulle emissioni di gas serra e di inquinanti atmosferici sono disponibili in visualizzatori di dati dedicati sul sito EEA.

fonte: www.arpat.toscana.it


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Plastica nel tessile: verso un'economia circolare per i tessuti sintetici in Europa

Le fibre tessili sintetiche sono prodotte da combustibili fossili, petrolio e gas naturale, risorse non rinnovabili e generano impatti vari sull’ambiente sia in fase di produzione che di consumo ma anche successivamente quando si trasformano in rifiuti



La crisi dovuta al COVID-19 ha portato a un improvviso calo della domanda di prodotti tessili da parte dei consumatori, con conseguenti problemi di liquidità e disoccupazione nel settore, creando in questo comparto un vero e proprio shock, che potrebbe dare avvio a due diversi scenari:
il primo vede un rallentamento nella transizione verso un tessile più circolare e sostenibile
il secondo, al contrario, determina uno slancio verso il cambiamento radicale del comparto tessile rendendolo maggiormente circolare, con risultati economici e ambientali positivi.

Sappiamo che la ripartenza post COVID-19 dipenderà anche dall’adozione di nuovi modelli economici che terranno conto della potenzialità dell’economia circolare, ma affinché questa transizione si concretizzi, bisogna partire dall'analisi dei comparti produttivi, dagli elementi di criticità e dalla loro capacità di trasformazione.

Lo studio dell’Agenzia Europea dell’ambiente (di seguito EEA), "Plastic in textiles: towards a circular economy for synthetic textiles in Europe", pubblicato alla fine di gennaio 2021, vuole andare in questa direzione. Fornisce una panoramica sulla produzione di tessile sintetico in Europa, analizza gli impatti ambientali e indica alcuni ambiti su cui puntare maggiormente per trasformare il settore, rendendolo più sostenibile e circolare.

Non stiamo parlando di un settore di nicchia, in Europa i tessuti a base di plastica - o "sintetici" – fanno parte della nostra vita quotidiana. Sono presenti nei vestiti che indossiamo, negli asciugamani che usiamo e nelle lenzuola in cui dormiamo. Sono nei tappeti, nelle tende e nei cuscini con cui decoriamo le nostre abitazioni e gli uffici. Sono nelle cinture di sicurezza, nei pneumatici delle auto, nell'abbigliamento da lavoro e in quello sportivo.

Produzione e consumo

Il consumo globale di fibre sintetiche è passato da poche migliaia di tonnellate nel 1940 a più di 60 milioni di tonnellate nel 2018, e continua ad aumentare. Dalla fine degli anni '90, il poliestere ha superato il cotone come fibra più comunemente usata nel tessile.

La maggior parte delle fibre tessili sintetiche sono prodotte in Asia, l'Europa è il più grande importatore mondiale, pur essendo anch'essa una produttrice ed esportatrice. Secondo le stime sono state prodotte, nel 2018 in Europa, 2,24 milioni di tonnellate di fibre sintetiche, 1,78 milioni di tonnellate sono state importate, 0,36 milioni di tonnellate esportate e 3,66 milioni di tonnellate consumate.

Il grosso vantaggio delle fibre sintetiche è che sono economiche e versatili, consentendo la produzione di tessuti a basso costo, per questo sono molto utilizzate soprattutto nella fast fashion (moda usa e getta). Oltre il 70% delle fibre tessili sintetiche viene trasformato in abbigliamento e tessili per la casa. Il resto viene utilizzato per tessuti tecnici (ad esempio abbigliamento di sicurezza) e usi industriali (ad esempio materiali per veicoli e macchinari di vario genere).

Secondo l'European Bioplastic, la produzione e l'uso di fibre sintetiche a base biologica, purtroppo, ad oggi, è trascurabile.

Più della metà della produzione globale di fibre è costituita da poliestere, che risulta essere la fibra sintetica più comune (55 milioni di tonnellate nel 2018). Si tratta di una fibra resistente, prodotta a basso prezzo e utilizzata in una moltitudine di applicazioni. Dopo il poliestere, è il nylon la fibra sintetica più usata, nel 2018, ne sono state prodotte oltre 5 milioni di tonnellate e viene ampiamente utilizzata in collant, tappeti e ombrelli. di fibra di nylon.

Impatti sull’ambiente e sul clima delle emissioni in atmosfera

La produzione e il consumo di prodotti tessili generano pressioni e impatti ambientali come
emissioni di gas serra (GHG)
inquinamento dell'aria e dell'acqua
consumo del suolo, dell'acqua e di altre risorse.

La produzione di fibre sintetiche richiede grandi quantità di energia e contribuisce in modo significativo al cambiamento climatico e all'esaurimento delle risorse di combustibili fossili. Tuttavia, a differenza del cotone - la fibra naturale più comune - le fibre sintetiche quando vengono prodotte non richiedono l'uso di pesticidi o fertilizzanti tossici.

La gamma di impatti sull'ambiente dipende molto dal tipo di fibra. Fibre diverse hanno chiaramente impatti ambientali e climatici diversi, quindi non è facile valutare quali di queste sia da ritenersi più idonee.

Gli impatti ambientali e climatici specifici delle fibre sintetiche più comuni possono essere confrontati con il cotone, per chilogrammo di tessuto tinto. Il nylon, fibra sintetica, ha il più alto impatto, per chilogrammo, sul il cambiamento climatico e l'uso di combustibili fossili, mentre per quanto riguarda l'uso della terra, dell'acqua, l'eutrofizzazione e la scarsità di risorse minerali, è il cotone ad avere il più alto impatto per chilogrammo.

Un confronto simile può essere fatto tra poliestere e cotone: si stima che l'intero ciclo di vita di 1 kg di tessuto in poliestere sia responsabile del rilascio di più di 30 kg di anidride carbonica equivalente, mentre il cotone ne rilascia circa 20 kg.

È importante tenere presente che gli impatti dipendono anche dai volumi di produzione delle fibre e dei tessuti. Per esempio, mentre la produzione di poliestere usa meno energia del nylon, il suo tasso di produzione annuale è molto più alto e quindi comporta impatti complessivi maggiori.

Inoltre bisogna valutare gli effetti ambientali nel loro complesso, in quanto questi non sono generati solo durante la produzione di tessuti ma anche durante l'uso, si pensi al lavaggio domestico e/o industriale, all'asciugatura e alla stiratura. Se da un lato queste attività richiedono molta energia e contribuiscono al cambiamento climatico, dall'altro consentono un uso più lungo e intenso del prodotto, aumentandone la durata.

Ai problemi sopra menzionati si aggiunge quello delle microplastiche, problema ambientale abbastanza recente, oggetto di ricerca e, in genere, non valutato nella tipica analisi del ciclo di vita di un tessuto. C'è ancora molto da studiare e da capire sulla portata e sull' impatto delle microplastiche sulla salute umana e sull'ambiente. Le microplastiche vengono rilasciate dai tessuti sintetici durante tutto il loro ciclo di vita: in fase di produzione di fibre e tessuti, durante l'uso e il lavaggio fino allo smaltimento, che sia tramite discarica, incenerimento o riciclaggio. Si stima che ogni anno entrino nell'ambiente marino tra le 200 000 e le 500 000 tonnellate di fibre microplastiche provenienti dai tessuti.

Verso un’economia circolare delle fibre sintetiche

Nel piano d'azione per l'economia circolare del 2020, la Commissione europea ha identificato il tessile come un settore tra quelli prioritari su cui lavorare per raggiungere modelli di economia circolare. Il piano d'azione riconosce che "i tessili sono la quarta categoria a più alta pressione per l'uso di materie prime primarie e acqua, dopo il cibo, l'alloggio e i trasporti, e la quinta per le emissioni di gas serra". Il piano d'azione contempla la strategia dell'UE per il settore tessile volta a "rafforzare la competitività industriale e l'innovazione, dando impulso al mercato europeo dei tessili sostenibili e circolari, compreso il mercato del riutilizzo dei tessili, meno improntato al fast fashion e rivolto a nuovi modelli di business".

In linea con il piano d'azione per l'economia circolare del 2020, questo studio e la relazione ETC/WMGE evidenziano alcuni ambiti su cui lavorare per rendere la produzione e il consumo di tessuti sintetici più circolare e sostenibile:
scelta di fibre sostenibili
controllo del rilascio di microplastiche
miglioramento della raccolta differenziata, riutilizzo e riciclaggio.

Per quanto riguarda la scelta di fibre sostenibili, questa definisce le proprietà e le prestazioni del prodotto tessile, ma determina anche l'impatto ambientale risultante. Il passaggio alle fibre naturali o a base biologica può ridurre l'uso di risorse come i combustibili fossili e anche limitare le emissioni di gas serra.

Il principio guida, secondo l'EEA, è che la scelta della fibra dovrebbe corrispondere all'applicazione del prodotto tessile, alle proprietà richieste, alla durata prevista e ai processi di fine vita. Nella fase di progettazione, vengono fatte scelte importanti sui tipi di fibre da usare per un particolare prodotto o una specifica applicazione. L'importanza della selezione delle fibre adatte allo scopo implica che non serve escludere certi tipi di fibre - per esempio quelle sintetiche - e che non esiste un tipo di fibra che da solo possa rappresentare l’industria tessile sostenibile.

Per quanto attiene, invece, il controllo del rilascio di microplastiche, possiamo dire che, al momento, sono state avviate diverse iniziative per studiare i fattori che influenzano il rilascio di microplastiche - e per valutare il loro effetto sulla salute umana e sull'ambiente. Allo stesso tempo, si stanno studiando molte soluzioni, come la produzione di materiale tessile adattato ai filtri nelle lavatrici, per ridurre la perdita di microplastiche nell'acqua o nell’aria durante il ciclo di vita del tessuto.

Con riferimento infine al miglioramento della raccolta differenziata, del riutilizzo e del riciclaggio, questi si mostrano fondamentali per ridurre la domanda di fibre vergini e quindi raggiungere un'economia circolare.

Il riciclaggio delle fibre è particolarmente impegnativo nel caso dei tessili sintetici, sia per ragioni tecniche che economiche. Una migliore raccolta differenziata dei tessili, un'accurata selezione automatizzata e un riutilizzo e riciclaggio dei tessili di alta qualità hanno un potenziale significativo per ridurre l'impatto ambientale.Tuttavia, molte sfide tecniche, economiche e sociali dovranno essere superate per facilitare e incoraggiare il riutilizzo e rendere il riciclaggio delle fibre tecnicamente ed economicamente fattibile.

"Plastic in textiles: towards a circular economy for synthetic textiles in Europe"

fonte: www.arpat.toscana.it


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Emissioni globali di anidride carbonica di origine fossile

Se a livello mondiale continuano ad aumentare, UE e Regno Unito sono andati in controtendenza












A livello globale, nel 2019, proseguendo un trend già osservato nel 2017 e 2018, le emissioni di CO2 di origine fossile hanno continuato ad aumentare, anche se ad un tasso di crescita inferiore (+0,9% rispetto al 2018).

Queste emissioni sono invece diminuite di quasi il 3,8%, risultando inferiori del 25,1% rispetto ai livelli del 1990, nei Paesi dell'Unione europea e nel Regno Unito, la riduzione più significativa tra le principali aree economiche responsabili delle emissioni a livello mondiale. In confronto, Stati Uniti e Giappone hanno aumentato le loro emissioni rispettivamente dello 0,8 e dello 0,4% rispetto ai livelli del 1990, mentre Cina e India hanno rispettivamente 3,8 e 3,3 volte più emissioni di CO2 nel 2019 rispetto al 1990, a causa della loro rapida industrializzazione negli ultimi due decenni.



La tendenza al ribasso delle emissioni nei paesi dell’Unione europea è confermata anche dai dati preliminari dell'Agenzia europea per l'ambiente (EEA) sulle emissioni di gas serra; tali dati collocano l'UE sulla buona strada per porre fine all'uso di sostanze chimiche che danneggiano lo strato di ozono nell'ambito del protocollo di Montreal: nel 2019, per il settimo anno consecutivo, l'UE ha distrutto o esportato più sostanze che riducono lo strato di ozono di quante ne abbia prodotte o importate. I risultati riflettono il successo nell'attuazione del regolamento sull'ozono dell'UE, che va oltre il protocollo di Montreal.

In Italia tra il 1990 e il 2019 le emissioni di CO2 di origine fossile sono diminuite del 23% e tra il 2018 e il 2019 del 3%, una percentuale inferiore alla media europea. Tra i paesi UE e Regno Unito, nel 2019, il maggior contributo alle emissioni totali di CO2 dell’UE è venuto dalla Germania con il 21,3%, seguita da Regno Unito (11,0%), Italia (10,0%), Polonia (9,6%), Francia (9,5%) e Spagna (7,8%).



Questi sono alcuni dei risultati degli ultimi aggiornamenti della banca dati per ricerca sulle emissioni atmosferiche globali (EDGAR), strumento sviluppato dal Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea che fornisce serie temporali sulle emissioni di CO2 fossile dal 1970 al 2019 in tutti i paesi. Le stime EDGAR si basano sulle ultime statistiche globali disponibili e sulla conoscenza scientifica dei meccanismi di emissione per un'ampia gamma di attività antropiche. La metodologia utilizzata è completamente trasparente e in linea sia con la letteratura scientifica più recente che con le raccomandazioni del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC).

Le riduzioni registrate in Europa sono l’effetto di una combinazione di politiche relative al cambiamento climatico, che mirano a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990, un obiettivo per raggiungere un'UE climaticamente neutra (emissioni nette di gas a effetto serra pari a zero) entro il 2050. Diverse proposte per rafforzare queste ambiziose politiche climatiche e ambientali dell'UE sono previste anche nel contesto del Green Deal europeo.

Come osservato dall’EEA, la tendenza al ribasso delle emissioni nell’UE riflette la forte e costante crescita delle energie rinnovabili in Europa e l'abbandono del carbone, innescato in particolare dall'aumento dei prezzi delle emissioni di carbonio. Inoltre, il calo del 2019 si è verificato in un periodo di crescita economica, evidenziando i risultati di politiche climatiche efficaci attuate in tutta l'UE. Ciò dimostra che è chiaramente possibile raggiungere obiettivi di riduzione più ambiziosi entro il 2030, aprendo la strada ad un'UE climaticamente neutra entro il 2050.

Per approfondimenti leggi
Fossil CO2 emissions of all world countries - 2020 Report
Ozone-depleting substances 2020 - briefing EEA

fonte: www.arpat.toscana.it

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UE: L’elettronica di lunga durata giova all’ambiente, al clima e all’economia circolare

L’industria elettrica ed elettronica contribuisce all’Europa socialmente ed economicamente da quasi 100 anni.



Tuttavia, la produzione, l’uso e lo smaltimento dell’elettronica sono attività ad alta intensità di risorse che si traducono in impatti ambientali e climatici significativi.

Estendere la durata e ritardare l’obsolescenza dell’elettronica può ridurre in modo significativo il loro impatto ambientale e climatico e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea (UE) in materia di ambiente, clima ed economia circolare.



Questo briefing dell‘Agenzia europea dell’ambiente ( EEA ) descrive come aumentare la durata del prodotto e migliorare la “circolarità” siano passaggi essenziali per ridurre gli impatti dell’elettronica.

I casi di studio di 4 diversi gruppi di prodotti elettronici smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere mostrano che esiste il potenziale per aumenti significativi nel loro utilizzo effettivo.

Estendere la durata e ritardare l’obsolescenza dell’elettronica può ridurre notevolmente gli impatti e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di ambiente, clima e circolarità.

Messaggi chiave

Ogni anno nell’UE vengono immessi sul mercato in media oltre 20 kg di prodotti elettrici ed elettronici per persona nell’UE, inclusi grandi elettrodomestici come lavatrici, aspirapolvere, frigoriferi e congelatori, nonché elettronica e gadget come computer, TV e telefoni cellulari. (Eurostat, 2019a)
I casi di studio di quattro diversi gruppi di prodotti elettronici mostrano che tutti hanno una vita media effettiva che è di almeno 2,3 anni inferiore a quella progettata o desiderata. Esiste il potenziale per aumenti significativi nell’uso effettivo di questi prodotti.
Estendere la durata e ritardare l’obsolescenza dell’elettronica può ridurre significativamente gli impatti e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di ambiente, clima e circolarità. L’abilitazione e il potenziamento dei modelli di business circolari supportati dallo sviluppo e dall’attuazione di misure efficaci – progettazione ecocompatibile, etichettatura energetica, appalti pubblici verdi (GPP) e responsabilità estesa del produttore (EPR) – possono supportare questo.

È possibile esaminare la durata dei prodotti elettronici confrontando la durata effettiva con la durata progettata e desiderata:
La durata effettiva si riferisce all’intervallo tra il momento in cui un prodotto viene venduto e il momento in cui viene scartato o sostituito.
La durata di vita progettata è la durata in cui un produttore intende che il suo prodotto rimanga funzionale, modellato attraverso il design e il servizio post-vendita ecc.
La durata desiderata è stata definita come il tempo medio in cui i consumatori desiderano che i prodotti durino.

La differenza tra la durata effettiva, progettata e desiderata di smartphone, aspirapolvere, televisori e lavatrici (che sono stati analizzati nei casi di studio alla base di questo briefing) è mostrata nella Figura qui sotto
Durata di vita di smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere

Immagine: eea.europa.eu/

Come si può vedere da questo studio dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere vengono utilizzati in media ( almeno 2,3 anni) per periodi più brevi rispetto alla durata prevista e desiderata.

Ciò significa che esiste un potenziale significativo per aumentare la durata di vita di questi prodotti, ad esempio, rendendoli più facili da usare per periodi più lunghi, il riutilizzo, la riparazione, la rigenerazione o il riciclaggio.

Smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere

Al fine di esaminare più in dettaglio la durata e gli impatti ambientali dell’elettronica, nell’ambito di questo studio sono stati elaborati quattro casi di studio per smartphone, televisori LCD, lavatrici e aspirapolvere.

I materiali utilizzati in un prodotto elettronico sono un fattore importante nel determinare la durata e la possibile obsolescenza di quel prodotto. I materiali utilizzati nell’elettronica variano considerevolmente, come mostrato nella Figura sotto.

Per gli smartphone , il materiale principale è il vetro seguito da alluminio, rame e materie prime critiche. Per i televisori LCD i materiali principali sono ferro, plastica e vetro.Anche gli aspirapolvere sono realizzati principalmente con plastica e ferro, mentre le lavatrici sono realizzate principalmente con ferro, cemento e plastica. 

Contenuto medio di smartphone, televisore LCD, lavatrice e aspirapolvere

Immagine: eea.europa.eu/

Per migliorare la “circolarità” dei prodotti elettronici, il briefing dell’AEA sottolinea la necessità di rafforzare i requisiti di progettazione ecocompatibile dei prodotti e di migliorare il loro potenziale di riparazione, smaltimento e rifabbricazione.

CONTINUA A LEGGERE QUI TROVI IL REPORT COMPLETO

INFO: https://www.eea.europa.eu/highlights/longer-lasting-electronics-benefit-environment

fonte: www.economia-circolare.info

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Ridurre la produzione di rifiuti plastici

Il rapporto EEA evidenzia come la produzione di plastica abbia un costo ambientale; nel 2012, il contributo all’inquinamento atmosferico conseguente alla produzione di plastica e al suo incenerimento è stato pari a 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari alle emissioni prodotte dalla Polonia nello stesso anno





Quest’anno, complice la Pandemia, non si parla molto di rifiuti plastici, sembra essere andata in secondo piano la questione della presenza delle plastiche, nano e micro, nei nostri mari e lo stesso si può dire per le campagne di sensibilizzazione all’utilizzo di prodotti alternativi alla plastica usa e getta, un esempio per tutti le borracce al posto delle bottigliette monouso d’acqua.



Secondo i dati riportati nel report “ Preventing plastic waste”, elaborato dall’Agenzia Europea per l’ambiente (di seguito EEA), la richiesta di plastica sta aumentando nel mondo e in Europa, nel 2017 la richiesta di plastica si fermava a quasi 52 milioni di tonnellate, contro le 46 tonnellate del 2010, il trend di crescita negli ultimi anni è risultato sempre costante.

La produzione di plastica ha raggiunto le 348 milioni di tonnellate nel 2017, con una maggiorazione di 13 milioni di tonnellate negli ultimi anni, l’aumento della richiesta è dovuto soprattutto al fatto che la plastica ha un basso costo e risulta versatile, si adatta a diversi impieghi non solo nel settore degli imballaggi ma anche nel comparto delle costruzioni, delle autovetture e in quello dell’elettronica.

Le diverse applicazioni della plastica incidono sullo smaltimento, se usiamo questo materiale in un imballaggio usa e getta, diventerà un rifiuto in poco tempo ma se lo utilizziamo nell’edilizia, invece, si trasformerà in un rifiuto non prima di 50 anni.

Questo incide anche sulle politiche di prevenzione che devono essere attuate, e che necessitano di essere suddivise in base alla tipologia di plastica e al suo diverso uso in differenti tipi di prodotti.


Il consumo di plastica si riflette inevitabilmente sulla produzione di rifiuti plastici che è anch’essa in aumento, mentre la quota di riciclaggio per questa tipologia di rifiuti si attesta intorno al 30%. Nel 2016 una buona quantità di rifiuti plastici prodotti in Europa sono stati destinati a paesi extra-europei mentre solo il 6% si stima che sia stato riciclato in paesi dell’UE.

Naturalmente i quantitativi di rifiuti plastici prodotti nei diversi paesi europei sono alquanto diversi, come sono differenti le politiche di prevenzione messe in atto. Questo report EEA cerca di indagare quali politiche di prevenzione stiano attuando i diversi paesi UE e quali siano le buone pratiche realizzate. Analizzando i singoli programmi di prevenzione rifiuti dei paesi membri UE, sono emerse 173 misure di prevenzione il 60% di queste riguardano la fase di produzione mentre la restante parte quella del consumo. 

In sintesi possiamo dire che le misure di prevenzione fanno capo ad alcune aree:

la progettazione ecocompatibile dei prodotti, cd ecodesign,
le misure di riduzione della presenza di sostanze pericolose nei prodotti di plastica
gli accordi volontari
l'attività di informazione
gli strumenti di mercato
le misure di tipo normativo.


La stragrande maggioranza delle misure riguardano la riduzione del quantitativo di rifiuti plastici prodotti mentre minoritarie risultano quelle riguardanti l’eco-design e le misure per limitare e/o eliminare la presenza di sostanze pericolose nei prodotti.

Molte delle azioni previste dai singoli paesi sono da considerarsi “soft”, ovvero prevedono delle campagne di informazione e comunicazione e degli accordi su base volontaria, ma ci sono anche alcune misure che incidono sul mercato, tra queste, quelle che hanno ottenuto maggiore successo sono quelle che hanno inciso sull’uso quotidiano di buste usa e getta per la spesa.



Dal quadro predisposto, emerge che nella metà dei paesi esaminati, il problema della sovraproduzione di rifiuti in plastica è tenuto in debita considerazione, in particolare 14 paesi e 5 regioni lo ritengono tra i principali problemi ambientali, mentre gli altri non hanno un capitolo dedicato a questa tematica; non è da escludere, però, che abbiamo una normativa specifica, a livello nazionale o regionale, che si occupi di questa problematica, come nel caso dell'Italia.

Nel programma di prevenzione italiano non si parla di rifiuti plastici e di come prevenirli, ma a livello nazionale esiste una normativa per la riduzione dell'uso di sacchetti in plastica usa e getta, che ha dato buoni risultati e una normativa che vieta l'uso di microplastiche nei prodotti per la pulizia e l'igiene personale, entrata in vigore agli inizi di quest'anno.

Al contempo, alcune regioni, come la nostra, hanno legiferato sul tema, in questa direzione, infatti, va la legge regionale n. 37 (pubblicata sul BURT n. 31 del 28 giugno 2019) che contiene "Misure per la riduzione dell’incidenza della plastica sull’ambiente" con cui si prevede che, in Toscana, si limiti l'uso di prodotti in plastica usa e getta in
manifestazioni fieristiche, sagre, fiere mercato, anche di comunicazione, organizzate o finanziate, anche in parte, dalla Regione, enti locali, enti e aziende soggette alla vigilanza degli stessi parchi, aree protette, lidi e spiagge del demanio marittimo.

Nel primo caso il divieto riguarda contenitori, mescolatori per bevande, aste a sostegno di palloncini, cannucce e stoviglie quali posate, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette e piatti in plastica monouso. Nel secondo caso, invece, è vietato l'utilizzo, ai fini della somministrazione di cibi e bevande, di contenitori, mescolatori per bevande, cannucce e stoviglie quali posate, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette e piatti in plastica monouso.


La normativa regionale aveva portato diverse enti locali della costa toscana (qualcuno, in realtà, anche prima dell'entrata in vigore della norma della Regione Toscana) a predisporre atti amministrativi per limitare l'uso di prodotti usa e getta di plastica sulle spiagge. Tra queste, ma l'elenco non è da intendersi esaustivo, c'erano le seguenti amministrazioni:

Comune Provincia

Massa Massa
Viareggio Lucca
Forte dei Marmi Lucca
Pietrasanta Lucca
Pisa Pisa
Campo nell'Elba Livorno
Capoliveri Livorno
Capraia Livorno
Castagneto Carducci Livorno
Cecina Livorno
Livorno Livorno
Marciana Livorno
Marciana Marina Livorno
Piombino Livorno
Porto Azzurro Livorno
Rio Livorno
Rosignano Marittimo Livorno
Scarlino Livorno
Follonica Grosseto
Castiglione della Pescaia Grosseto
Orbetello Grosseto


Il rapporto EEA mette in evidenza che la maggior parte delle misure di prevenzione stabilite dai paesi si occupano di prevenzione quantitativa, mentre sono state evidenziate solo 14 misure di tipo qualitativo ovvero che riguardano l'eco-design, mentre per quanto riguarda la riduzione delle sostanze pericolose nei prodotti in plastica, solo cinque misure menzionano esplicitamente questo obiettivo.

È chiaro che i paesi membri considerano i volumi prodotti come l'elemento più importante nell'ambito della prevenzione dei rifiuti, pertanto, le misure di prevenzione sono ancora prevalentemente quantitative; va comunque detto che i singoli paesi potrebbero avere adottato misure che affrontano l'eco-design o la presenza di sostanze pericolose in altri atti legislativi, come leggi per la gestione dei rifiuti pericolosi.

Nel complesso, i paesi membri UE mostrano di puntare molto sugli strumenti informativi (42% di tutte le misure) ma fanno riferimento anche agli strumenti normativi e di mercato più rigorosi e vincolanti al fine di dare attuazione alla volontà chiaramente espressa dai responsabili politici di affrontare efficacemente la questione dei rifiuti in plastica nei mari e negli oceani così come sulla terraferma.

Il report mette in evidenza anche il principale limite delle politiche di prevenzione attuali, ovvero il fatto che ancora non sono diffuse, in Europa, misure specifiche suddivise per target di prodotti plastici, che invece risulterebbe le più efficaci. Nel futuro è auspicabile che le misure per la prevenzione dei rifiuti in plastica divengano più stringenti, e soprattutto siano “targhettizzate”, ovvero tengano conto di specifiche tipologie di plastiche o specifici usi, in particolare, bisognerà puntare l’attenzione soprattutto sui prodotti in plastica usa e getta e sulle plastiche non riciclabili.

Risulta altresì necessario affiancare altri elementi, quali la responsabilità del produttore, gli acquisti verdi, la consapevolezza da parte dei cittadini, l’ecodesign ed alcuni strumenti finanziari, come indicato anche nella strategia europea sulla plastica monouso e l’economia circolare, che ornirà uno stimolo ad inserire nei propri programmi nazionali di prevenzione dei rifiuti aspetti più specifici come quello della riduzione dei rifiuti plastici


Il report ci ricorda che la produzione di plastica ha un costo ambientale, nel 2012, il contributo all’inquinamento atmosferico, conseguente alla produzione di plastica e al suo incenerimento, è stato pari a 400 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, pari alle emissioni prodotte dalla Polonia nello stesso anno. Proprio per questo l’EEA ha raccolto una serie di migliori pratiche adottate dai singoli paesi membri UE per contenere questo problema.

A questo si aggiunge l'inquinamento dei fiumi e dei mari, dove son sempre più presenti sia rifiuti plastici che frammenti, che creano grossi problemi alla biodiversità marina. Questo problema molto sentito lo scorso anno, quest'anno è un pò meno al centro dell'attenzione, anche se non mancano le iniziative, come il film, "68.415", ideato da Antonella Sabatino e Stefano Blasi, due giovani registi e filmmaker, che ci ricordano di fare la raccolta differenziata e non abbandonare mai prodotti plastici soprattutto usa e getta in plastica, se vogliamo dire addio, una volta per tutte, alla plastica monouso.

Approfondisci: Preventing plastic waste


fonte: www.arpat.toscana.it


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Ambiente sano, vita sana

Affrontare l'inquinamento atmosferico ed acustico, gli impatti dei cambiamenti climatici e l'esposizione a sostanze chimiche pericolose migliorerà la salute e il benessere, soprattutto delle persone più vulnerabili: le valutazioni dell'Agenzia europea per l'ambiente





Migliorare la salute e il benessere dei cittadini europei risulta più importante che mai in questo momento in cui tutto il mondo è impegnato ad affrontare la pandemia; quest’ultima ci ha fornito un chiaro esempio dei complessi legami tra l'ambiente, i nostri sistemi sociali e la nostra salute.

Da un nuovo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente, basato in larga parte sui dati dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulle cause di morte e malattia, emerge quanto una percentuale significativa di malattie in Europa continui ad essere associata all'inquinamento ambientale derivante dall'attività umana (nell’immagine che segue le 10 principali malattie non trasmissibili che causano decessi attribuibili all'ambiente nei paesi europei ad alto reddito).



Vediamo alcuni dei risultati chiave che emergono dal rapporto.

L'inquinamento atmosferico resta la principale minaccia ambientale europea per la salute, con oltre 400.000 morti premature dovute a tale inquinamento ogni anno nell'UE. La cattiva qualità dell'aria indoor correlata all’uso di combustibili solidi provoca quasi 26.000 morti premature ogni anno.

L'inquinamento acustico è al secondo posto, contribuendo a 12.000 morti premature e a 48.000 nuovi casi di cardiopatia ischemica.

Seguono al terzo posto gli impatti dei cambiamenti climatici, in particolare le ondate di calore: negli attuali scenari di riscaldamento globale, ulteriori morti dovute a ondate di calore potrebbero superare la cifra di 130.000 all'anno. Le forti precipitazioni, le inondazioni, l'innalzamento del livello del mare e le ondate di calore, nonché i cambiamenti climatici a lungo termine, rappresentano una minaccia per le infrastrutture, la produzione alimentare e altre attività economiche. Altri effetti a catena del cambiamento climatico, ad esempio la perdita di biodiversità, avranno impatti indiretti, come ad esempio la riduzione della produttività agricola.

Una vasta gamma di malattie croniche è associata all'esposizione a sostanze chimiche pericolose: l'OMS stima che il 2,7% dei decessi totali sia attribuibile all'esposizione chimica. Tuttavia, l'impatto totale delle sostanze chimiche sulla salute in Europa non è ben conosciuto, poiché la comprensione dell'esposizione della popolazione europea alle sostanze chimiche è ancora limitata.

Anche l'esposizione ai campi elettromagnetici, che si prevede in aumento, è ancora poco conosciuta: sebbene ci siano effetti acuti ben definiti dell'esposizione a determinati campi elettromagnetici sulla salute, inclusi sintomi come la stimolazione dei nervi e degli organi sensoriali e il riscaldamento dei tessuti, ci sono poche prove riguardo all'impatto sulla salute dell'esposizione a lungo termine.

L'inquinamento dell'acqua può avere un impatto sulla salute attraverso l'uso di acqua potabile contaminata, o per contatto con acque di balneazione contaminate, nonché attraverso l'esposizione indiretta, per il consumo di pesce contenente inquinanti come il mercurio. Per quanto riguarda l’acqua potabile a preoccupare è la possibile presenza di inquinanti emergenti che non sono attualmente monitorati in tale acqua. Il rilascio di antibiotici attraverso gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane può accelerare in modo significativo l'emergere e la diffusione della resistenza agli antimicrobici. Si stima che ogni anno nell'UE le infezioni causate da batteri multiresistenti causino 25.000 decessi.

Come si può vedere da questo quadro, le persone sono esposte a molteplici rischi per la propria salute e ad una combinazione di diversi fattori, in qualsiasi momento della loro vita. Le città europee dal canto loro sono particolarmente vulnerabili a queste molteplici minacce.

Il peso dell'inquinamento e del cambiamento climatico varia però in Europa, con chiare differenze tra i paesi dell'Europa orientale e occidentale. La percentuale più alta di morti attribuibili all'ambiente si riscontra in Bosnia ed Erzegovina (27%) e la più bassa in Islanda e Norvegia (9%). Le comunità socialmente svantaggiate di solito lottano sotto il triplice carico di povertà, ambienti di scarsa qualità e cattiva salute. Le comunità più povere sono spesso esposte a livelli più elevati di inquinamento e rumore e ad alte temperature, mentre le condizioni di salute preesistenti aumentano la vulnerabilità ai rischi per la salute ambientale. Il rapporto evidenzia la necessità di misure mirate per migliorare le condizioni ambientali per i più vulnerabili in Europa.

La ricerca in corso sta studiando i collegamenti tra l'attuale pandemia e le dimensioni ambientali. Si pensa che il virus dietro Covid-19 sia passato dall’animale all'uomo, un risultato cioè imprevisto della pressione che l'aumento del consumo esercita sui nostri sistemi naturali. Per quanto riguarda l'impatto del Covid-19 sulle comunità, le prime prove suggeriscono che l'esposizione a lungo termine all'inquinamento atmosferico e la povertà possono essere collegati a tassi di mortalità più elevati. Sono però ancora necessarie ulteriori ricerche per chiarire queste interazioni, secondo una valutazione iniziale dell'Agenzia europea.

Il rapporto sottolinea quindi come sia necessario un approccio integrato delle politiche ambientali e sanitarie per affrontare i rischi ambientali, proteggere i più vulnerabili e realizzare appieno i benefici che la natura offre a sostegno della salute e del benessere.

Una natura sana è infatti uno strumento chiave per garantire la salute pubblica, ridurre le malattie e promuovere il benessere. Le soluzioni verdi offrono un triplice vantaggio per la salute, la società e l'ambiente.



Oltre a ridurre il numero di morti premature, l'accesso ad ambienti più sani riduce anche quelle condizioni di salute che influenzano la nostra qualità della vita quotidiana, come malattie cardiovascolari, ictus, asma, ipertensione, demenza, stress e esposizione al calore.

Ambienti naturali di alta qualità offrono benefici per la salute poiché offrono luoghi per svolgere attività fisica, rilassarsi, incontrarsi. Questi ambienti offrono una migliore salute mentale e migliori funzioni cognitive, ridotta morbilità cardiovascolare, ridotta prevalenza di diabete, migliori esiti materni e fetali e mortalità complessivamente ridotta.

Le infrastrutture verdi possono mitigare i fattori di stress ambientale. Gli spazi verdi e blu offrono effetti di raffreddamento per contrastare l'effetto isola di calore urbano e mitigare le inondazioni. Temperature urbane più stabili riducono il fabbisogno energetico degli edifici. Gli spazi verdi possono anche ridurre il rumore, in particolare nelle aree edificate.

All'interno dell'UE, il Green Deal europeo rappresenta un cambiamento di direzione fondamentale nell'agenda politica europea e definisce una strategia sostenibile e inclusiva per migliorare la salute e la qualità della vita delle persone, prendersi cura della natura e non lasciare indietro nessuno.

Per approfondimenti leggi il rapporto Healthy environment, healthy lives: how the environment influences health and well-being in Europe


fonte: http://www.arpat.toscana.it


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