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Con il boom del fotovoltaico ci sarà un forte aumento della domanda di metalli



Il consumo globale di alluminio, rame e zinco per l'industria solare è destinato a crescere moltissimo al 2030-2040. Le stime di Wood Mackenzie.

La crescita del fotovoltaico su scala globale avrà un impatto rilevante sulla domanda di alcuni metalli, soprattutto nello scenario di ...

Clima, per arrivare all’economia net zero bisognerà aprire nuove miniere

Il riciclo delle materie prime non basterà. Bisogna trovare un compromesso tra industria green e sostenibilità ambientale e sociale


















Richard Herrington, del department of Earth sciences del Natural History Museum di Londra (NMH), ha pubblicato su Nature Reviews Materials l’analisi “Mining our green future”, che è il primo di una serie di articoli che lui e altri ricercatori stanno scrivendo sui risultati di una conferenza sull’estrazione mineraria tenutasi a dicembre all’NHM, e nella quale evidenzia che «La rivoluzione dell’energia verde dipende fortemente dalle materie prime, come il cobalto e il litio, che attualmente provengono principalmente dall’estrazione mineraria. Dobbiamo valutare attentamente le forniture accettabili per questi metalli, per garantire che le tecnologie verdi siano vantaggiose sia per le persone che per il pianeta».

Nel 2020, durante la crisi del Covid-19, la World Economic Forum’s Great Reset initiative ha evidenziato i che, nella ricostruzione post-pandemia, l’umanità si troverà di fronte a diversi bivi che riguarderanno le scelte da fare sia rispetto alle emergenze climatiche e planetarie e le ambizioni di un nuovo contratto sociale inclusivo. «L’idea – ricorda Herrington – è che l’industria energetica venga trasformata e ricostruita in modo resiliente, equo e sostenibile, sfruttando al contempo le innovazioni della quarta rivoluzione industriale. L’impegno della “corsa allo zero” delle Nazioni Unite per ridurre le emissioni di carbonio a zero entro il 2050, adottato allo stesso modo con entusiasmo dai governi e dall’industria, richiede un’ulteriore trasformazione in energia proveniente da tecnologie sostenibili piuttosto che dalla combustione di combustibili fossili, che ha alimentato le prime tre rivoluzioni industriali. Tuttavia, queste tecnologie verdi comportano un intenso fabbisogno di minerali».

Infatti, la tecnologia green richiede materie prime non rinnovabili provenienti da risorse geologiche primarie (miniere) o da rifornimenti secondari (riutilizzo o riciclaggio). «L’ambizione – spiega ancora Herringto – è quella di un’economia completamente circolare, nella quale la domanda può essere soddisfatta mediante il riutilizzo e il riciclaggio; tuttavia, non siamo ancora a quel punto. Le scorte di forniture secondarie e i tassi di riciclaggio sono inadeguati a soddisfare la domanda. Anche per i metalli, come l’alluminio e il cobalto, per i quali il riciclaggio a fine vita arriva fino al 70%, l’offerta secondaria rappresenta ancora solo il 30% della loro crescente domanda; nel caso del litio, come evidenziato nel recycling rates of metals status report of the International Resource Panel , il riciclaggio attualmente rappresenta solo l’1% della domanda attuale. La sostituzione di alcuni di questi metalli potrebbe essere possibile con soluzioni tecnologiche alternative per ridurre la dipendenza da materie prime specifiche, ma questo è difficile da ottenere in un lasso di tempo così breve. Tali alternative, ad esempio le batterie agli ioni di metallo multivalenti senza litio per sostituire le batterie agli ioni di litio, sono meno mature nel loro sviluppo e richiederanno tempo per industrializzarsi. Come risultato di queste sfide di approvvigionamento, l’attività mineraria resta necessaria per fornire soluzioni tecniche convalidate necessarie per la rapida decarbonizzazione richiesta dall’impegno».

L’analisi fa l’esempio del Regno Unito, dove i veicoli con motore a combustione interna (ICEV) sono i maggiori responsabili delle emissioni di carbonio e dove, come ha detto anche il Committee on Climate Change, per raggiungere le emissioni net zero bisogna eliminare gli ICEV. Ma, come sottolineano i ricercatori britannici in una lettera nella quale evidenziano la sfida rappresentata dalle risorse per arrivare al net zero, per passare dai 31,5 milioni di ICEV britannici ai veicoli elettrici a batteria (BEV), ci vorrebbero circa 207.900 tonnellate di cobalto, 264.600 tonnellate di carbonato di litio, 7.200 tonnellate di neodimio e disprosio e 2.362.500 tonnellate di rame. Herrington fa notare che «Questa quantità è il doppio dell’attuale produzione mondiale annuale di cobalto, è la produzione mondiale di neodimio per un intero anno e tre quarti della produzione mondiale di litio. La sostituzione degli 1,4 miliardi di ICEV stimati in tutto il mondo richiederebbe 40 volte queste quantità. Inoltre, la rivoluzione energetica verso le energie rinnovabili, ovvero eolica, solare, del moto ondoso, delle maree, idroelettrica, geotermica e nucleare, insieme alle infrastrutture di nuova costruzione per la loro consegna, dipendono fortemente dalle tecnologie basate sui minerali».

Il rapporto “Minerals for Climate Action: The Mineral Intensity of the Clean Energy Transition”, pubblicato nel 2020 dalla Banca mondiale, ha evidenziato le 17 materie prime minerali che sembrano essenziali per la transizione all’energia. La Banca Mondiale ha analizzato l’aumento della domanda di metalli o minerali dai quali dipende la tecnologia green e gli scenari di modellazione che limitano il cambiamento climatico a un aumento della temperatura di 2° C dimostrano tutti una futura dipendenza dall’energia solare ed eolica e un previsto aumento della domanda per le 12 materie prime più coinvolte.

Herrington sottolinea che «Le celle fotovoltaiche richiedono alluminio, rame, argento e acciaio (e sabbia silicea) oltre ad altri elementi, come indio, selenio e tellurio, a seconda del tipo di tecnologia. L’energia eolica richiede acciaio, rame, alluminio, zinco e piombo, nonché neodimio per i magneti delle turbine. L’energia idroelettrica richiede cemento e acciaio per le infrastrutture di base oltre a rame e alluminio per la trasmissione di energia. Lo stoccaggio dell’energia sarà necessario per la generazione di elettricità eolica e solare, nonché per le BEV. Per le batterie BEV all’avanguardia è necessaria una miscela di grafite, litio, cobalto, nichel e manganese (90% della domanda prevista per l’accumulo di energia), mentre il vanadio è il metallo preferito per l’accumulo di energia statica per le esigenze dell’industria, come parchi solari ed eolici (rapporto della Banca mondiale nel 2020). Sono allo studio una serie di tecnologie per le batterie e di opzioni alimentate a idrogeno, che consentono la sostituzione di uno o più di questi metalli e minerali; tuttavia, è improbabile che queste tecnologie facciano importanti passi avanti per sostituire le attuali tecnologie delle batterie agli ioni di litio fino, al più presto, al 2030. Sebbene l’aumento percentuale previsto della domanda dei principali metalli sia relativamente piccolo, è significativo in termini assoluti; ad esempio, un aumento del 9% dell’alluminio entro il 2030 significherebbe l’estrazione di 103 milioni di tonnellate in più di alluminio (più della produzione annuale totale mondiale del 2019; Rapporto della Banca mondiale nel 2020)».

Lo scienziato britannico fa notare che «Nel breve-medio termine, il riciclaggio non può soddisfare questa domanda. Tuttavia, entro il 2035, potrebbero esserci 245 milioni di veicoli elettrici su strada che, dati i tassi medi di rottamazione delle auto del 6,9%, potrebbero fornire i rottami di 17 milioni di veicoli all’anno. Se vengono soddisfatte le ambizioni della Global Battery Alliance on battery specifications, con appropriate strategie di riciclaggio (progetto EU H2020 CROCODILE), questi veicoli potrebbero fornire metalli recuperabili per una percentuale mondiale considerevole dei nuovi BEV».

Secondo l’Union of Concerned Scientists, con tassi di riciclaggio ottimali, dopo il 2035 il 30-40% del fabbisogno degli Usa, sia di litio che di cobalto, potrebbe essere soddisfatto ricicland, ma resterebbe comunque un forte deficit.

Herrington evidenzia che «Sebbene non ci stiamo esaurendo in termini assoluti, ci sono certamente sfide nell’offerta di materie prime, come grafite, cobalto e litio, per le quali sono previsti aumenti della domanda prossimi al 500%». L’US Geological Survey on Mineral Commodity Summaries for graphite avverte che il 62% della produzione annua mondiale totale di grafite proviene dalle miniere cinesi e la Banca Mondiale aggiunge che nel 2050 il mercato avrà bisogno di circa 68 milioni di tonnellate di grafite. La buona notizia è che la Cina può fornirne circa la metà e che altra grafite potrebbe provenire da nuove miniere in Brasile, Mozambico e Madagascar.

Dall’US Geological Survey on Mineral Commodity Summaries for graphite emerge che oltre il 60% della fornitura mondiale di cobalto proviene da un sottoprodotto dell’estrazione del rame nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) e viene raffinato principalmente in Cina. Un approvvigionamento che produce un forte sfruttamento della manodopera, anche minorile corso (rapporto della BBC sui bambini minatori nella Repubblica Democratica del Congo), e che ha subito spesso interruzioni a causa delle guerre per le risorse in RDC. In alternativa, il cobalto può essere recuperato dai materiali di scarto delle miniere esistenti. Da stime del 2012, risulta che il cobalto non recuperato delle miniere di nichel esistenti in Europa potrebbe fornire il 50% del metallo necessario per l’entrata in funzione degli impianti europei di batterie agli ioni di litio (rapporto UE 2018 sul cobalto). Herrington dice che «La geologia dell’Europa è favorevole a una serie di nuove potenziali fonti per il metallo.

L’iniziativa “Future ocean resources: metal-rich minerals and genetics” della Royal Society propone la risorsa più controversa: i noduli oceanici di profondità che potrebbero offrire all’industria tutto il cobalto e il manganese, nonché la maggior parte del rame e del nichel di cui potremmo aver globalmente bisogno per i BEV. Ma le miniere di profondità hanno enormi impatti ambientali su habitat in gran parte ancora sconosciuti e organizzazioni come Greenpeace e il Wwf contrastano con forza le miniere sottomarine.

Per l’US Geological Survey on Mineral Commodity Summaries for lithium, circa la metà del litio mondiale proviene dai depositi di hardrock in Australia, il resto proviene dai salar Cile, Bolivia e Argentina, sebbene l’estrazione nel fragile deserto di Atacama costituisca un grosso pron blema ambientale (rapporto Earthworks). Il litio non è un metallo raro e la ricerca esplora la possibilità di trovare diverse nuove fonti anche in Europa, dove alcune aree di Regno Unito, Portogallo e Germania mostrano un grande potenziale per l’approvvigionamento di litio. Bisogna vedere se l’Europa riuscirà ad autorizzare ulteriori attività estrattive interne per garantire il nostro futuro verde.

Comunque, bisogna rifornire di materie prime spesso rare quello che gli scienziati chiamano il “Great Reset”. Herrington conclude: «Le tecnologie e le infrastrutture pulite di un futuro low carbon comportano intense richieste di minerali. Un’economia circolare sarebbe realizzabile prima del 2050, se i governi e il settore privato introducessero l’innovazione lungo la catena di approvvigionamento e garantissero che i prodotti, come le batterie, possano essere facilmente smontati e riciclati. Tuttavia, le tendenze di crescita suggeriscono che l’estrazione mineraria può ancora svolgere un ruolo, perché la domanda di metalli aumenterà man mano che il mondo in via di sviluppo raggiungerà lo stesso utilizzo pro capite di materiali del mondo sviluppato. L’ambizione resta quella di riciclare e riutilizzare quanto più possibile; tuttavia, per abilitare le tecnologie e le infrastrutture verdi, a breve termine saranno necessarie le nuove risorse estratte. Ci sono risorse geologiche sufficienti per fornire i metalli richiesti, ma dobbiamo bilanciare attentamente la necessità di estrarre con la necessità di affrontare le questioni di governance ambientale e sociale e di raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, assicurando che i risultati siano benefici sia per le persone che per il pianeta . In passato, i veri valori della perdita di biodiversità non sono stati inclusi nelle valutazioni dei progetti minerari ed è necessario un nuovo approccio che abbracci i principi delineati nel recente rapporto Dasgupta. Pertanto, dobbiamo garantire con attenzione, creatività e sistematicità una gamma diversificata di fonti accettabili per i metalli che richiediamo. Nuove frontiere per l’approvvigionamento dovrebbero includere i rifiuti trascurati e la ricerca di aree minerarie più regolamentate nel nostro cortile, piuttosto che fare affidamento su fonti con catene di approvvigionamento meno controllabili, fragili e problematiche. Il dibattito sull’estrazione mineraria nel nostro oceano profondo, come alternativa alle fonti terrestri, deve essere risolto. Sulla base di un’analisi così ampia, possiamo quindi fare scelte sociali equilibrate sulla fornitura di metalli e minerali per rifornire il ““Great Reset”, con un buon accordo per le persone e il pianeta».

fonte: www.greenreport.it


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Transizione ecologica e materie prime: una sfida che si può vincere

L'aumento della domanda delle materie prime per la transizione ecologica: criticità e possibili soluzioni.




Se i due secoli passati hanno visto il progressivo imporsi dei combustibili fossili, il Ventunesimo vedrà l’affermazione di nuove tecnologie, dalle rinnovabili alla mobilità elettrica, necessarie per il processo globale di decarbonizzazione.

Una trasformazione che avrà un forte impatto sulle materie prime necessarie e un contemporaneo drastico calo di carbone, petrolio e gas.

Negli ultimi anni si è registrato un crescente attivismo da parte di Europa e Usa per contrastare il dominio di alcuni paesi, e in particolare della Cina che controlla anche le fasi della lavorazione di molti minerali con quote che vanno dal 35% nel caso del nickel al 50-70% per litio e cobalto, fino al 90% per le terre rare.

Ed è significativo il fatto che la IEA, nata per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi, ora stia analizzando anche le problematiche delle materie prime in relazione alla loro concentrazione geografica e alla possibile volatilità dei prezzi.

Lo “Special Report Minerals in Clean Energy Transitions”, pubblicato dalla IEA all’inizio di maggio, affronta le criticità che potranno emergere se non affrontate con tempismo e intelligenza.

In uno scenario in linea con l’Accordo di Parigi, le quote necessarie per soddisfare le nuove tecnologie faranno crescere, infatti, in modo significativo la domanda complessiva di molti minerali.

Nel corso dei prossimi due decenni la transizione green potrebbe arrivare ad assorbire il 40% del mercato mondiale del rame e delle terre rare, il 60-70% nel caso di nickel e cobalto e quasi il 90% per il litio.

L’innovazione tecnologica e il ricorso al riciclo potranno contribuire ad affrontare le nuove sfide.

Per esempio la quantità di litio per kWh nelle batterie è destinata a dimezzarsi entro il 2030. Tesla poi ha deciso di eliminare il cobalto e il nichel utilizzando batterie LFP (litio, ferro, fosfato) e si stanno sperimentando motori elettrici che non impiegano terre rare.

D’altra parte, lo scorso dicembre la UE ha proposto misure per la sostenibilità delle batterie prevedendo tra l’altro l’introduzione di contenuti minimi di materiali non riciclabili.

Nel 2030, il 5% del litio, il 17% del cobalto e il 4% del nichel necessari per la produzione di batterie per veicoli elettrici dovrebbero essere ottenuti da batterie europee riciclate. Nel 2035, queste quote dovrebbero aumentare al 22% per il litio e il nichel e al 65% per il cobalto.

Sempre per rimanere in Europa, un altro sforzo è rivolto all’approvvigionamento di risorse critiche.

La tabella, riportata nel rapporto “From dirty oil to clean batteries” di Transport&Environment dello scorso marzo, evidenzia come il nostro Continente possa ottenere risultati interessanti (e diversi investimenti sono in effetti già in corso).



Ci troviamo dunque di fronte a sfide che dovranno essere affrontate con la necessaria incisività su più versanti.

Purtroppo c’è chi non ha perso occasione per utilizzare anche il rapporto IEA per cercare di mettere in discussione le tecnologie green.

È il caso di un articolo comparso il 7 maggio sul sito del Sole24ore, che termina con questa ‘illuminante’ riflessione: “Per concludere, diventa sempre più urgente smantellare la narrativa mitologica che si è costruita intorno alle energie rinnovabili e all’auto elettrica perché, con tutta probabilità, la soluzione alla crisi ambientale arriverà da altre tecnologie. Magari, chissà, tecnologie alimentate dai combustibili fossili o dall’energia nucleare”.

Una posizione che ricorda quella di Hiroo Onoda, il militare giapponese trovato nel 1974 nella giungla di un isola filippina che riteneva di essere ancora in piena seconda guerra mondiale.

Peraltro, la riflessione finale è in netto contrasto con quella dello stesso Direttore esecutivo della IEA, Fatih Birol, che dichiara: “Le sfide non sono insormontabili e i minerali critici non minano le ragioni per l’energia pulita. Sebbene l’estrazione di minerali sia relativamente ad alta intensità di emissioni, le emissioni del ciclo di vita dei veicoli elettrici oggi sono circa la metà di quelle di un’auto tradizionale e solo 1/4 utilizzando elettricità pulita”.

fonte: www.qualenergia.it


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Cewaste, il progetto che punta sui Raee per riscrivere il riciclo delle materie prime critiche

Il progetto europeo, durato due anni e mezzo , mira a recuperare attraverso il riciclo degli apparecchi elettrici ed elettronici quelle materie prime come il cobalto, il litio o le terre rare, definite “critiche” dalla Commissione Europea perché caratterizzate da un elevato rischio di approvvigionamento










Un nuovo schema di certificazione volontaria per la raccolta, il trasporto e il trattamento dei RAEE, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, e delle batterie a fine vita contenenti i CRM, Critical Raw Materials. Questo l’obiettivo raggiunto da CEWASTE, il progetto europeo durato due anni e mezzo che si è concentrato su quelle materie prime come il cobalto, il litio o le terre rare, definite “critiche” dalla Commissione Europea, perché fondamentali per l’economia dell’Unione, ma caratterizzate da un elevato rischio di approvvigionamento.I risultati del programma, con un focus su gestione, sostenibilità, tracciabilità e requisiti tecnici per la raccolta e le strutture logistiche coinvolte, sono stati illustrati in un evento online il 24 marzo a cui hanno partecipato i principali esperti che hanno preso parte al progetto.

I risultati

Laptop, tablet, schede a circuiti stampati da computer, cellulari, batterie agli ioni di litio e batterie al piombo. Questi i dispositivi e i componenti chiave contenenti i CRM selezionati per la stesura dello schema di certificazione Cewaste, come spiegato da Otmar Deubzer dell’Università delle Nazioni Unite. E nell’analisi di oltre 60 documentazioni normative, il principale ostacolo e gap da colmare nei prossimi anni è risultato essere l’assenza di requisiti tecnici specifici per la raccolta e il trasporto funzionali al riciclaggio dei CRM.

L’approccio

Per ciò che riguarda, invece, l’approccio generale seguito e i principi che hanno guidato lo sviluppo dei requisiti – come illustrato da Sonia Valdivia del World Resources Forum – fattibilità tecnologica ed economica, verificabilità, raccolta, smistamento e rimozione ottimale dei componenti CRM, sono stati fattori centrali insieme a tracciabilità dei RAEE con i più alti rischi ambientali e sociali.

La struttura dei requisiti

Per quanto concerne le caratteristiche manageriali e di sostenibilità, sono stati analizzati i requisiti legali, il risk management, monitoraggio e ancora comunicazione e sensibilizzazione. I requisiti strettamente tecnici hanno riguardato invece le precondizioni necessarie a livello strutturale, ovvero ricezione, gestione e stoccaggio presso strutture di raccolta e trattamento, trasporto, bonifica, rimozione dei componenti con CRM e trattamento finale.

Il sistema di controllo

Yifaat Baron dell’Oeko-Institut ha invece mostrato gli strumenti creati per controllare l’adeguatezza ai requisiti richiesti per la certificazione. Lo schema Cewaste prevede essenzialmente due parti:
il sistema di garanzia, che specifica regole e procedure da seguire per i vari attori coinvolti nell’implementazione dello schema;
il sistema di verifica, sviluppato invece per supportare i processi affrontati all’interno del sistema di garanzia, dalla verifica degli impianti non rispondenti ai requisiti richiesti da CEWASTE, alla preparazione degli operatori per questi audit.

Il sistema di garanzia a sua volte opererà su tre livelli:
quello delle regole, ovvero il quadro di funzionamento dello schema e degli organismi di certificazione Cewaste;
quello dei processi, ovvero le regole, i modelli e le linee guida che supporteranno l’audit degli impianti nel corso della certificazione;
quello della valutazione, ovvero le regole e i modelli per la revisione dei risultati dell’audit e degli esiti sulla certificazione.

Scenari futuri

Federico Magalini, amministratore delegato di Sofies UK, ha illustrato il potenziale scenario dopo l’implementazione di Cewaste, dichiarando che “a livello legislativo potrebbe essere interessante l’introduzione di un obbligo legale per il recupero e il riciclo dei CRM insieme ad un incentivo economico che ne garantisca la fattibilità per gli operatori”.

La presentazione dell’approccio seguito da Cewaste, progetto finanziato da Horizon 2020 e portato avanti da Erion e il WEEE Forum, l’associazione europea dei Sistemi Collettivi di gestione dei RAEE, è disponibile a questo link.

fonte: economiacircolare.com


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Batterie e materie prime, il riciclo può fornire il 65% del cobalto

Un nuovo studio T&E mostra come le pratiche di riciclo delle batterie auto possano ridurre drasticamente l’importazione dei metalli preziosi e la dipendenza da Paesi terzi. E al resto penseranno i progressi nell’efficienza.



Gran parte del fabbisogno europeo di materie prime per le batterie dei veicoli elettrici può provenire dal riciclo degli stessi dispositivi a fine vita. A riferirlo è il nuovo studio di Transport & Environment secondo cui nel 2035, oltre un quinto del litio e del nichel e un più della metà del cobalto necessario all’accumulo potrebbe provenire da batterie “esauste”. Una pratica che combinata con i miglioramenti della densità della batteria, ridurrà l’impatto dell’estrazione di questi metalli e la dipendenza europea dalle importazioni.

Il rapporto di T&E valuta la quantità di materie prime necessarie per produrre batterie delle e-car oggi e in futuro, tenendo conto degli avanzamenti tecnologici. E confronta il dato con le materie prime necessarie per far funzionare un’auto a combustibili fossili.

Secondo l’obiettivo proposto dalla stessa Commissione europea nel 2030, il 5% di litio, il 17% di cobalto e il 4% di nichel necessari per la produzione di batterie auto possono essere ottenuti dal riciclo. Nel 2035, le percentuali potrebbero aumentare al 22% per litio e nichel e al 65% per il cobalto.

“A differenza delle odierne auto alimentate a combustibili fossili – spiega Lucien Mathieu, analista di T&E – le batterie delle e-car fanno parte di un ciclo di economia circolare in cui i materiali possono essere riutilizzati e recuperati”. Si tratta di un passaggio fondamentale “per ridurre la pressione sulla domanda primaria di materiali vergini e, in ultima analisi, limitare gli impatti che l’estrazione delle materie prime può avere sull’ambiente e sulle comunità”.

Allo stesso tempo, i miglioramenti nella densità energetica ridurranno la domanda dei metalli preziosi. Si stima che da oggi al 2030, i progressi in questo campo dimezzeranno la quantità di litio necessaria per produrre una batteria EV. Nel contempo, la quantità di cobalto richiesta diminuirà di oltre tre quarti e il nichel di circa un quinto.

Ciò avrà un impatto significativo sulla dipendenza dalle risorse, afferma l’associazione. L’UE , infatti, attualmente importa il 96% della sua fornitura di petrolio greggio; il che significa che la sua dipendenza dalle materie prime per le batterie sarà 10 volte inferiore nel 2030 rispetto al petrolio.

fonte: www.rinnovabili.it


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Trasformatori europei a corto di plastica

EuPC denuncia il rischio di possibili interruzioni della fornitura di prodotti in plastica a causa dello shortage di materie prime e prezzi in costante ascesa.









Per lanciare un allarme sulla carenza di materie prime, sulle ripetute chiamate di Forza maggiore da parte dei produttori e sull'aumento dei prezzi scende in campo EuPC, la federazione europea delle aziende che trasformano materie plastiche, sottolineando l'impatto sulle filiere a valle che utilizzano manufatti e componenti in plastica.

Le scorte sono ormai al livello minimo e potrebbero verificarsi interruzioni della catena di approvvigionamento a livello continentale. L'associazione invita quindi i fornitori di polimeri a collaborare per risolvere questa difficile situazione prima possibile, al fine di non mettere in pericolo le forniture di beni essenziali.

I primi segnali di shortage - rileva EuPC - sono emersi nella seconda parte del 2020, in concomitanza con la ripresa dell'attività industriale dopo la sospensione imposta dall'emergenza pandemica e relativi lockdown. I trasformatori hanno aumentato la produzione, ma l'offerta di materie prime non è riuscita a tenere il passo.

“Da dicembre 2020 la situazione si è deteriorata rapidamente - spiega Alexandre Dangis, direttore di EuPC -. Le condizioni meteorologiche estreme negli Stati Uniti hanno comportato ulteriori cadute di produzione che hanno interessato anche il mercato europeo. Inoltre, i produttori europei hanno aumentato negli ultimi mesi il numero delle chiamate di Forza maggiore, come già riportato da Polymers for Europe Alliance a gennaio (leggi articolo)".


Secondo l'associazione dei trasformatori, la situazione è ulteriormente aggravata dalla carenza di container e dal repentino e rilevante aumento dei prezzi dei polimeri, fino a raggiungere livelli record nelle ultime settimane, rosicando i margini e la solidità finanziaria delle aziende trasformatrici.

"Ci sono circa 50.000 piccole e medie aziende di trasformazione della plastica in Europa che devono far fronte alla carenza di materie prime e a significativi aumenti di prezzo, senza avere potere negoziale nei confronti dei produttori multinazionali di polimeri - afferma il presidente di EuPC, Renato Zelcher (nella foto) -. Se questa situazione dovesse perdurare, sempre più aziende saranno costrette a ridurre la loro produzione, provocando uno shortage di prodotti in plastica come imballaggi alimentari, componenti per l'edilizia e l'industria automobilistica".

fonte: www.polimerica.it

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La rivoluzione verde è “un’enorme fake news”? Ecco perché non è così

Le materie prime necessarie alla transizione energetica non sarebbero sufficienti, secondo articolo apparso sul blog del quotidiano di Confindustria che ha innescato un ampio dibattito. Un contributo di Gianni Silvestrini, pubblicato sul sito Italialibera.online, ne evidenzia le inesattezze.




Sul blog “Econopoly” del Sole 24 Ore, lunedì 11 novembre è comparso un contributo dal titolo “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?” firmato da Enrico Mariutti. Una provocazione che solleva un problema reale, quello delle risorse per la transizione energetica. Ma mescola dati corretti e valutazioni sbagliate. Con il risultato di disorientare i lettori.

Scrive Mariutti: «Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato… Di circa una decina di materiali alla base della ‘rivoluzione verde’ le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili».

Questo si legge nel blog. Visto che l’Europa e altri paesi si stanno avviando in questo percorso, saremmo in un vicolo cieco.

In realtà, questi limiti si possono superare e la sfida della domanda dei materiali, e dell’impatto ambientale legato alla loro produzione, va affrontata con grande serietà.

L’articolo citato sul blog del Sole propone invece alcune soluzioni alternative che non si reggono in piedi, come vedremo, ed è pieno di imprecisioni. Ne citiamo qualcuna.

Si legge nell’articolo di Mariutti: «Per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 TWh (terawattora) l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 TWh l’anno di energia fossile in più».

Non si capisce da dove vengano quelle cifre. È infatti noto che l’Energy Payback Time (Ept), l’arco temporale in cui un modulo fotovoltaico restituisce l’energia necessaria alla sua produzione, risulta, secondo il “Fraunhofer Institute for Solar Energy Systems”, di 1 anno nel Sud Europa e di 1,5 anni nel Nord Europa. Per quanto riguarda gli aerogeneratori l’Ept è inferiore all’anno

Ma proseguiamo. Nel blog del Sole si legge anche che «per produrre una tonnellata di alluminio sono necessari circa 30.000 kWh».

Ma la media mondiale è stimata in 14.221 kWh/t, nel caso di produzione dalla bauxite. In realtà un terzo dell’alluminio proviene dal riciclo e il consumo energetico in questo caso si riduce del 95%. Si può quindi stimare un consumo medio mondiale per il processo completo di produzione di una tonnellata di alluminio, includendo la trasformazione della bauxite in allumina, di 11.600 kWh.

E ci sarebbero diverse altre osservazioni da fare. Ma veniamo al cuore del problema che riguarda la domanda di materie prime necessarie alla transizione energetica. Si tratta certamente di un aspetto da seguire con attenzione, anche per le sue implicazioni ambientali e sociali.

Come ridurre le criticità delle materie prime? Per evitare che si determinino criticità sono perseguibili diversi approcci.

a) Un primo percorso per contenere la pressione sugli approvvigionamenti riguarda l’innovazione tecnologica. Ricordiamo che il contenuto di silicio nelle celle solari è passato dai 16 grammi/Watt nel 2004 ai 4 grammi/Watt nel 2017. E si potranno aprire nuove frontiere, come con le celle solari organiche ultrasottili. Oppure, consideriamo il recente annuncio di Tesla di voler produrre batterie prive di cobalto. Di grande interesse inoltre è la ricerca di soluzioni che riducano la dipendenza dalle terre rare impiegate nei magneti permanenti utilizzati in particolare negli aerogeneratori offshore .

b) C’è un secondo filone che riguarda il recupero dei materiali dai prodotti a fine vita. Già ora più della metà di metalli come ferro, zinco, platino vengono riciclati e coprono più di un quarto della domanda europea. Nel caso delle batterie al litio, nel 2018 si sono riciclate quasi 100.000 tonnellate su scala globale, in gran parte in Cina. La percentuale di recupero a livello mondiale delle terre rare è invece molto bassa, dell’1%, ma si ritiene di potere arrivare a recuperarne un terzo nel medio periodo. Alcune iniziative per il loro recupero si stanno avviando anche fuori dalla Cina.

c) Abbiamo infine le nuove attività di esplorazione. A settembre, ad esempio, negli Usa è stato presentato il Reclaiming America Rare Earths Act che prevede incentivi fiscali per le compagnie coinvolte nell’estrazione e nel riciclo delle terre rare e di metalli nel territorio americano. È prevedibile dunque l’avvio di iniziative minerarie in diversi paesi, dall’Australia al Canada, dagli Usa alla Groenlandia (ricordate la bizzarra idea di Trump di voler comprare questa isola?). La mobilitazione di investimenti pubblici e privati su vasta scala attraverso la European Battery Alliance dovrebbero far sì che che l’80% della domanda di litio sia soddisfatta da fonti europee, per esempio dal Portogallo, entro il 2025 [Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, Critical Raw Materials Resilience: Charting a Path towards greater Security and Sustainability, 3 settembre 2020].

C’è ancora una riflessione più di fondo da fare. Ed è decisiva. Le possibili criticità sull’uso delle risorse minerali e idriche impongono non solo una maggiore attenzione nel ridurre i consumi energetici, ma sollecitano anche una rivisitazione dell’attuale modello economico e lanciano un messaggio ad una maggiore sobrietà.

Sono proprio i temi toccati nel recente summit “Economy of Francesco” nel quale Papa Bergoglio ha tracciato un percorso per la ripresa dopo la pandemia. «Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile (…). Non possiamo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse».

Sulla bacchetta magica della Cattura Diretta di Anidride carbonica (Dac) prospettata da Enrico Mariutti ci soffermeremo nella seconda parte di questo articolo dal titolo “Tutti i limiti della cattura della CO2 per fare la “rivoluzione verde”.

fonte: www.qualenergia.it


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La transizione energetica, tra crescita delle rinnovabili e dipendenza dalle materie prime

Il necessario forte sviluppo delle rinnovabili potrà creare dipendenza da una serie di materie prime e terre rare per buona parte controllate dalla Cina. Quali approcci sono perseguibili?










Finora abbiamo temuto che la forte dipendenza dal carbone della Cina sarebbe stata un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di Parigi. Ora che Xi JinPing ha annunciato di puntare alla neutralità carbonica al 2060, si aprono prospettive decisamente interessanti.

Nei prossimi decenni dovremo però superare un altro ostacolo alla rivoluzione climatica globale, la reale disponibilità delle materie prime necessarie. E ancora una volta fa capolino Pechino.

Ma andiamo con ordine.

Se negli ultimi 100 anni abbiamo visto guerre e colpi di stato per il petrolio, cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi cento?

Considerando che i maggiori paesi si sono dati l’obbiettivo di raggiungere la neutralità climatica/carbonica nei prossimi 30-40 anni, è chiaro che il ruolo dei combustibili fossili andrà progressivamente riducendosi.

Ma crescerà invece la dipendenza da una serie di materie prime critiche.

La transizione ecologica dell’economia comporterà infatti la crescita rapidissima non solo di acciaio, rame, cemento, alluminio, ma anche di elementi strategici come il litio, il cobalto e le terre rare che al momento vengono largamente controllati dalla Cina.

Quindi c’è il rischio concreto di passare dalla dipendenza dai paesi arabi a quella da Pechino.

Si consideri, ad esempio, che il 98% delle terre rare utilizzate nelle tecnologie rinnovabili e nella mobilità elettrica in Europa proviene dalla Cina.

Uno scenario che preoccupa anche l’Unione Europea che lo scorso 29 settembre ha lanciato la “Alleanza europea delle materie prime”.

Il vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič ha sottolineato come l’approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime sia un prerequisito per un’economia resiliente.


“Solo per le batterie delle auto elettriche e lo stoccaggio di energia, l’Europa avrà bisogno, ad esempio, di una quantità di litio fino a 18 volte superiore entro il 2030 e fino a 60 volte di più entro il 2050. Costruiremo quindi una forte alleanza per passare da un’elevata dipendenza dall’estero ad un approvvigionamento interno e punteremo alla circolarità e all’innovazione”.

Dunque, il tema delle risorse rappresenta una criticità da non sottovalutare e da affrontare con saggezza e lungimiranza.

Non certo però con il taglio provocatorio del pezzo “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?” comparso l’11 novembre su un blog del Sole 24 Ore. L’articolo, che alterna dati veri e inesattezze, arriva ad ipotizzare soluzioni impraticabili su larga scala come la cattura della CO2 dall’atmosfera.

Utilizzando la tecnologia della svizzera Climeworks, all’avanguardia in questo settore, per rimuovere la CO2 annualmente prodotta dai combustibili fossili, 38 miliardi di tonnellate, si dovrebbe infatti utilizzare metà della produzione mondiale di energia elettrica, oltre ad una quantità di energia termica quattro volte superiore…

“Di circa una decina di materiali alla base della ‘rivoluzione verde’ le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili”, si legge inoltre nel pezzo.

Naturalmente non è così, ma la sfida della domanda dei materiali e dell’impatto ambientale legato alla loro produzione andrà affrontata con grande serietà.

Vediamo quali approcci sono perseguibili.

Un elemento importante per contenere la pressione sugli approvvigionamenti riguarda l’innovazione tecnologica.

Ricordiamo che il contenuto di silicio nelle celle solari è passato dai 16 grammi/Watt nel 2004 ai 4 grammi/W nel 2017. E si potranno aprire nuove frontiere, come con le celle solari organiche ultrasottili.

Oppure, consideriamo il recente annuncio di Tesla di voler produrre batterie prive di cobalto, che altri costruttori già fanno.

C’è poi un secondo filone, molto interessante, che riguarda il recupero dei materiali dai prodotti a fine vita.

Nel caso delle batterie al litio, nel 2018 si sono riciclate quasi 100.000 tonnellate su scala globale, circa il 50% di quelle che hanno raggiunto il “fine vita”.

La percentuale di recupero a livello mondiale delle terre rare è invece a livelli molto bassa, dell’1%, ma si ritiene di potere arrivare a recuperarne un terzo nel medio periodo.

Abbiamo poi le nuove attività di esplorazione.

A settembre, ad esempio, negli Usa è stato presentato il Reclaiming America Rare Earths Act che prevede incentivi fiscali per le compagnie coinvolte nell’estrazione e nel riciclo delle terre rare e di metalli nel territorio americano.

È prevedibile, dunque, l’avvio di nuove iniziative minerarie in diversi paesi, dall’Australia al Canada, dagli Usa all’Europa.

C’è infine una riflessione più di fondo, decisiva.

Le possibili criticità sull’uso delle risorse minerali e idriche impongono non solo una maggiore attenzione alla riduzione dei consumi energetici, ma sollecitano anche una rivisitazione dell’attuale modello economico e lanciano un messaggio ad una maggiore sobrietà.

Sono proprio i temi toccati nel recente summit “Economy of Francesco” nel quale Bergoglio ha tracciato un percorso per la ripresa dopo la pandemia, affemarmando:

“Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile… non possiamo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse”.


fonte: www.qualenergia.it


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L’economia della riparazione salva il Pianeta e genera lavoro

Un passo necessario per ridurre i rifiuti è rimuovere gli ostacoli alla riparabilità e all'estensione della vita utile dei prodotti elettrici ed elettronici. Obiettivi al centro della campagna internazionale Repair.eu che da anni lotta per il riconoscimento del diritto alla riparazione










La settimana europea della riduzione dei rifiuti, da poco conclusa, ha portato l’attenzione sui rifiuti “invisibili”. E sono invisibili quei rifiuti che non solo, evidentemente, non si vedono. Ma anche quelli di cui non comprendiamo l’importanza, e il vero peso.

Un discorso d’insieme sull’economia circolare non può prescindere dalla comprensione di cosa succede prima che i nostri amati smartphone vengano accesi per la prima volta, e dopo che decidiamo di “riciclarli”. Le materie prime critiche usate per la produzione vengono spesso estratte da paesi diversi da quelli in cui vengono poi lavorate e commercializzate, motivo per cui l’impatto dell’attività di estrazione è invisibile ai nostri occhi.

L’estrazione richiede una complessa gestione dell’ambiente e i costi a essa associati sono elevati: per questo viene condotta in altre regioni del mondo. Se l’estrazione avviene in Paesi senza una regolamentazione robusta e senza una corretta applicazione delle norme, aumenta notevolmente i rischi, non solo per l’ambiente. L’uso di sostanze acide e chimiche durante l’estrazione può, per esempio, minacciare la salute delle comunità limitrofe all’area.

La maggior parte di queste materie prime critiche semplicemente non può essere riciclata in maniera efficace: molte hanno infatti tassi di riciclo praticamente insignificanti. Il ciclo di produzione diventa sempre più veloce, vengono continuamente creati nuovi prodotti, con nuovi materiali e nuove tecnologie, costringendo i centri di riciclo a cercare nuove tecniche e modelli di business per trattare le apparecchiature esauste. Ciò significa che la domanda di materie prime critiche vergini continuerà ad aumentare a ogni nuovo prodotto che acquistiamo.

Inoltre, alcuni dei materiali nei nostri oggetti elettronici sono usati anche per produrre energia da fonti rinnovabili. Per esempio, il gallio (presente nei circuiti integrati) e l’indio (presente nei touchscreen) sono necessari per la produzione di celle fotovoltaiche, mentre il neodimio (utilizzato nei microfoni) è impiegato per la produzione delle turbine eoliche.

Questo significa che è fondamentale estendere la durata dei prodotti che acquistiamo, eliminando tutte le barriere alla riparazione e al riuso dei prodotti. Anche queste sono spesso invisibili per i consumatori: per esempio, la mancanza di informazioni standardizzate e verificabili sulla riparabilità dei prodotti, è una tipica asimmetria informativa. E ancora meno visibile e trasparente è il problema che vediamo in preoccupante crescita: le barriere causate dalla mancanza di supporto software da parte delle case produttrici. Nulla vieta a un produttore di smartphone di smettere di rilasciare aggiornamenti software o di sicurezza, mentre le autorità antitrust italiane hanno già sanzionato casi in cui gli aggiornamenti alterano negativamente le prestazioni dei prodotti in nostro possesso.

Purtroppo il mercato da solo non riesce a cambiare questo sistema, e multare non basta. Gli esempi virtuosi di prodotti costruiti per essere facilmente riparabili, riusabili e poi smaltibili, esistono ma non riescono a fare breccia e diventare la norma. È per questo che regolamentare il sistema è necessario e strategico, per indirizzare l’innovazione tecnologica nella giusta direzione. Innovare nel 2020 non può’ che significare mettere le persone e il pianeta al centro, quindi costruire prodotti che abbiano una lunga durata.


Ridurre la produzione di prodotti usa e getta, e focalizzarsi invece sull’economia della riparazione, del riuso e del ricondizionamento dei prodotti, può anche creare nuovi e veri posti di lavoro.

Per questo, insieme a organizzazioni di 15 Paesi europei membri della Campagna europea per il Diritto alla Riparazione ci battiamo per regolamenti ecodesign europei che eliminino dal mercato i prodotti più dannosi e meno riparabili. Non solo, vogliamo anche nuovi diritti per i consumatori, come quello a un’informazione trasparente, per esempio attraverso un punteggio di riparabilità obbligatorio, che riduca l’invisibilità di elementi importanti nel guidare le nostre scelte.

L’Europa è in ritardo su questo fronte, ma spingiamo affinché l’esempio della Francia – che dal 2021 avrà un indice di riparabilità per 5 iniziali categorie di prodotti – venga seguito tempestivamente, in Italia e a livello europeo.

fonte: economiacircolare.com/


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Nasce l’Alleanza europea Materie Prime, per un Green Deal indipendente

La Commissione europea lancia la nuova European Raw Materials Alliance. Il compito? Costruire capacità in tutte le fasi della catena del valore delle materie prime, dall’estrazione mineraria al recupero dei rifiuti.





“Con la transizione verso una società climaticamente neutra e digitale, la nostra dipendenza dai combustibili fossili rischia di essere sostituita dalla dipendenza da materie prime non energetiche, per le quali la concorrenza globale sta diventando sempre più intensa”. Con queste parole Maroš Šefčovič, Vice Presidente della Commissione europea, ha motivato la nascita della Alleanza europea Materie Prime (European Raw Materials Alliance). Creata su modello dell’European Battery Alliance, la nuova intesa mira a riunire tutte le forze comunitarie su un obiettivo preciso: ridurre la dipendenza UE dalle risorse estere essenziali per la transizione ecologica in atto.

Il blocco si è dato importanti obiettivi energetici e climatici per il 2030 e il 2050, inaugurando un nuovo percorso di decarbonizzazione. Non è un mistero, però, che la maggior parte delle tecnologie necessarie al Green Deal europeo necessitano di materiali preziosi o rari che arrivano per lo più da fuori i confini comunitari.

Ad esempio, le terre rare utilizzate nelle turbine eoliche, nelle batterie, nei radar e nella nuova robotica, provengono oggi quasi esclusivamente dalla Cina, nonostante la presenza di giacimenti in Europa (in Francia, Germania, Portogallo, Spagna, Svezia o Groenlandia e Norvegia) e l’enorme potenziale legato al riciclo. Solo per questi elementi si stima un aumento di 10 volte della domanda europea entro il 2050. Domanda che si dovrà scontrare inevitabilmente anche con il consumo degli altri Paesi nel mondo.

Non è solo la concorrenza globale a preoccupare. In questi mesi, la pandemia e le conseguenti interruzioni nelle catene del valore hanno acuito il problema, lasciando diversi nervi scoperti. “Pertanto – ha dichiarato Šefčovič – dobbiamo cambiare il nostro approccio alle materie prime critiche, ridurre la nostra dipendenza e rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento. A tal fine, il piano d’azione sui Raw Materials, insieme al piano d’azione per l’economia circolare, è parte integrante della nostra strategia di ripresa e resilienza”.

Cosa farà nella pratica la nuova Alleanza europea Materie Prime? Metterà assieme attori industriali e investitori, Stati e Regioni, mondo della ricerca e società civile. Un gruppo solido che identificherà barriere, opportunità e casi di investimento per costruire capacità in tutte le fasi della catena del valore delle materie prime, dall’estrazione mineraria al riciclo.

“Ogni anno l’UE genera circa 9,9 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche”, ha aggiunto il vicepresidente UE. “Circa il 30% viene raccolto e riciclato. Ma il recupero delle materie prime critiche da questi scarti è inferiore all’1%. Sfruttare queste miniere urbane potrebbe alla fine soddisfare gran parte della domanda dell’UE di materie prime essenziali”.

In una prima fase, l’Alleanza europea Materie Prime si concentra sulla necessità più urgente, ossia aumentare la resilienza UE sul fronte terre rare e nelle catene del valore dei magneti permanenti, poiché questi sono vitali per la maggior parte degli ecosistemi industriali comunitari. Successivamente, si espanderà per soddisfare altre esigenze critiche e strategiche di materie prime e metalli di base, come litio e cobalto.

fonte: www.rinnovabili.it

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Materie Prime Critiche: Un piano d'azione per l'Europa



Smartphone, elettrodomestici, pannelli solari. Ma anche droni, magneti che fanno funzionare gli impianti eolici, batterie e accumulatori per le auto e gli apparecchi elettrici ed elettronici. Sono tutti oggetti che – in modo diretto o indiretto – fanno parte della nostra vita quotidiana, e che hanno una cosa in comune: per funzionare hanno bisogno di componenti che contengono metalli e minerali come il tungsteno, che consente ai cellulari di vibrare, il gallio e l’indio indispensabili per le lampade a Led, o il più famoso di tutti, il silicio dei processori dei computer.
Molti di essi vengono definiti “materie prime critiche” perché, oltre ad avere un ruolo centrale per l’economia e la produzione industriale – un’importanza destinata a crescere sempre di più sulla scia della transizione ecologica e dell’abbandono dei combustibili fossili – la loro catena di approvvigionamento è soggetta a rischi strategici, legati principalmente al fatto che la maggior parte viene estratta in paesi extra-europei, spesso in condizioni sociali problematiche (a partire dallo sfruttamento della manodopera, anche minorenne) e con metodi molto impattanti dal punto di vista ambientale.
La lista europea delle materie prime critiche

È a questi problemi che guarda il Piano d’azione sulle materie prime critiche elaborato dalla Commissione Europea e reso noto giovedì 3 settembre, assieme all’aggiornamento della lista comunitaria di questi materiali e a uno studio più approfondito che traccia le prospettive sul ruolo delle materie prime critiche per le nuove tecnologie e i settori industriali strategici nel periodo 2030-2050.
La nuova lista – aggiornata sulla base dei dati degli ultimi cinque anni riguardo all’importanza economica/industriale dei materiali e alle criticità relative al loro approvvigionamento – elenca trenta materie prime (erano 14 nella prima versione di nove anni fa). Oltre a metalli come Cobalto e Tungsteno e alle cosiddette “terre rare”, per la prima volta compaiono la Bauxite e il Litio, componente indispensabile delle batterie degli apparecchi elettronici e dei mezzi a propulsione elettrica.
Il Piano, invece, partendo dalla constatazione che “l’accesso alle risorse è una questione di sicurezza strategica” per le ambizioni europee di realizzare il Green New Deal, fin dall’introduzione avverte del rischio che “la transizione verso la neutralità climatica” sostituisca l’attuale dipendenza dell’economia europea dai combustibili fossili con quella “dalle materie prime, molte delle quali provenienti dall’estero e per le quali la competizione globale sta diventando più agguerrita”.
“Se nel lungo periodo vogliamo continuare a godere i benefici dei prodotti moderni”, ha detto presentando il documento il vicepresidente della Commissione con delega alle relazioni interistituzionali e alle prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, “dobbiamo cambiare radicalmente il nostro approccio nei confronti delle materie prime critiche, assicurando un approvvigionamento sicuro e sostenibile in grado di rispondere alle necessità delle nuove tecnologie pulite e digitali”, che nei prossimi anni continueranno a crescere: entro il 2050, ha spiegato infatti il commissario slovacco, il fabbisogno europeo di Cobalto e Litio aumenterà rispettivamente di 15 e 60 volte “solo per le vetture elettriche e lo stoccaggio di energia. E nello stesso periodo la domanda di terre rare usate nei magneti che sono cruciali per i generatori eolici potrebbe crescere fino a dieci volte”. A ciò si aggiunge il fatto che l’Unione “dipende fortemente da un numero limitato di paesi extra UE per le sue materie prime: ad esempio, otteniamo tra il 75 e il 100% della maggior parte dei metalli dall'esterno dell'UE, mentre la Cina ci fornisce il 98% delle terre rare”.


Fonte: European Commission report on the 2020 criticality assessment
Il piano della Commissione UE

Da qui i quattro obiettivi che si pone il Piano d’azione: “sviluppare catene di valore resilienti per gli ecosistemi industriali dell'UE; ridurre la dipendenza dalle materie prime critiche primarie attraverso l'uso circolare di risorse, prodotti sostenibili e innovazione; rafforzare l'approvvigionamento interno di materie prime nell'UE; diversificare l'approvvigionamento da paesi terzi ed eliminare le distorsioni al commercio internazionale, nel pieno rispetto degli obblighi internazionali dell'UE”.
Risultati da raggiungere – si legge sempre nel documento – attraverso la costituzione di un’Alleanza europea per le materie prime che coinvolgerà “tutti i soggetti interessati” e si occuperà in particolare di “aumentare la resilienza dell’UE nelle catene del valore delle terre rare e dei magneti, vitali per la maggior parte degli ecosistemi industriali dell'UE, come l'energia rinnovabile, la difesa e spazio”. Ma anche sviluppando “partenariati internazionali strategici per garantire l'approvvigionamento di materie prime essenziali non presenti in Europa” e mappando “il potenziale delle materie prime critiche secondarie provenienti dalle scorte e dai rifiuti dell'UE per identificare progetti di recupero fattibili entro il 2022”. Come ha spiegato Šefčovič, infatti, “ogni anno nell'UE vengono prodotti 9 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche”. Circa il 30% viene raccolto e riciclato, ma il recupero delle materie prime critiche da questi rifiuti elettronici è inferiore all'1%. Lo sfruttamento di queste miniere urbane, ovvero il recupero di materie prime dai rifiuti urbani attraverso il riciclaggio, potrebbe alla fine soddisfare gran parte della domanda dell'UE di materie prime essenziali”.


Fonte: European Commission
Una spada a doppio taglio

Un ultimo punto illustrato nel Piano – forse quello più critico – prevede l’identificazione all’interno dei paesi dell’Unione di “progetti di estrazione e trasformazione che possono essere operativi entro il 2025”, con un focus particolare “riservato alle regioni carbonifere e ad altre regioni in transizione, con speciale attenzione alle competenze e abilità rilevanti per l'estrazione, l'estrazione e la lavorazione delle materie prime”. Già ora sono attivi quattro iniziative industriali per la loro estrazione e lavorazione sostenibile, che valgono quasi 2 miliardi di euro. La Commissione stima che entro il 2025 soddisferanno l’80% del fabbisogno comunitario di litio nel settore delle batterie (oggi coperto per il 78% dal Cile).
“Un certo numero di materie prime sono essenziali affinché l'Europa possa guidare la transizione verde e digitale e rimanere il primo continente industriale del mondo”, ha detto il Commissario al Mercato interno, Thierry Breton: “Diversificando l'approvvigionamento da paesi terzi e sviluppando la capacità dell'UE di estrazione, lavorazione, riciclaggio, raffinazione e separazione delle terre rare, possiamo diventare più resilienti e sostenibili. L'attuazione delle azioni che proponiamo oggi richiederà uno sforzo concertato da parte dell'industria, della società civile, delle regioni e degli Stati membri".
Il rischio, avverte però il network di cittadini e organizzazioni non governative European Environmental Bureau (EEB), è che la strategia europea sulle materie prime critiche si riveli “una spada a doppio taglio”, soprattutto per quanto riguarda i costi ambientali e sociali dell’estrazione mineraria: primo tra tutti, l’inquinamento delle falde o la riduzione della portata dei bacini idrici. “Trasferendo l'attività mineraria in Europa, è probabile che importiamo anche il danno ambientale che è stato inflitto alle comunità in Sud America, Asia e Africa per decenni”, ha spiegato Diego Francesco Marin, che per l’EEB si occupa dei progetti di giustizia ambientale: “La Commissione europea deve garantire che le comunità locali e i gruppi della società civile entrino a far parte di un processo di consultazione globale in modo che possano sollevare preoccupazioni sui nuovi progetti minerari vicino alle loro case prima che sia troppo tardi”.
Preoccupazioni rincarate da un altro esponente del network, il responsabile delle politiche sull'efficienza delle risorse Jean-Pierre Schweitzer, secondo cui “aprire semplicemente le porte a nuovi progetti minerari in Europa sarebbe in contraddizione con l'ambizione della Commissione di mantenere il consumo di risorse entro i confini planetari, come stabilito nel piano d'azione per l'economia circolare dello scorso marzo. Ciò di cui abbiamo bisogno sono batterie più efficienti, riciclabili e durevoli prodotte con materiali di provenienza responsabile per alleviare il carico sul pianeta”.

fonte: https://www.renewablematter.eu/


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